
Essi vivono, noi dormiamo – John Carpenter tra gnosi e tragedia
Correva l’anno 1988, la presidenza Reagan si avvicinava al termine, e, mentre Paul Verhoeven tracciava la sua satira fantascientifica sull’America tra Robocop e Total Recall sostenuto dai maggiori studios hollywoodiani, il frontman dell’horror indipendente John Carpenter dava il suo contributo al genere con Essi vivono. Forse mancava Arnold Schwarzenegger come protagonista, ma il film di Carpenter era altrettanto incisivo dei blockbuster di Verhoeven, e, sotto una forma grezza, attraversato da echi culturali anche più profondi.

Essi vivono sin dall’incipit è diverso dalle comuni storie di fantascienza: vediamo infatti il protagonista John Nada (Roddy Piper), disoccupato, venire a Los Angeles in cerca di lavoro, e improvvisarsi operaio in un cantiere edile, dove fa amicizia con l’afroamericano Frank (Keith David). Da questi primi minuti il film sembra quasi un social drama di denuncia, ma il racconto prende una brusca piega quando Nada trova, sul muro di una chiesa in realtà adibita a rifugio di un gruppo di resistenza clandestino, la scritta “essi vivono, noi dormiamo”.
Essi vivono è, senza dubbio, un assommarsi di spunti. Si tratta, innanzitutto, di un curioso caso narratologico in cui una struttura narrativa folgorante è controbilanciata da una forma incerta e uno stile rude: il risultato è una narrazione squilibrata tra l’iconico e il dispersivo. È più a livello strutturale che narrativo che in Essi vivono si presentano alcuni schemi archetipichi oltremodo significativi. È difficile dire quanto John Carpenter stesso, un regista più politico che autoriale in senso dotto, ne fosse a conoscenza: gli archetipi si propagano di storia in storia senza che il singolo autore sia necessariamente a conoscenza della loro genealogia, ma al tempo stesso alcuni dei riferimenti che il film scomoda sono espliciti, e dall’indubbio simbolismo a tratti complottista.

Uno degli elementi più vistosi del sottotesto di Essi vivono lo si ritrova nella sua vicinanza con l’immaginario gnostico. La gnosi, questa “eresia eterna” sorta parallelamente al diffondersi del cristianesimo nell’Impero Romano, vantava di essere in possesso di insegnamenti esoterici di Gesù che rivelavano come il mondo sia in realtà stato creato da un malvagio Demiurgo di cui l’umanità è schiava. Lo gnostico, con un’intuizione, approdava alla conoscenza della verità, riscopriva la sua filiazione divina e non desiderava altro che liberarsi del mondo per approdare nel vero Dio del tutto trascendente, di cui riconosceva una “scintilla” presente nella propria anima.
In che modo una delle più antiche eresie cristiane si relaziona con un film del 1988 a firma di John Carpenter? È innanzitutto una questione di sguardo. Le modalità con cui John Nada gradualmente si avvicina alla scioccante verità che rappresenta il maggiore colpo di scena del film – gli Stati Uniti e quindi il mondo intero sono stati invisibilmente colonizzati da una razza di alieni sfruttatori, che rivestono i principali posti di controllo nella politica e nella finanza, e che solo uno speciale tipo di lenti camuffate da occhiali da sole permettono di smascherare – sono decisamente vicine a una dinamica di “adescamento gnostico”, al modo in cui, verosimilmente, un uomo del I o del II secolo poteva entrare a far parte degli iniziati della gnosi.
Tutta la prima parte del film si svolge tra il cantiere e una vicina chiesa dove Nada si impadronisce degli occhiali che gli permettono di vedere il mondo quale esso è: echi delle persecuzioni cristiane dei primi secoli sotto l’Impero si lasciano scorgere nel momento in cui la chiesa, sede di uno dei nuclei della resistenza umana contro gli alieni, viene sgomberata, ma il film vuole lasciare un messaggio ben più incisivo, lo stesso messaggio lanciato dalla gnosi storica e ripreso da moderni gnostici come Philip Dick o Alan Moore – l’Impero non è mai finito, o almeno, in questo caso è ricominciato.

