
The Mandalorian – Capitolo IX – Frontiere postmoderne
Attenzione: la recensione contiene spoiler dell’episodio 9 | Torna su Disney+, a meno di un anno dalla distribuzione italiana e a un anno esatto da quella statunitense della prima stagione, The Mandalorian, l’acclamata serie marchiata Star Wars che racconta le vicende di un cacciatore di taglie madaloriano, accompagnato da “Baby Yoda” (The Child, ufficialmente), in viaggio per la Galassia lontana lontana. Questa seconda stagione, nuovamente a cadenza settimanale, si pone in una doppia ottica: da un lato è il seguito naturale della precedente, proseguendone la numerazione dei capitoli; da un altro presenta una vocazione maggiormente antologica, che si ancora con forza alle dinamiche postmoderne scomodando i generi cinematografici per ampliare il respiro dell’immaginario. Nella recensione del Capitolo 9 di The Mandalorian – The Marshal – vediamo deflagrare la forza dell’elemento Western, senza perdere l’occasione di individuare forti easter egg.

Abbiamo lasciato Mando alla fine di uno scontro feroce con Moff Gideon (il sempre minaccioso Giancarlo Esposito) e lo ritroviamo in viaggio alla ricerca di altri mandaloriani che gli possano indicare dove trovare i simili del Bambino. La ricerca parte su un pianeta caro all’Universo di Star Wars, Tatooine, sempre più simile a una versione estremamente desertica della frontiera americana “classica”, rappresentata nel Western più tradizionale e amato. L’arrivo su Tatooine dà infatti il via, nella prima parte dell’episodio, a una narrazione dilatata, tensiva, in cui ogni sequenza prepara allo scoppio della violenza esplosiva tipica degli scontri a fuoco di frontiera.

Ma a un soffio dallo scontro, l’esplosione non avviene: la narrazione e l’estetica Western si ibridano con qualcosa di inaspettato, reso possibile dalla malleabilità del tessuto immaginifico di casa Lucas; dai deserti di Sergio Leone si viene trasportati nei deserti del Dune di Lynch – e presto anche di Villeneuve – attraverso una continuità narrativa garantita proprio dalla tensione crescente e ineffabile, che in un solo passaggio di macchina allinea lo scontro privato al pericolo collettivo. Il ruolo di Mando si sposta, da viaggiatore solitario a generale di uno scontro impossibile, che necessita il formarsi di un’alleanza impossibile.

Il genere Western rimane parte del tessuto: gli abitanti di Mos Pelgo e i Tusken loro nemici sono simulacri lucasiani di yankees e indiani d’America, tra cui lo scontro non è soltanto territoriale, ma sancito da un’impossibilità linguistica nel cui attrito si pone la figura di Mando, conciliando interessi individuali per una sfida collettiva. E qui l’ibridazione è totale: il nemico comune è un drago, esteticamente lontanissimo dal concreto materialismo Western, che riallaccia la fantascienza del prodotto a quell’amalgama “fantastico” cui il genere apparteneva ai suoi albori. Lo scontro è orchestrato con ritmo sapiente e forza visiva totalizzante, spingendo al massimo le potenzialità tecniche permesse dallo StageCraft, senza dimenticare il necessario apporto dell’artigianato materiale e plastico operato sul reale del set.

Easter egg del Capitolo 9 – Boba Fett
Non serve nasconderlo: se il McGuffin di The Mandalorian nel suo complesso è il Bambino, in questo capitolo il vero focus del desiderio filmico è Boba Fett. Presente nella sua assenza, Boba Fett compare attraverso la sua armatura, contesa tra Mando e Cobb Vanth (Timothy Olyphant) e più volte sapientemente utilizzata in modi che strizzano l’occhio a tutti i fan della saga di Lucas; e lo stesso Boba Fett si rende easter egg in carne ed ossa (appartenenti a Temuera Morrison) sul finale dell’episodio, promettendo un incontro successivo. Menzione speciale, in questa sezione, il pianeta Tatooine coi suoi inconfondibili due soli. I più attenti, poi, avranno notato la forte somiglianza tra la speeder bike di Cobb Vanth e lo sguscio di Anakin Skywalker: che il motore venga proprio dal vecchio gioiello da corsa, magari venduto a pezzi come un rottame? Speriamo di scoprirlo.

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