
La realtà, la distopia, l’immaginario – Se continua così di Mauro Gervasini
“La realtà è quella cosa che, quando smetti di crederci, non svanisce”, scrisse una volta Philip Dick. La sua biografia lo provò in errore: da un certo momento in poi della sua vita sparì la realtà, per essere soppiantata da un sogno paranoico attraversato da notevoli intuizioni tra il politico e il cosmogonico; e alla fine sparì anche Philip Dick. L’importanza della sua opera letteraria ha fornito una nuova base all’immaginario della fantascienza dagli anni ottanta fino ad oggi, la sua vorticosa vita intellettuale ha dato materiale per un romanzo-biografia ad un altro scrittore del calibro di Emmanuel Carrère.
Se, come ha ampiamente ripetuto Azar Nafisi nel suo saggio nabokoviano Quell’altro mondo, recentemente portato in Italia dall’Adelphi, la fantasia può essere uno strumento nascosto per sfuggire all’oppressione dei regimi e della Storia, ancora più spesso la capacità di immaginare ed inventare storie diventa un modo per prevenire il futuro. La distopia è il “genere di prevenzione”, la cautionary tale per eccellenza della narrativa moderna e contemporanea, a maggior ragione dopo l’aumentata consapevolezza attorno ai problemi del global warning: prendendo spunto dalla domanda per eccellenza da cui prendono le mosse gran parte delle distopie, “se continua così chissà dove andremo a finire”, lo studioso Mauro Gervasini, firma abituale di FilmTv, ha tentato un’importante excursus sulle distopie fantascientifiche dell’ultimo secolo, che si conclude su un campo raramente affrontato in ambito accademico, la fantascienza italiana di Valerio Evangelisti, scrittore recentemente scomparso a cui è dedicato il volume.

“Spesso la si considera e la si definisce come l’antiutopia”, si legge nella prefazione di Gianni Canova che apre il volume, edito da Mimesis Edizioni, “in realtà, se c’è un ‘sentire’ che tutto il più recente immaginario distopico ci consegna in modo inequivocabile, questo riguarda proprio la congenita e fondativa contiguità tra utopia e distopia. Detta brutalmente: non c’è utopia che non contenga in sé i germi totalitari della distopia”. Questa ambivalenza attraversa tutto il volume, è il prisma attraverso cui scorrono le opere citate, sia pure tutte di stampo distopico; ma in molti film distopici, dal franchise crossmediale Snowpiercer a Elysium di Neill Blomkamp, che nel saggio di Gervasini non viene citato, il passaggio dalla distopia all’utopia è una distinzione meramente geografica, e la differenziazione tra i due abiti, non molto diversamente che nella nostra realtà, dipende unicamente dall’appartenenza a una determinata classe sociali: ai più ricchi l’Eden, o il presunto tale, ai poveri la Geena, il Fondo, una Terra ormai in rovina.
Il punto di partenza di Se continua così di Gervasini non può essere che Metropolis di Fritz Lang, con il suo sogno di “città totale” al tempo stesso vicino e lontano dall’immaginario marxista, ma sicuramente più interessante dell’analisi sul capolavoro di Lang, se non altro perché meno frequentato in excursus accademicidi questo tipo, è il capitolo Pastorale americana (la distopia politica nel cinema statunitense). Messi da parte i riferimenti “obbligati” ai vari Metropolis, 1984 libro e film, I figli degli uomini e via dicendo, Gervasini si immerge nelle distopie più contemporanee, non ancora assurte al livello di classici, analizzando dapprima come la realtà politica americana dell’ultimo decennio si è riverberata sul franchise action-horror targato Blumhouse di The Purge – La Notte del Giudizio, poi affrontando criticamente il nesso tra “capitale, lavoro e lotta di classe” per com’è rappresentato da In Time di Andrew Niccol, più noto per Gattaca. Dopo un interessante riferimento al sottovalutato Il tempo dei lupi del grande autore austriaco Michael Haneke, Gervasini affronta anche il tema della fantascienza distopica di stampo ecologico, soffermandosi soprattutto su Dune libro e film, sullo Snowpiercer di Bong Joon-ho e sulla prima parte di Interstellar di Cristopher Nolan: ma di nuovo, superati i riferimenti “obbligati” a questi film e a 2022: i sopravvissuti, un nuovo capitolo ben più interessante è quello dedicato all’epopea di Blade Runner, con un’analisi comparata di Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Dick, il primo film diretto da Ridley Scott e il controverso Blade Runner 2049 a firma di Dennis Villeneuve, lo stesso regista di Dune. Con un’appendice dedicata all’immaginario di Valerio Evangelisti e soprattutto al suo Metallo urlante si chiude il volume.

Il volume di Gervasini certo resta quasi sempre nell’ambito della fantascienza, senza tentare scavalcamenti di campo – sull’ambigua contiguità tra utopia e distopia può essere interessante recuperare anche le fonti originarie del problema, scoprire la medesima ambiguità negli scritti di illuministi e positivisti. In questa lettura endogena della fantascienza Gervasini non manca di categorizzare con decisa precisione alcuni capisaldi del genere, come quando parla dell’“umanesimo di fondo” del cinema di John Carpenter e di Ridley Scott, che in Blade Runner viene esteso anche ai non-umani, o quando afferma che il passaggio al cyberpunk, inaugurato da William Gibson, avviene proprio quando dal “romanticismo antropocentrico” della fantascienza degli anni settanta e dei primi anni ottanta si passa a un “tecnologico distacco” che sarebbe poi esploso con la fantascienza degli anni novanta, fino a Matrix – un’alienazione a cui Strange Days di Kathryn Bigelow, con i suoi accenti anche letteralmente millenaristici, provò a mettere una pezza.
“Fu quando l’uomo stava per raggiungere la felicità e intravedeva un futuro senza malattie e senza miseria, senza lavoro ingrato né terrore, giusto agli albori di questo secolo, fu allora che avvenne l’irreparabile e ritornarono le forze del passato, più trionfanti che mai, portate dalla fiumana degli uomini in soprannumero”, scriveva il pessimista greco Alberto Caraco nel Breviario del caos. Difficilmente si può capire il Novecento, sul fronte dell’immaginario, senza il ricorso al concetto di distopia, alla traduzione narrativa dei totalitarismi che caratterizzarono larga parte dello scorso secolo, e di cui perennemente fu temuto il ritorno. Se continua così di Gervasini è un contributo compendiario ma puntuale a una questione che dalla narrativa si slancia subito verso la storia – e viceversa.

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