Gli echi archetipici del film di Carpenter sono ben lontani dall’essere finiti. Messa da parte la patina iniziale da dramma da denuncia, Essi vivono è a tratti scanzonato, con la scena della scazzottata tra Keith David e Roddy Piper che, anche grazie alla sua durata oltre il verosimile e oltre il canonico filmico, è quasi surreale – ma, strutturalmente, Essi vivono è una tragedia nel senso tecnico del termine. Il film di Carpenter mette infatti in scena un dispositivo narrativo tale per cui a una visione involontaria del protagonista, segue una rivelazione scioccante che mette in dubbio tutto il suo rapporto con il reale, o meglio con il sociale. Essi vivono è insomma un “dramma ottico”, verrebbe da dire, riprendendo l’espressione con cui il filosofo francese Gilles Deleuze definiva certi film di Antonioni.
Nella sua semplicità, questo è il pattern standard della tragedia: una serie di rivelazioni, rivelazioni che possono essere graduali “ritorno del rimosso” o vere e proprie teofanie, che si intensificano fino ad arrivare ad una scioccante visione finale – il più delle volte lasciata dietro le quinte dal teatro greco, che proibiva la rappresentazione del sangue sulla scena. L’Edipo re è magistrale in questo senso, e assume aspetti quasi metateatrali – ma tutte le tragedie corrispondono, alcune più alcune meno, a questo schema, in cui la visione scioccante dei protagonisti è in qualche modo riverberata dalla visione che il pubblico ha del loro shock. Il percorso esistenziale di un eroe tragico non è per nulla diverso dalle vicissitudini di John Nada, per quanto queste siano calate, oltre duemila anni dopo i palchi dei teatri ateniesi, in una moderna metropoli come Los Angeles.

L’assommarsi di un immaginario gnostico e di una struttura tragica nel percorso esistenziale tracciato da Nada in Essi vivono assume un ulteriore livello di complessità archetipica allorché si riconoscono in lui tratti cristologici nel senso stretto del termine. Anche se rude, cinico, in fondo un po’ volgare, Nada è proprio uno degli “ultimi” di cui parlava il Vangelo, un disoccupato in cerca di lavoro, un vero e proprio emarginato sociale a cui non mancano tratti anarcoidi; e l’immaginario cristiano permea un po’ tutto il film, dal momento che i primi suggerimenti che Nada riceve di dubitare della realtà che vede vengono proprio da un misterioso predicatore cieco e da un criptico graffito nella chiesa, e gli stessi occhiali da sole alla base del geniale meccanismo ottico che ha reso simbolicamente potente il film Nada li ritrova sempre nella chiesa dopo che il rifugio della resistenza è stato sgomberato. Non per nulla alla fine del suo personale processo di risveglio e presa di consapevolezza che Nada, invece di tentare un’impossibile strage di tutti gli alieni imboscati nel nostro mondo, fa un gesto molto più semplice e molto più potente, quello di denudare il re.

Se la Trilogia dell’Apocalisse propriamente detta di Carpenter – La Cosa, Il Principe del Male e il metacinematografico Il seme della follia – si manteneva piuttosto lontana dai meccanismi dell’Apocalisse cristiana fino quasi a parodiarne l’immaginario nel Principe del male, in Essi vivono viene completamente restaurata l’idea dell’Apocalisse come “epifania” e ribaltamento, come svelamento – e quindi come smascheramento, e quindi come punizione – dei veri padroni del mondo, e di colui che di questo mondo è appunto il principe – Satana, o, direbbe Carpenter, il capitalismo.
Nada è cristologico sia nel compiere questa rivelazione, che ancor più nel morire, verosimilmente, per essa, quando sceglie, invece di provare a difendersi dall’elicottero che lo ucciderà, di sparare contro le antenne dell’emittente televisiva in cui si era infiltrato per far cessare il segnale che “copriva” gli alieni agli occhi degli uomini. La gnosi, prima ancora di essere un’eresia, è uno sguardo, su questo concordano diversi autori: uno sguardo sul mondo di smascheramento e di estraneità, uno sguardo di decostruzione, quasi irridente nei confronti dei sedicenti poteri costituiti. In questo, il ruolo messianico che John Nada svolge al termine di Essi vivono rivelando a tutti gli abitanti di Los Angeles e forse del mondo dell’infiltrazione aliena sul nostro pianeta non è dissimile dal ruolo rivestito dal Neo di Keanu Reeves in The Matrix, dove è esplicitamente chiamato l’Eletto.

