
Ma quindi com’è la Snyder Cut di “Justice League”?
Zack Snyder iniziò con la Citterio. Esatto, proprio il marchio modenese di salumi e affettati che ha fatto la fortuna nei supermercati con le sue “Sofficette”. I più anziani tra i millennials ricorderanno lo spot “Bubi” del 2002, nel quale un Sylvester Stallone che aveva già iniziato la sua lenta metamorfosi in Renato Pozzetto salvava dei passeggeri di una nave da un improbabile gruppo di terroristi. Non si tratta di banale aneddotica ma di fare una riflessione che parta da lontano per provare a esprimere un giudizio non solo sulla tanto attesa (e discussa) Snyder Cut di Justice League ma anche e sopratutto sulla figura del regista, forse tra i più controversi registi mainstream di questa generazione. E quindi com’è la Snyder Cut di Justice League? E sopratutto, cosa ci è lecito sperare per Zack Snyder entro i limiti dei soli cinecomics?

La formazione di Zack Snyder risale agli spot pubblicitari e ai videoclip musicali. Sarebbe facile in quest’ottica andare a recuperare i suoi primi lavori per divertirsi a scorgere elementi profetici di ciò che sarebbe venuto dopo. Più onesto sarebbe invece limitarsi a tenere presente che Snyder nasce di fatto come pubblicitario e, sia che si tratti delle fette di prosciutto o di una canzone dei Soul Asylum, la sua mission come regista era il product placement e tale è rimasta anche quando è approdato al cinema. Forse è qualcosa che si può dire di tutto il cinema mainstream – l’aver messo in scena prodotti da vendere e non storie da raccontare – ma sarebbe un’accusa sbrigativa e non del tutto fondata. Più senso ha semmai riconoscere che belle storie possono scaturire anche da prodotti destinati alla vendita. Snyder invece vende e ha sempre venduto anche quando fa cinema. Il suo uso della slow motion, i suoi campi lunghi studiati per ricalcare le splash page dei fumetti, il suo uso ossessivo della musica, ora Pop, ora Classica, tradiscono la sua anima da venditore incallito e appassionato. Non a caso, per una certa critica, le versioni migliori dei suoi film sono i trailer.

La Snyder Cut di Justice League non fa eccezione in questo senso: un’immensa campagna pubblicitaria atta a mettere in mostra un prodotto che non vedremo mai, ovvero la visione dell’Universo DC secondo Snyder. Muovendosi a cavallo tra innovazione e tradizione, Snyder immagina un’epopea di super eroi dove paradossalmente non c’è alcun vero protagonista se non il regista stesso che tra una scena a rallenti e l’altra sembra ricordare di avere anche una storia da raccontare. In realtà le storie da raccontare sono tante: la venuta di Darkseid, di cui un fastidiosissimo Steppenwolf è l’ambasciatore; un Batman che scimmiotta le atmosfere di Frank Miller senza andarci neanche lontanamente vicino; la rinascita (molto cristologica) di Superman mentre Aquaman e Wonder Woman fanno a gara tra chi sa mettersi in posa meglio. A uscirne discretamente vincitori sono i giovani Cyborg e Flash, qui personaggi con una profondità sia pure accennata ma effettiva. Alla fine forse la storia in sé non sarebbe neanche malaccio se non fosse per le eccessive e eccessivamente brusche pause di ritmo contornate dai cori angelici, vero e proprio marchio di fabbrica di ogni slow motion snyderiano.

Ma riesce la Snyder Cut a farci dimenticare la terrificante versione del 2017? Sì e no. È triste doverlo ammettere ma nei suoi momenti peggiori il film presta il fianco a tanti difetti tipici del cattivo cinecomic (pessima scrittura, CGI a profusione, brutta regia) ed è difficile non bollarlo a tratti come prodotto mediocre e insignificante. Non lo facciamo solo perché “per fortuna” ci ricordiamo che il film potrebbe essere (ed effettivamente è stato) peggio; ma se un film per essere apprezzato ha bisogno di un confronto con la mediocrità, allora c’è decisamente qualcosa che non va e quel qualcosa è l’idea che i fan e il regista hanno di Snyder stesso. Chi è profondamente Zack Snyder? Un regista visionario? Un appassionato dei fumetti di Miller e Moore? Un pubblicitario con manie di grandezza? Tutte e tre queste cose? È indubbio che attorno al regista americano si sia creato un vero e proprio culto, ma questo culto, fin troppo simile a una religione, impedisce ai più di accettare la realtà dei fatti: Snyder è un regista perfettamente nella media dei canoni hollywoodiani, con certamente qualche idea degna di lode e uno stile caratteristico, ma anche tanto sopravvalutato da sé stesso e dai fan.

In conclusione la Snyder Cut riesce nell’intento di riscattare almeno in parte la prima odiosa versione del 2017 del film a costo però di ricordarci che senza senza quel fallimento (causato tra l’altro da un lutto familiare che è bene non dimenticare) una simile versione non avrebbe mai avuto motivo di esistere. Perciò non gridiamo al capolavoro o alla rinascita di Snyder e per favore smettiamola di invocare il tanto desiderato “Snyderverse” qualunque cosa essa sia. Il difetto principale di Snyder, che è poi un cortocircuito motivato forse anche da intenzioni lodevoli, è sempre lo stesso: ricostruire col mezzo cinematografico degli stilemi che sono tipici dei comics, i quali a loro volta però sono già una declinazione del mezzo cinematografico stesso. Se volete guardare un film che rende giustizia all’espressività dei fumetti guardatevi Spider-Man: Un nuovo universo. E i film di quattro ore fateli solo se vi chiamate Peter Jackson e dovete adattare Tolkien.
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