
Come sta l’animazione? Quattro chiacchere con Marino Guarnieri
Di Luca Carotenuto e Lorenzo Botta Parandera
L’animazione come linguaggio. Potrà sembrare scontato se non addirittura banale ma l’animazione è “solo” questo. Un linguaggio come un altro al servizio di una narrazione. È tuttavia innegabile che l’animazione sia spesso associata a un solo tipo di pubblico, quello giovane per non dire fanciullesco. Ci sono dei veri e propri segnali che mettono in luce i bias radicati nel nostro modo di pensare ormai da decenni: “questo film è molto profondo per essere un cartone” o anche “questo cartone animato è molto meglio di tanti film veri” e altre esclamazioni di stupore che indicano una naturale subordinazione dell’animato al girato, almeno nelle nostre teste. Per non parlare dell’annosa questione della violenza nelle serie animate, che in Italia può vantare dei veri e propri primati di indignazione durante, ad esempio, la trasmissione di Ken il Guerriero. Per approfondire la questione dell’animazione come linguaggio, abbiamo fatto due chiacchiere con Marino Guarnieri, insieme ad A. Rak, I. Cappiello e D. Sansone uno dei registi di Gatta Cenerentola, film vincitore di due David di Donatello.

«Quello che a molta gente sfugge» ci ha detto Marino parlandoci della sua idea di animazione «è che ormai l’animazione è onnipresente. Se io vado a vedere Avengers vado a vedere un film che tecnicamente non è diverso da un Roger Rabbit. Le esplosioni, le armature sono frutto dell’animazione. Addirittura, Tony Stark stesso è una faccia messa dentro un modello 3D. Ma parliamo anche di serie come The Witcher o il Trono di Spade dove le integrazioni animate di draghi e mostri sono utilizzate in modo molto utile alla narrazione. Oggi pertanto l’animazione è imprescindibile in moltissimi film e produzioni, da serie TV a film e videogiochi».

Parlando del lavoro dell’animatore, Guarnieri ha ironicamente riflettuto sulla condizione attuale legata al lockdown: «Con la chiusura dei set ovviamente le compagnie cinematografiche hanno volto maggiormente lo sguardo agli animatori che potevano continuare a lavorare da casa». Abbiamo chiesto quindi come è la realtà lavorativa in Italia, in particolare se le realtà produttive italiane siano in grado di assorbire adeguatamente i lavoratori dell’animazione: «Per quanto mi riguarda, sono molto soddisfatto della mia condizione e del mio lavoro presso Mad Entertainment. Stiamo già facendo il terzo film, un soggetto nostro originale e abbiamo massima libertà creativa».
«C’è da dire però che in Italia l’unico committente dell’animazione è Rai, in particolare Rai Ragazzi perché sono gli unici che investono veramente nell’animazione. Tra tutti gli investimenti dedicati all’audiovisivo solo l’1% finisce in prodotti di animazione. Rai Ragazzi ovviamente chiede un format preciso per i suoi prodotti, pre–school , family e al massimo Young Adult. Se questa cosa non cambierà nel prossimo futuro, tutte le produzione continueranno ad essere legate ad un target preciso. E per carità, è pur sempre lavoro. L’Italia è uno dei paesi che ha più canali dedicati strettamente ai bambini, ma con l’investimento di produttori come Netflix, Amazon e altre piattaforme on-demand probabilmente le richieste di mercato saranno più diversificate».
Abbiamo parlato poi proprio dei target dei prodotti di animazione e del controsenso tutto italiano sulla loro ricezione. «La prima serie animata che vidi in TV fu Goldrake – tratto da un manga di Go Nagai – e lo trasmettevano alle sette e mezza sulle reti Rai, per i bambini. Poi però sono arrivate le lettere in cui ci si lamentava della eccessiva violenza e allora fu chiuso. Ma l’errore era nostro perché i giapponesi hanno target molto specifici non solo in base all’età, ma anche all’estrazione sociale e ai temi, al sesso e così via. Ma noi questo non l’abbiamo mai capito, abbiamo fatto invece un unico minestrone di cartoon per ragazzi».

