
Campi e piani – Guida alle inquadrature nel cinema
Il cinema, come ogni linguaggio, ha la propria grammatica, la propria sintassi, quell’insieme di regole e di segni che costituiscono il mezzo attraverso cui si darà forma alla sostanza. L’opera cinematografica “suona” grazie alla relazione che esiste tra le inquadrature, resa possibile dal montaggio cinematografico. L’inquadratura è la base dell’opera, il mezzo attraverso cui si esprime la visione di un autore, la nota capace di farci emozionare. Un particolare stile di racconto si percepisce nella relazione esistente tra le inquadrature, che poste insieme andranno a formare le scene, dalle quali si ricaveranno le sequenze. In questo articolo analizzeremo la divisione convenzionalmente riconosciuta delle tipologie di inquadratura, osservandone, come esempio, l’esecuzione da parte di alcuni maestri del cinema poetico europeo degli ultimi vent’anni. Se ci pensiamo, è possibile raffigurare due cose: un ambiente, uno spazio e le sue porzioni, e un soggetto, sia esso animato o inanimato. Per mostrare il primo useremo il campo, per il secondo il piano. Una nota doverosa è che c’è sempre di più oltre la definizione. Alle volte piani e campi potrebbero confondersi, ad esempio una casa potrebbe essere effettivamente il soggetto del racconto, o di un suo passaggio; oppure un personaggio potrebbe essere mostrato con un’inquadratura a metà tra un primo piano e una mezza figura. Le definizioni servono per acquisire consapevolezza, ma nella loro declinazione si può essere sempre liberi di osare e infrangere le convenzioni.

Campi
Il campo lunghissimo è l’inquadratura più estrema convenzionalmente intesa nel racconto di un’ambientazione. La figura umana diviene quasi impossibile da distinguere rispetto allo sfondo, perde la sua centralità a scapito del contesto. Il primo esempio è tratto da Il cavallo di Torino di Béla Tarr e Ágnes Hranitzky. Il film riflette su un’umanità che nella sua corsa alla ricchezza si è lasciata corrompere dall’avidità, finendo per andare contro la stessa natura. In un paese indefinito, i protagonisti, Ohlsdorfer, il vetturino, e sua figlia non possono più adempiere al loro lavoro, perché il loro cavallo si rifiuta di nutrirsi e di uscire dalla stalla. L’unica scelta rimasta è quella di aspettare in casa il compimento del proprio destino, nonostante dall’esterno varie forze ostacolino la loro inattività.
Il punto di vista dell’inquadratura in esame, all’interno della casa dove si svolge tutta l’azione principale della vicenda, anticipa l’ingresso in scena di una di queste forze esterne e cioè una carovana di nomadi che porta scompiglio. Il campo lunghissimo che introduce questo episodio dona, nella scena immediatamente precedente all’arrivo degli stranieri, un’aura di presagio funesto, in linea con tutta l’estetica e la visione del mondo che traspare dal racconto. Chi sta arrivando è portatore di pericolo.

Il campo lungo rapporta maggiormente personaggio e contesto, spesso viene usato per introdurre una nuova location, decisiva per lo sviluppo della vicenda. L’esempio che approfondiamo, tratto da L‘uomo di Londra diretto sempre da Béla Tarr e Ágnes Hranitzky, si colloca all’inizio del film ed introduce due personaggi, appartenenti al mondo della criminalità, il cui scontro provocherà la perdita di una valigia contenente una
grande quantità di denaro. Il ritrovamento della valigia da parte del protagonista, Maloin lo scambista, darà avvio al racconto. Il punto di vista della scena è all’interno della cabina di lavoro del protagonista; i due luoghi sono messi in relazione da un piano sequenza che comincia in campo lungo, mostrando ciò che è visibile dalla finestra della cabina, chiudendo in primissimo piano su Maloin. Questa tipologia di sequenza rappresenta il personalissimo stile, affinato nei decenni, del maestro ungherese.

Il campo medio è l’ultima inquadratura in cui il rapporto di spazio col soggetto è maggiormente a favore dell’ambiente, dopodiché si andrà direttamente sulla figura. I due esempi scelti sono tratti da La felicità porta fortuna di Mike Leigh. La particolarità di questo regista britannico è l’utilizzo costante dei campi medi nelle sue sequenze, questo perché il campo medio gli consente di mantenere più personaggi nella stessa inquadratura. La felicità porta fortuna è una commedia leggera, ma dal tocco poetico e da intensi momenti drammatici, nella quale i personaggi si muovono sullo sfondo della Londra media, la città delle scuole pubbliche, dei pub, dove ci si trova dopo una lezione di flamenco, o per commentare la partita dell’Arsenal, la città della gente comune. Persino nei momenti drammatici Mike Leigh non divora il personaggio, non vuole perderlo in un ambiente sconfinato, ma lasciargli lo spazio di cui ha bisogno per raggiungere la propria consapevolezza.

Il totale rappresenta nel linguaggio cinematografico un’eccezione, il suo scopo è d’inquadrare il contesto, la situazione, più che la singola figura o il luogo. Infatti, potremmo definire il totale come il quadro che posiziona su un livello paritario la relazione tra l’ambiente e la figura. In questa immagine, da Bella e perduta di Pietro Marcello, viene mostrato un paradiso grottesco e magico, anch’esso burocratizzato, dove verrà assegnata la missione che Pulcinella porterà avanti per tutta la storia.