Un ultimo inciso. A proposito di apocalissi, e contemplazioni folgoranti, e di fatalismi di facciata, e decostruzioni, non si può non citare Di un tono apocalittico adottato di recente in filosofia, uno dei più straordinari librettini del Novecento, a firma del grande filosofo francese Jacques Derrida, campione della decostruzione. Se non fosse che il saggio è uscito in Francia nel 1983, ed Essi vivono è stato distribuito nel 1988, avremmo pensato che Derrida, a un certo punto della trattazione, cita Carpenter – ce lo potremmo aspettare da un filosofo come lui, così legato al concetto di contaminazione, a un certo fare joyciano nella prosa. Derrida sta parlando dell’improbabile nesso tra apocalisse e seduzione, riferendosi a quanti, profeti o filosofi che siano, si rifanno a tonalità apocalittiche proprio per accattivare l’interlocutore, per sedurre un pubblico e volgerlo ai propri fini. “La fine è tra poco, è imminente, vuol dire il tono. Lo vedo, lo so, te lo dico, ora tu lo sai”, insomma “sono il solo a poterti rivelare la verità o la destinazione” grazie alla quale pochi iniziati potranno essere “i soli sopravvissuti”. Insomma, “loro dormono, noi vegliamo”.

Tutto questo è molto interessante, e attuale in una maniera stringente. Ogni forma di complottismo attinge proprio al compiacimento narcisistico di essere tra i pochissimi depositari di una verità tenuta segreta dai “poteri forti”, che solo la propria intelligenza ha svelato rispetto all’ignoranza dei più. Era questo, in fondo, il retroterra psicologico della stessa gnosi. Essi vivono di John Carpenter, che ribalta il gratificante “noi vegliamo” usato a mo’ d’esempio da Derrida, mostra al contrario una realtà complottista farsi reale sotto gli occhi increduli del protagonista. Il complottismo ha quasi sempre torto nei contenuti, non ha torto nella struttura, che essenzialmente constata la presenza di altre strutture nascoste che reggono il mondo – a un livello ontologico, nel caso della gnosi, su una dimensione socio-politica, nella maggior parte dei complottismi contemporanei. Essi vivono non vuole essere complottista, ma vuole tratteggiare una metafora che espliciti in maniera efficace i margini di persuasione occulta che stanno dietro alla pubblicità, la positività coatta che sta alla base del capitalismo consumista, in cui la scelta del bene, e soprattutto del bene superfluo, è tutt’altro che libera – la visione di Carpenter sarebbe piaciuta a un Pasolini, anche perché si pregia di tratti apocalittici che prevedono il futuro del consumismo in una sua autodistruzione, in un inevitabile quanto goffo crollo del castello di carte.

In Essi vivono tutto – come accadeva già nelle tragedie scritte in una lingua come il greco che si pregiava di usare lo stesso etimo per “vedere” e “pensare” – ruota intorno allo sguardo, tanto allo sguardo dei dominati quanto allo sguardo dei dominanti, e alle possibilità che questo sguardo, prendendo coscienza della realtà dei rapporti di forza, possa, un po’ sulla falsariga di Marx che rivela e distingue le sovrastrutture dalle strutture – semplicemente, rivoluzionare il mondo. Non per nulla, la conclusione generale a cui Derrida approdava nel suo pamphlet era che “l’Apocalisse è essenzialmente una contemplazione”. Dal momento che l’Apocalisse non è per forza una distruzione integrale, dal momento che come insegna il concetto cristiano di eschaton un’apocalisse può anche sancire le radici di un mondo nuovo e più giusto – a John Nada piace quest’elemento.
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