
Breve storia del Piano Americano
John Wayne è decisamente americano, nel bene o nel male. Si poteva cominciare soltanto con la sua figura emblematica, un esordio poco originale, questo è chiaro, ma tutto sommato azzeccato. Nello specifico l’immagine è tratta da un celebre western del 1939, Stagecoach, la regia è di John Ford e il titolo italiano è Ombre Rosse. Il focus è sul tipo di inquadratura. Secondo l’autorevole parere dell’ Enciclopedia Treccani, con inquadratura s’intende “la porzione di spazio inclusa nel quadro visivo bidimensionale, entro la cornice rettangolare che delimita l’immagine proiettata del film, e ancora, sul piano della durata, l’insieme minimo dei fotogrammi“. Poeticamente, lo sguardo del regista (della macchina da presa) sul mondo. Il suo significato è al tempo stesso spaziale, temporale, morale, estetico. Mai neutro o indistinto (altrimenti sono guai). Se nell’inquadratura prevalgono i soggetti otteniamo un piano. Se invece è l’ambiente a risaltare parliamo di campo. L’oggetto di questo articolo è un particolare tipo di inquadratura chiamata Piano Americano (PA).

Il piano americano delinea il personaggio dalle ginocchia (talvolta metà della coscia) in su. In inglese se ne parla in termini di cowboy shot. Il riferimento al cinema western è puntuale. Anche se un po’ fuorviante. Indiscutibile è la coincidenza di tempo e spirito tra il piano americano e l’ascesa del genere nel corso dei primi tre decenni del Novecento. Fondamentalmente, questo tipo di inquadratura permette di riprendere contemporaneamente il volto e la fondina del pistolero (o chi per lui) sviluppando l’azione in maniera fluida, senza stacchi. Ovviamente, un effetto del genere è possibile raggiungerlo anche con una Figura Intera (FI).
Tuttavia, riprendere il corpo umano nella sua totalità presuppone l’ allontanamento della macchina da presa dal personaggio, con conseguente smarrimento di verità emotiva. Di qui il senso del piano americano: sufficiente spazio per “coprire” l’azione del personaggio, adeguata vicinanza per non disperdere l’emozione e il sentimento disegnati sul suo volto. Di seguito, laconico e un po’ insofferente, Clint Eastwood in Per qualche dollaro in più (Sergio Leone, 1965).

Western, ma non solo
Il rapporto tra il cowboy shot e il cinema western è, vale la pena di ripeterlo, molto stretto. Ma è comunque necessaria una contestualizzazione storica. L’ideazione dell’inquadratura rientra nel cospicuo bagaglio di innovazioni formali ereditate dal pioniere del cinema americano David Wark Griffith. Se ne rintracciano i primi esempi già nella short story del 1908 For Love and Gold. L’ affinità di genere dunque esiste ma si costruirà più avanti, e non va interpretata in senso esclusivo.
Conferma di un’ esistenza del piano americano precedente e alternativa alla codificazione degli anni ’30/’40 la ritroviamo (un esempio fra molti) nel controverso affresco storico girato da Griffith nel 1915, The Birth Of A Nation, da noi Nascita di una nazione. L’immagine seguente illustra un animato confronto a tre (azione e emozione). Il cowboy shot serve bene lo scopo di illustrare l’interazione tra due o più personaggi. In scena Lillian Gish, leggendaria protagonista del cinema americano degli albori nonché collaboratrice, forse la più celebre oggi, del regista americano. Taglio all’altezza delle ginocchia, espressività dei volti, tensione plastica dell’azione.

Il piano americano, indipendentemente dal genere di riferimento, risponde a un’esigenza di compromesso tra fisicità ed emotività. Il suo utilizzo può essere giustificato se nell’intenzione del regista c’è la volontà di presentare il personaggio (o i personaggi) sotto una luce di eroismo o di grandezza. Pensiamo ai John Wayne e ai Clint Eastwood poco sopra. Nulla vieta però che questi valori possano essere ribaltati e riflessi in maniera speculare e perversa.
Date un’occhiata al modo con cui viene presentato Heath Ledger, indimenticabile Joker nel capolavoro cinecomic del 2008 The Dark Knight, regia di Christopher Nolan. In un genere, il fumetto trasposto al cinema, che per archetipi e filosofia è forse il più diretto discendente del western, il significato del piano americano conserva l’assunto di partenza, pure distorto nella prospettiva. Heath Ledger/Joker è grande ma di una grandezza malefica e molto pericolosa. Lo temiamo, ma non gli neghiamo simpatia. Nobiltà rovesciata per il negativo di John Wayne.

