
Fantasia – Realtà | Disney+ Revisited
Con il rilascio di Disney+ e la messa a disposizione di tutti gli abbonati di un vastissimo catalogo di prodotti marchiati Disney, i Classici d’animazione senza tempo che hanno accompagnato diverse generazioni di spettatori si trovano ora immersi nell’eterno presente delle piattaforme digitali. Con Disney+ Revisited analizziamo che effetto fanno oggi questi film, a cui viene restituita una nuova vita commerciale.
“Musica da vedere con immagini da ascoltare” era lo slogan che recitava la storica VHS di Fantasia degli anni ’90. Uno scatolone ad oggi impensabile da maneggiare o vedere, ma di indubbio fascino per qualunque collezionista. Il Classico d’animazione Disney Fantasia si presentava così alla generazione che conobbe l’home video con le videocassette, con una frase ad effetto che bene riassumeva il suo graduale successo nei decenni. All’epoca della sua uscita però il film rischiò seriamente di mandare in bancarotta gli studios Disney, complice anche una critica impietosa. L’aneddotica sulla lavorazione di Fantasia si spreca, ma quello che forse ha inciso più di tutto sul suo successo, e che vale la pena di ricordare specialmente in questa sede, è la scelta del titolo che all’inizio avrebbe dovuto essere The Concert Feature (Il concerto animato). È una vera fortuna, come ci ricorda Steve Martin all’inizio di Fantasia 2000, che alla fine Disney si sia lasciato convincere dai suoi collaboratori a cambiare il titolo in Fantasia.

“Fantasia” è molto più che una scelta evocativa azzeccata, è un preciso regolamento. Proprio come per i libri, i film iniziano dal titolo, sia esso un titolo casualmente adatto o volutamente fuorviante, che inevitabilmente condiziona la nostra visione. Succede anche con le canzoni, con gli spettacoli teatrali e persino con gli articoli, anche con quello che state leggendo adesso. Il titolo ci dice cosa cercare all’interno di un prodotto, è un dispositivo pedagogico potente, una docile richiesta di assoluta sottomissione. Ora immaginatevi di leggere nei titoli di testa “Concerto animato”. Un titolo democratico, che consegna al suo pubblico le regole del gioco. Quale grande tragedia si sarebbe consumata se “il concerto animato” avesse dato il via a una serie di titoli “democratici”. Invece Fantasia ci fa chinare la testa, ci rende obbedienti all’ignoto, ci costringe a vagare e a misurarci con i nostri sensi e con la nostra capacità di senso.

«La musica è una pratica occulta dell’aritmetica, dove l’anima non sa di calcolare» Così Leibniz, in una lettera divenuta celebre proprio per questo passaggio, descriveva la musica al matematico Christian Goldbach. Alcuni traduttori moderni, influenzati probabilmente dall’apporto della psicanalisi, preferiscono “inconscio” a occulto, ma entrambe le traduzioni sono adatte a descrivere l’esperienza audiovisiva di Fantasia. Se la musica infatti è un esercizio di matematica inconscio, allora Fantasia è praticamente un elettroencefalogramma. Mi spiego meglio: Disney di fatto ha costruito un impero su un’unica vera grande innovazione tecnica, il suono sincronizzato. Da Steamboat Willie (1928) fino a capolavori come La Danza degli Scheletri (1929) o L’isola del Jazz (1935), ognuna delle Silly Symphonies ha contribuito a cementificare il successo di uno studio che aveva adattato l’animazione al moto del pensiero. Fantasia quindi altro non è che una naturale trascendenza del lavoro di Disney, una spontanea sublimazione che si spoglia delle regole della narrazione tradizionale per toccare direttamente quella parte della nostra esperienza cerebrale fatta di suoni e movimento. Lo si vede benissimo nel primo spezzone di Bach, nel quale la musica si esprime con delle astrazioni di sottofondo mentre i nostri sensi audiovisivi sono guidati, anzi trasportati, da una sequela d’immagini che ci rende impossibile immaginarci la musica in altro modo. È fantasia, sì, ma degli autori, che sono riusciti a realizzare qualcosa che ha del telepatico.

Si prosegue con episodi sempre più articolati e ricchi; balletti di fiori, scenari mitologici, la storia della vita sul pianeta fino a una vera e propria lotta tra due forze contrapposte, tema finale questo ripreso anche nel seguito. La trama dietro ogni episodio può darci una parvenza di senso, ma è troppo tardi. Mentre la musica prende forma e le immagini risuonano nella nostra testa, non siamo più interessati al senso ma ai sensi. L’esperienza di visione può risultare intensa ed è lecito credere che sia proprio per smorzare questa intensità che, esattamente nel mezzo, gli autori hanno deciso di inserire un siparietto d’interludio – L’apprendista stregone -, che, se non fosse per il picco di drammaticità raggiunto nella scena dello smembramento della scopa, è quasi comico.

L’assenza di una trama specifica e la nostra abitudine o predisposizione da pubblico a cercarla sempre e ovunque sono parte integrante dell’esperienza di Fantasia. Ciò che è iniziato come pura astrazione prende via via sempre più forma, anzi forme, senza per questo appagarci di un senso, ma solo appagando i nostri sensi. Così, mentre cerchiamo di capire le regole di quel mondo fatto di immagini e suoni, nell’atto stesso di esperire quel mondo mettiamo in atto quelle regole inconsciamente, con una precisione scientifica, medica, appunto elettroencefalografica. Anzi siamo noi quelle regole, diventiamo noi quel mondo, ci eleviamo, a ritmo dell’immagine, su un altro piano del reale. Si chiama Fantasia ma è realtà.
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