
Captain Marvel: timidezza e emancipazione
Persino in fisica c’è una differenza sostanziale tra un’onda e un oggetto che segue un’onda. La prima crea un turbamento, uno sconvolgimento nell’ambiente, il secondo si aggrega ad esso ma senza inficiare direttamente sull’ambiente. Capitan Marvel è quell’oggetto in scia: segue un’onda, in questo caso già scatenata da Wonder Woman (qui la nostra recensione), ma non riesce mai a trovare una personalità propria, il carisma necessario che ci si aspetta, se non dalla prima protagonista femminile Marvel, almeno da quella che, a conti fatti, dovrà sconfiggere Thanos il mese prossimo. E la “colpa” (se di colpa si può parlare) non è di una persona in particolare, ma di tutto un sistema, che parte dalla produzione e arriva fino agli sceneggiatori, che ha imbastito un’incredibile campagna promozionale per il personaggio interpretato da Brie Larson, ma che non è riuscito a reggere il confronto con l’attesa che ha creato. Capitan Marvel è un film “carino”, di quel carino che diverte e fa sorridere col suo citazionismo e la sapiente emulazione di alcuni stili, ma non convince mai pienamente lo spettatore di stare assistendo a una pellicola fondamentale per l’MCU, bensì a un film inaspettatamente timido e che osa poco per le aspettative che aveva creato.

Cominciamo col dire che gli errori di Capitan Marvel, a voler prenderla larga, risalgono a quel famigerato (lo definiamo così adesso) 23 luglio 2016 durante il quale, tramite Twitter e una foto mozzafiato, apprendiamo che l’attrice premio Oscar per “Room” (Lenny Abrahamson, 2015) Brie Larson interpreterà il personaggio di Carol Danvers. Il mondo non aveva ancor finito di metabolizzare “Captain America: Civil War” che già i Marvel Studios avevano propinato al pubblico vorace dei nerd un nuovo volto da adorare senza ancora sapere cosa potesse fare. Seguiranno alcuni proclami del boss Kevin Feige, che non mancherà di definire Carol Danvers “il più potente eroe dell’MCU, in grado – addirittura – di spostare pianeti”. Inutile dire che le aspettative collettive sul personaggio salirono alle stelle. Se aggiungiamo poi la scena post-credits di “Infinity War” otteniamo un diabolico piano, perfettamente orchestrato, per esaltare tanto il personaggio quanto il film in arrivo. Giunti in sala però, la sensazione che si ha è che pubblico e produzione abbiano chiesto troppo a un personaggio che aveva su di sé fin troppe responsabilità: essere la prima supereroina protagonista di un blockbuster Marvel; essere un ponte retroattivo tra Infinity War e Endgame; presentare un’altra buona metà del cosmo Marvel; fungere pure da storia delle origini per Nick Fury. Decisamente troppo anche per una supereroina cosmica della famiglia dei Marr-Vell, ma andiamo con ordine.

La sceneggiatura, scritta in parte anche dai registi Anna Boden e Ryan Fleck, si ispira solo in parte ai fumetti di provenienza, presentandoci delle situazioni da action movie anni ’90 probabilmente non del tutto digeribili per il pubblico attuale. Inseguimenti in auto, scene di lotta montate in maniera volutamente esagerata e dialoghi talvolta impacciati rendono la fruizione della storia non poco difficoltosa per chi è abituato agli action contemporanei o anche solo ad altri film del MCU più famosi. Diciamolo, la nostalgia anni ’90 non sortisce lo stesso effetto di quella anni ’80 e per questo il film soffre. Ma la storia non è affatto male sia chiaro; Carol Danvers, nella sua versione cinematografica, è una specie di Jason Bourne alle prese con una guerra intergalattica. I villain risultano ben caratterizzati e piacevolmente sorprendenti (menzione speciale per Ben Mendelsohn soltanto per le ore di trucco che gli hanno permesso di essere Talos), anche se la svolta “attualistica/umanitaria” che il conflitto Kree/Skrull assumerà dopo la prima metà del film potrebbe non convincere appieno quei lettori del fumetto che si aspettavano una sorta di “Iliade” della cosmologia Marvel. Sottotono invece i personaggi secondari, uno su tutti il Nick Fury di Samuel L. Jackson, qui ridotto a una specie di macchietta comica per esaltare la protagonista.

Proprio la protagonista, forse non sorprendentemente, è il vero punto di forza di tutto il film, ma a differenza degli altri film “monografici”, nei quali “il tal attore sembra nato per interpretare il tal personaggio”, in questo caso dobbiamo affermare che Carol Danvers sembra essere stata creata per essere intrepretata da Brie Larson e dalla sua fisicità. Ne risulta un personaggio femminile, anche se sicuramente non adeguatamente approfondito come la “Wonder Woman” di Gal Gadot (o sfaccettato come la “Jessica Jones” di Krysten Ritter), veramente emancipato e al passo coi tempi, degno di quel pubblico che chiede a gran voce una protagonista donna che non sia la classica “femme fatale” in spandex o l’aiutante del protagonista maschile. A dirla tutta la vera rivoluzione di Captain Marvel è proprio quella di averci finalmente dato un personaggio femminile al quale non dobbiamo chiedere conto di alcun debito emotivo. Carol non deve rendere conto a nessuno delle proprie emozioni e cosa forse ancora più importante, Carol non si innamora di nessuno nel film, né è mai corteggiata o resa oggetto di desiderio. Caratteristica questa assolutamente inedita per un fim Marvel e in genere dei film di supereroi. Eppure l’amore, inteso qui come massima estroversione dell’empatia, si rivelerà fondamentale nel corso della vicenda. I dubbi sul personaggio sono di ben altra natura semmai e tutti legati a quanto i registi, sceneggiatori e tecnici degli effetti visivi hanno scelto di mostrarci: davvero basterà qualche raggio fotonico e l’aria da dura per sconfiggere Thanos?

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