Il piano americano parla al femminile
Stesso discorso, stesso tipo di film, prospettiva differente. Ritorniamo al piano americano come celebrazione di grandezza, ma superiamo lo steccato di genere. Nella corsa di Gal Gadot/ Wonder Woman nell’adattamento del 2017 diretto da Patty Jenkins, l’utilizzo del cowboy shot segnala una volontà inclusiva e per questo, totalmente rivoluzionaria. E politica. L’eroismo non è più solo “roba da maschi”. Adesso il mondo lo salva una donna (amazzone, ma è lo stesso). Una simile scelta, lavorare al cuore della tradizione mantenendone inalterato l’abito, mobilita la psicologia degli spettatori e delle spettatrici, allargando lo spettro delle possibilità di immaginazione e rappresentazione.

Integrazione dovuta, non fosse altro che per una questione di par condicio. Dalla DC alla Marvel, l’interpretazione dei principi formali del genere non nasconde l’ambizione di giocare a scardinare lo stato delle cose. Vale la pena di proporre questa inquadratura tratta dal super blockbuster Avengers: Endgame, epocale successo dell’ ahinoi lontanissimo 2019 per la regia dei Russo Brothers. L’ inquadratura presenta ben sei personaggi (di sesso femminile) disposti a differenti distanze dalla macchina da presa; la figura intera della seminascosta (contraddittorio) Elizabeth Olsen è un esempio. L’elemento veramente interessante è il cowboy shot delle quattro eroine in prima linea che riempiono la scena e catturano l’attenzione. Da sinistra a destra: Gwyneth Paltrow, Brie Larson, Pom Klementieff e Letitia Wright. Ora, la maggior parte del pubblico ovviamente ignora i rudimenti della grammatica cinematografica. Tuttavia, l’esposizione continua a principi formali di organizzazione dello spazio determina quello che potremmo definire una sorta di apprendimento sotterraneo.
In sostanza, lo spettatore sa poco o nulla di piano americano, ma ne coglie le sfumature di eroismo ogni volta che l’inquadratura si ripresenta alla sua attenzione. Lo riconosce senza dar segno di accorgersene, perché ricollega quel particolare clima emotivo e quello scenario a una miriade di altri esempi dello stesso tipo già sperimentati in precedenza. Associare questo effetto di grandezza morale a una rivendicazione se non femminista, almeno femminile, produce un effetto importante.

Da Schwarzy a… John Wayne
Un breve accenno, prima di concludere. Talvolta, la necessità di presentare un personaggio in azione spinge il regista e il direttore della fotografia a lavorare creativamente sull’angolazione della ripresa. L’obiettivo, più o meno dichiarato, è di arrivare a una definizione più netta del significato della scena isolando un particolare stato d’animo e trasmettendolo allo spettatore per direttissima. La soluzione standard con questo tipo di inquadratura consiste nel riprendere il personaggio dal basso verso l’alto, in modo da aumentarne la percezione di grandiosità e minaccia. Segue: un pacifico Arnold Schwarzenegger in Terminator 2: Judgment Day, 1991, regia di James Cameron.

Il piano americano definisce il western, ma non nasce col western. Privilegia l’azione, ma non sacrifica l’emozione. Nasce neutro, per un bel pezzo parla solo al maschile, per fortuna oggi riscopre anche il femminile. Trasmette valori che possono essere letti al dritto e al rovescio. Sopravvive ai generi, alle mode e alle possibilità di fruizione. In nessun modo questa analisi vuole essere completa. Una ricognizione di massima forse, magari utile per chiarire gli aspetti generali della questione. Tanti esempi inutilizzati, tanti artisti esclusi. Luca Marinelli, Quentin Tarantino e La Favorita... così per dire.
In conclusione, per chiudere il cerchio, si torna a John Wayne. A uno dei suoi classici. Red River (Il Fiume Rosso), western eterno del 1948 diretto da Howard Hawks, è forse il primo film in cui Wayne viene valorizzato come attore e non solo per le sue potenzialità simboliche, di icona. Il trailer qui sotto, nei suoi due minuti scarsi di durata regala scampoli di piano americano a confermare alcune idee qui esposte. Lo fa ovviamente molto molto meglio, con la forza dell’immagine e il senso del cinema di due autentici giganti. Buona visione.
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