Parlando invece dell’animazione seriale contemporanea, Guarnieri non ha potuto non mettere in evidenza un tratto caratteristico di molte produzioni recenti. La sperimentalità: «Se guardate serie come Bojack Horseman o anche prodotti non necessariamente per adulti come gli Sparkshorts della Pixar su Disney Plus, noterete che c’è una grande sperimentabilità di generi, temi e stili. Ci si inventa quindi anche un pubblico nuovo e si scopre così che è possibile tentare qualcosa di diverso». Nel nostro dialogo, uno dei media più citati è stato probabilmente il videogioco. A tal proposito, Marino ci ha raccontato che per lui l’esperienza del videogioco è come la visione di un film. «Sono un appassionato di giochi di ruolo, in particolare quelli giapponesi. Vi dico solo che nel 1997 ho deciso di prendermi una settimana di ferie per finire Final Fantasy VII, e l’ho deciso dopo due ore di gioco, non scherzo! Mi diverte l’impostazione strategica, la possibilità di organizzare i personaggi… In un film d’animazione di un’ora e mezza ci sono circa duecentomila fotogrammi che vanno guardati a uno a uno, tutti quanti: diciamocelo, chiunque faccia il regista di animazione non può che essere un maniaco del controllo».
Narrativamente, invece, cita Fumito Ueda, l’autore di Ico, Shadow of the Colossus e altri capolavori videoludici. L’interazione che questi videogiochi richiedono è più sottile, è un invito a decifrare ciò che nella storia resta implicito, un invito che spinge a lavorare con la fantasia. Ha poi volto l’attenzione sull’uso della motion capture nell’animazione videoludica odierna: «L’animazione dei videogiochi, invece, negli ultimi anni va sempre più verso l’uso della motion capture, e per chi si occupa di animazione è un problema: oggi si trovano molti tecnici che convertono la motion capture in animazione ed è sempre più difficile trovare animatori realistici in 3D». Infine, ha nuovamente ribadito la centralità della narrazione, importante anche nella serialità: «Il tutto, comunque, si riduce sempre alla narrazione: e, come nel videogioco, il coinvolgimento emotivo dell’animazione è tutto. Quando riesci a entrare nella storia e accetti i personaggi come reali, è fatta. Nell’animazione è difficile empatizzare, ma quando ci riesci entri in un altro mondo».

Restando nei dintorni del videogame, l’estetica di Gatta Cenerentola ricorda in effetti quella di un videogioco. Ciò che ci incuriosisce è che il film è stato animato con Blender, un programma che solitamente non è utilizzato per produzioni cinematografiche mainstream. «Partiamo col dire che Blender è gratis, il che non guasta mai» – ci ha risposto Guarnieri – «Inoltre, è un open source, ovverosia è personalizzabile dall’utenza. Certo, anche il software Maya – che è lo standard per le animazioni 3D – è personalizzabile, ma gli autori di Blender offrono direttamente i codici sorgente del programma, in modo tale che un programmatore che abbia esperienze con Python possa agire con estrema flessibilità sulla personalizzazione desiderata. E poi, essendo gratis, Blender può anche contare su una community vastissima di utenti che ci lavorano». Negli anni, Mad Entertainment ha spostato gradualmente tutte le fasi produttive su questo software e ormai fa totale affidamento su di esso. Il “sodalizio” è avvenuto dopo L’arte della felicità (2013), e da allora è diventato il perno delle loro produzioni.

Tornando su Gatta Cenerentola abbiamo infine concluso il nostro dialogo. Un film inconsueto nel mercato italiano, questo, del quale ci domandiamo come è stato recepito dal suo punto di vista, e cosa Mad Entertainment ne abbia tratto. «Innanzitutto, stiamo facendo un altro film, il che è un ottimo punto di partenza. Con Mad Entertainment volevamo portare avanti la collaborazione e Gatta Cenerentola ha consolidato il nostro gruppo di lavoro e la possibilità di creare continuativamente. Ancor più importante, questo film ci ha permesso di dimostrare che il cinema d’animazione sperimentale è possibile. Ciò senza gli incassi dell’animazione mainstream, però, soprattutto perché l’animazione è ancora percepita dal pubblico come un genere, quando invece è un vero e proprio linguaggio. Inoltre, con Gatta Cenerentola abbiamo anche appurato che un film d’animazione è un film: lo dimostrano la candidatura come Miglior film italiano ai David di Donatello, con ben sette nomination, e quella nella sezione Orizzonti a Venezia 74, il primo film d’animazione italiano a concorrere in questa selezione. Parte del merito va anche ai ricambi generazionali nelle giurie, che oggi sono composte da chi è cresciuto con un’idea più emancipata e moderna di animazione. Il fatto che Hideo Kojima sia stato incluso nella giuria della sezione VR di Venezia deve farci riflettere».
Ad ogni modo, Gatta Cenerentola ha ispirato altri film d’animazione sperimentali e ha stimolato molto le produzioni: probabilmente grazie a prodotti come Gatta Cenerentola e ad altri sperimentatori c’è meno timore di forzare questo linguaggio con uno stile anticonvenzionale. «In una sola frase», ha concluso Marino Guarnieri, «Gatta Cenerentola ha dimostrato che si può fare».
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