
Bambi – Un paradiso riconquistato | Disney+ Revisited
Con il rilascio di Disney+ e la messa a disposizione di tutti gli abbonati di un vastissimo catalogo di prodotti marchiati Disney, i Classici d’animazione senza tempo che hanno accompagnato diverse generazioni di spettatori si trovano ora immersi nell’eterno presente delle piattaforme digitali. Con Disney+ Revisited analizziamo che effetto fanno oggi questi film, a cui viene restituita una nuova vita commerciale.
«Bambi è già un balzo verso l’estasi, autentica, eterna: il tema è il cerchio della vita, i cerchi della vita che si ripetono. […] Bambi è, naturalmente, il coronamento del saggio su Disney». L’elogio scritto da Ejzenštejn parla chiaro: con Bambi, quinto Classico d’animazione Disney, il papà di Topolino porta sul grande schermo il suo manifesto estetico, il quale riesce a far regredire lo spettatore a una sorta di ancestrale primitivismo, un poetico Paradiso riconquistato.
Ispirato al romanzo di formazione Bambi, la vita di un capriolo di Felix Salten, la pellicola cattura autopticamente il ciclo vitale di un cerbiatto che, stagione dopo stagione, abbandona progressivamente l’infanzia per diventare futuro Grande Principe della foresta. Per immedesimarsi appieno nella vicenda del protagonista tuttavia, bisogna accogliere in sé il richiamo del bosco. Le malinconiche note dell’ouverture infatti accompagnano lo spettatore a una familiarizzazione con quel microcosmo, soffermandosi su ritmi e gerarchie, segreti e splendori. Stella cometa verso un’animalesca natività: una volta immersi in questo sogno ad occhi aperti, la storia può iniziare.
Sfociando sporadicamente nelle tinte espressionistiche sperimentate nel primo classico d’animazione, l’ambientazione risulta una perfetta estensione visiva della foresta di Biancaneve e i Sette Nani. Perfettamente aderente a un solenne realismo, essa si promuove specchio visivo delle sensazioni di Bambi e del suo vissuto. Ecco dunque che infanzia prima e innamoramento poi vengono ambientati in contesti primaverili, mentre la cruenta dipartita della mamma cerva nel più rigido giorno d’inverno. Comuni denominatori a tutte le scenografie sono un sapiente utilizzo dei colori – tonalità cupe per scene tetre come la lotta di Bambi nel bosco, mentre per la primavera prevalgono i colori caldi – e uno stile aulico e composto.
Cedendo all’illusion of life, il traboccante realismo dell’ambientazione si riversa in parte anche nei suoi personaggi. A differenza dei precedenti animali disneyani, l’antropomorfismo di Bambi e la sua corte non sembra passare mai un certo segno: inseguendo una dimensione utopica, Disney chiede a questi caratteri di gareggiare con la realtà stessa. Per tale ragione, nelle fasi di progettazione del film il regista si dota di un piccolo zoo di conigli, moffette e cerbiatti: gli animatori devono poter studiare da vicino i soggetti da rappresentare, facendo affidamento su un gruppo di pittori di animali ed un team di esperti in anatomia.
Alla luce di ciò, più che un cerbiatto umanizzato, un’interessante chiave di lettura è quella di un Bambi come essere umano rianimalizzato: una regressione al totemismo puro, dove la favolistica analogia a comportamenti e caratteristiche umane altro non serve che da bussola per individuare il proprio totem. Ma attenzione: qualora lo spettatore non riuscisse a ritrovare la sua origine ancestrale, la magia svanisce. Egli diventa invisibile, una crudele minaccia, proprio come quello sguardo umano in soggettiva da cui la foresta deve imparare a proteggersi.
In definitiva dunque Bambi è, insieme a Fantasia, il film più estremo del primo periodo dei lungometraggi d’animazione Disney. Destreggiandosi tra momenti di elegante comicità e situazioni cupe e poi patetiche, lo “stra-ordinario” mondo di Bambi conquista pubblico e critica, nonostante la chiusura dei mercati europei causa Seconda Guerra Mondiale ne impediscano il pieno successo economico al botteghino.
Ciò che sicuramente Bambi lascia in eredità ad alcune produzioni successive è il suo poetico realismo radicato nel mondo animale. Esso conosce nuova vita in Perri (1957), primo documentario della serie True Life Adventures, sempre tratto da un’opera di Felix Salten. Stavolta però il richiamo della foresta percorre la via degli animali dal vero in scenari artificiali, attenuando inevitabilmente il fascino antropologico della pellicola datata 1942. La strada per il Paradiso riconquistato, segue la produzione animata.
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