Piani
La figura intera, come suggerisce il nome stesso, è l’inquadratura che restituisce la figura nella sua interezza.
L’esempio che forniamo per questo tipologia di piano è preso da Ida di Paweł Pawlikowski.
Ida è un film sulla Shoah, ambientato nel 1962 in Polonia. Affronta la storia di una giovane sul punto di prendere i voti ed entrare in convento. Tuttavia, prima dell’ordinazione, la madre superiora le consiglia di passare del tempo con l’unica parente viva rimastale, sua zia Wanda. È grazie all’incontro con questa donna che la giovane scopre di essere ebrea e di chiamarsi Ida. Mentre Ida è una giovane dal temperamento mite,
che ha sempre vissuto nel rispetto dei precetti religiosi, Wanda è una donna di mezza età sola, dedita all’alcool e a frequentazioni occasionali. Insieme le due partiranno per un viaggio alla scoperta del passato oscuro della propria famiglia. Lungo questo percorso, la fede di Ida viene messa alla prova, le rivelazioni ne destabilizzano la certezza. Così la giovane vuole lasciarsi andare, vivere l’emozione spontanea seguendo l’esempio di sua zia. Il nostro esempio di figura intera è tratto dalla scena in cui Ida per la prima volta indossa un abito da sera, esaltando la sua femminilità. Una scena intima e delicata, sulla scoperta di un altro lato del proprio io.

Il Piano Americano è una tipologia d’inquadratura con una storia singolare rispetto alle altre, perché nasce all’interno di una cornice specifica, quella dell’epica western (consigliamo l’approfondimento di Breve storia del piano americano). Interessante, tuttavia, analizzarne l’utilizzo in Figlia mia di Laura Bispuri. La vicenda, ambientata in una torrida Sardegna, è incentrata su Vittoria, una bambina di umili origini, la quale viene
affidata per un breve periodo, da sua madre Tina, ad una sconosciuta di cui non sapeva neanche l’esistenza, Angelica. Quest’ultima è un modello nuovo per le logiche della bambina, vive di promiscuità sessuale e ospita sotto il suo stesso tetto animali da fattoria. La relazione nata però tra Vittoria e Angelica diventerà sempre più forte. Il piano americano preso in esame si colloca all’interno delle sequenze in cui la giovane esplora
le campagne desolate oltre casa di Angelica; una ricerca del meccanismo delle cose, osservando gli arbusti selvaggi e le profonde caverne nascoste dalle facciate tondeggianti delle rocce. Atmosfere da western, per un intenso dramma famigliare.

La Mezza figura (o Piano Medio) stringe sul personaggio, è un’inquadratura che necessita di intensità espressiva a metà tra corpo, ancora di peso nell’insieme, e il volto. L’esempio che consideriamo in questo caso è Io, Daniel Blake di Ken Loach, uno straziante dramma sociale. I personaggi si muovono sullo sfondo dell’Inghilterra povera, Daniel Blake è un operaio disoccupato a metà tra la ricerca di un lavoro (requisito essenziale per avere un assegno di disoccupazione) e il riposo obbligato a causa di un infortunio, per il quale gli è stata prescritta l’astensione totale da sforzi fisici per diversi mesi. Nella contraddizione di regole amministrate da una società senza volto, personaggi come Daniel e Katie devono farsi forza a vicenda per sopravvivere cercando di non perdere la speranza. Nella scena in esame, Katie ha il trucco slavato, piange lontano dallo sguardo dei propri figli, deve farsi forza per non gettare tutti nello sconforto generale.

Il primo piano e il primissimo piano costituiscono il regno dell’anima, attraverso gli occhi si possono esprimere una variante immensa di emozioni. Sono inquadrature di difficile resa, perché richiedono un interprete straordinario, oppure un volto decisamente fuori dal comune, con una forte singolarità. Non può esserci esempio migliore del regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche che ha costruito la sua poetica
sulla contemplazione della sensualità del corpo. Il primo piano in esame è tratto da La vita di Adele, ci mostra la protagonista turbata, colta in un momento decisivo della sua adolescenza turbolenta, all’insegna della scoperta dell’attrazione per una ragazza più grande di lei.

Il primissimo piano è racchiuso tra la fronte e il mento, enfatizza ulteriormente l’espressività dello sguardo.
L’esempio, sempre da La vita di Adele di Abdellatif Kechiche, ci mostra una grande prova recitativa nel riuscire a restituire l’innamoramento tra Emma e Adele.

Il Particolare è l’inquadratura più stretta che può essere fatta sulla figura, o anche su un oggetto (in questo caso si chiama Dettaglio). L’esempio preso in esame è ancora una volta Ida. Quest’inquadratura rivela tutta l’originalità dell’autore polacco, in quanto cattura un particolare irregolare: questo piano dovrebbe estendere su tutto lo schermo una parte del corpo, mentre qui la maggior parte dello schermo è occupata da un neutrale sfondo sfocato, il quale rende ancora più intrigante quell’occhio vigile e allo stesso tempo rilassato.

L’ultima immagine, dal racconto degli ultimi giorni di Pierpaolo Pasolini, firmato da Abel Ferrara, è un chiaro esempio di dettaglio. L’agenda mostra gli impegni a cui il poeta e regista non potrà tenere fede a causa della sua morte, avvenuta in data 2 Novembre 1975.
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