
“Ms. Marvel” è un grande “nonostante”
A quanto pare Ms. Marvel è un grande “nonostante”. È una concessione paternalista, un’ammissione forzata e stentata. C’è poco da girarci attorno, almeno in questo primo episodio la serie Disney+ su Ms. Marvel ha spaccato tantissimo (a parte la critica, quella per ora l’ha tenuta unita). Ha spaccato con un impianto narrativo e visivo fortemente contro-corrente, a metà tra i virtuosismi grafici di Into the Spider-Verse e una scrittura scoppiettante. Eppure la campagna di negatività per Ms. Marvel è partita fin dai primi trailer. Non una vera e propria shitstorm, quella no, quanto un altezzoso disinteresse da parte di una certa “critica di immediato consumo” (pare il modo più corretto per definire coloro che pensano che la critica sia equiparabile a una condivisone di opinioni tramite un post dove mettono a fianco del poster del film/serie il loro faccione/reaction) la quale, nascondendosi dietro una finta umiltà («non è il mio genere…»), si trovano quasi a malincuore ad ammettere che questo primo episodio li ha sorpresi.

Se è innegabile che Kevin Feige abbia detto di voler puntare sempre di più su varietà e diversificazione in questa Fase 4, è anche vero che “Marvel” – come “Disney” in questo senso – è ormai sinonimo di un genere vero e proprio con stilemi ben riconoscibili. Anzi, la Casa delle Idee, almeno nei fumetti, è praticamente da sempre sinonimo di varietà pur mantenendo una propria solida coerenza nel corso dei decenni. Dire quindi «nonostante non sia il mio genere, mi piace», dopo aver seguito assiduamente ogni produzione Marvel Studios dal 2008 ad adesso, è già di per sé una mancanza di rispetto verso sé stessi. Ma andiamo con ordine. Al di là di quello “Marvel”, a che genere apparterebbe la serie su Kamala Khan? Molti dicono “Teen Drama” pensando in questo modo di screditare una serie che non può ostentare chissà quale austerità o crudezza. La equiparano probabilmente, almeno a livello di genere, a Dawson Creek o a Gossip Girl, pensando in questo modo di poter far coincidere un loro legittimo gusto personale a un giudizio di valore a priori.

Fa ancora più sorridere la sfilata di «non conosco il personaggio, non ho mai letto i fumetti, però mi ha sorpreso lo stesso». Chiaramente è legittimo non conoscere un personaggio – anche se questo personaggio fa parlare di sé da anni ormai, quindi se non lo conosci è probabilmente anche perché non vuoi, ma ok – ma proprio perché non lo si conosce come si fa ad affermare a priori che non è il proprio genere? Ancora una volta, come era successo a suo tempo con Eternals, non sappiamo recensire un prodotto che sfugge alle nostre aspettative. E se il film di Chloe Zhao poteva essere legittimamente accusato di rifarsi a un immaginario veramente poco noto e a tematiche inedite per un film Marvel Studios, lo stesso non si può dire di Ms. Marvel che invece è un personaggio che in appena 8 anni di pubblicazioni, complici anche serie animate e videogiochi, è riuscita a ritagliarsi un’importante fetta di pubblico appassionata.

Ma veniamo ai motivi per i quali Ms. Marvel ha convinto così tanto critica e pubblico: alla base c’è sicuramente il talento e la passione di Iman Vellani, la quale mette in scena tutto lo spettro di sentimenti contrastanti che si agitano in un’adolescente del Jersey di origini pakistane appassionata di supereroi e fan-fiction. C’è una scrittura consapevole e rispettosa (almeno per quanto può giudicare un maschio bianco occidentale come lo è chi scrive) della comunità islamica e pakistana in America; ma sopratutto c’è la concretizzazione in grande di un tema che è sempre stato il filo rosso della Marvel per tutta la Fase 4 e in particolare su Disney+ dall’esordio della piattaforma e cioè la narrazione della rappresentatività e diversità culturale. Chi infatti ha seguito la serie di dietro le quinte Assembled e ha visto la docuserie Marvel 616 sa bene che la grande missione della Marvel da un po’ di tempo a questa parte è proprio la narrazione della diversità. Da Shang-Chi a Eternals, passando ovviamente per Ms. Marvel, la Casa delle Idee si sta impegnando per dare il giusto spazio a tutte le possibili comunità e minoranze che abitano gli Stati Uniti. E anche quando non si tratta di minoranze etniche ma di personaggi caucasici la Marvel non perde occasione per trattare il tema trasversalmente (si veda in Moon Knight l’esordio di Scarlet Scarab).

Ms. Marvel è quindi ciò che la Marvel è in questo periodo storico, una vetrina sulla diversità culturale, certo in salsa pop e mainstream, ma comunque molto variegata e diversificata. Ci saranno sempre quelli che diranno «la Marvel è un’altra cosa, non era tutto questo politicamente corretto!» e a costoro va ricordato che negli anni ‘60 Daredevil era uno dei primi personaggi a fare della sua disabilità un punto di forza. Frank Miller avrà poi coperto il tutto con abbondante salsa noir negli anni successivi, ma appunto cosa vogliamo dire della Marvel delle origini, che pescava a piene mani da categorie e comunità notoriamente discriminate? Ma anche senza andare così lontano, va ricordato che i Marvel Studios di adesso sono una diretta continuazione della tanto vituperata gestione di Axel Alonso alla Marvel Comics (che appunto ci ha regalato fra gli altri la nuova Ms. Marvel) e che all’epoca fu fortemente criticata per la presunta mancanza di storie interessanti.
Certo, anche il sottoscritto avrebbe piacere a veder trasposta la violenza grafica del Moon Knight di Charlie Huston, ma difficilmente smetteremo di seguire la Marvel qualunque cosa sfornerà perché ormai ci ha fidelizzato e ci offre a ogni stagione la speranza di vedere qualcosa che rispecchi esattamente le nostre aspettative. A questo giro tocca alla generazione Y (la Generation Why che dà il titolo all’episodio oltre che a una canzone di Conan Gray) e va bene così, nonostante tutto.
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