
Storia e tecnica dell’Effetto Vertigo
Una definizione
L’effetto Vertigo – conosciuto anche come dolly zoom o zolly – è una tecnica cinematografica che consiste nella combinazione di uno zoom in avanti e di una carrellata indietro (o viceversa, di uno zoom all’indietro e di una carrellata avanti). Permette di ottenere un forte effetto visivo e psicologico di destabilizzazione.

La tecnica e la teoria dell’Effetto Vertigo
L’obiettivo dell’effetto Vertigo è di regolare il campo visivo mentre la macchina da presa si avvicina o si allontana dal soggetto, in maniera tale che il soggetto rimanga della stessa dimensione. Per ottenere l’effetto è quindi necessario allontanare la macchina da presa dal soggetto (carrellata indietro) mentre ci si avvicina con l’obiettivo (zoom in avanti). O, al contrario, avvicinare la mdp al soggetto (carrellata avanti) mentre ci si allontana con l’obiettivo (zoom all’indietro). Tramite l’utilizzo dello zoom, si ottiene una continua distorsione prospettica, per cui lo sfondo sembra cambiare dimensione rispetto al soggetto. Il cambiamento di prospettiva senza un corrispondente cambiamento di dimensione del soggetto provoca un forte impatto visivo e psicologico. Niente vieta a un regista di utilizzarlo come mera cifra stilistica, ma l’effetto Vertigo dà l’effetto desiderato quando si fa rappresentazione visiva di uno stato d’animo.

Quando parliamo di effetto Vertigo, quindi, ci riferiamo a una tecnica che utilizza in combinazione le caratteristiche di due tradizionali metodi di ripresa: zoom e carrellata. Se utilizzati singolarmente, lo zoom e la carrellata imitano i naturali movimenti e i cambi di prospettiva a cui l’occhio umano è abituato. È precisamente la loro combinazione che, generando una manipolazione innaturale dello spazio, turba lo spettatore. David Bruni, in Il cinema trascritto, definisce lo zoom (o carrello ottico) come un «obiettivo a lunghezza focale variabile che produce l’effetto di un avvicinamento o di un allontanamento dal soggetto inquadrato, senza un reale spostamento della mdp».
La carrellata è invece un movimento della macchina da presa, effettuato spesso con l’ausilio di un carrello montato su binari, come ad esempio un dolly. Il movimento, rispetto alla scena, può essere in avanti o all’indietro, come nel caso dell’effetto Vertigo, ma anche laterale, verticale, obliquo o semicircolare. Da questo punto di vista, il dolly zoom è una particolare declinazione di un dolly shot.
La storia dell’effetto Vertigo
La ragione per cui comunemente la tecnica viene definita effetto Vertigo (o anche Hitchcock zoom) è proprio perché deve la sua origine al film Vertigo (1958) – in italiano La donna che visse due volte – di Alfred Hitchcock. Come osserva Giulia Carluccio, le opere del regista si configurano «come uno scenario onirico in cui il problema fondamentale dell’identità dell’individuo […] si pone attraverso accadimenti e situazioni che assumono un valore simbolico anche nella rappresentazione e nella ricerca formale». Vertigo è l’emblema del motivo della vertigine, uno dei temi ricorrenti della produzione hitchcockiana. Il protagonista John “Scottie” Ferguson, interpretato da James Stewart, in seguito a un evento traumatico ha sviluppato una forte acrofobia, che conseguentemente gli provoca un senso di vertigine ogni qualvolta si trova ad affrontare delle altezze.
L’effetto prodotto nello spettatore dall’utilizzo del dolly zoom è un esempio magistrale della regola d’oro della narrazione, “show, don’t tell“: nella celebre sequenza delle scale del campanile, quando Scottie rivolge lo sguardo verso il basso, l’Effetto Vertigo restituisce la sensazione prodotta dall’acrofobia senza bisogno di pronunciare una singola parola.
A.H. Le è piaciuto l’effetto di distorsione, quando Stewart guarda nella tromba delle scale del campanile; sa come è stato fatto?
F.T. Ho pensato che fosse una carrellata indietro, combinata con un effetto di zoom in avanti, è così?
A.H. È vero. Già quando stavo girando Rebecca, nella scena in cui Joan Fontaine sveniva, volevo mostrare che provava una sensazione speciale, che tutto le si allontanava prima della caduta. Mi ricordo sempre che una sera, al ballo del Chelsea Art, all’Albert Hall di Londra, mi ero ubriacato terribilmente e avevo avuto questa sensazione; tutto si allontanava molto da me. Ho voluto ottenere questo effetto in Rebecca, ma invano, perché questo è il problema: restando fisso il punto di vista la prospettiva deve allungarsi. Ci ho pensato per quindici anni. Quando me lo sono chiesto di nuovo nella Donna che visse due volte, il problema si è risolto servendosi del Dolly e dello zoom, simultaneamente.
Il dialogo sopra riportato è parte della lunga intervista di François Truffaut a Hitchcock, raccolta in Il cinema secondo Hitchcock. Nel completare la sua risposta, Alfred Hitchcock rivela che girare la scena sul luogo sarebbe stato troppo costoso: la macchina da presa avrebbe dovuto essere posizionata in alto sulla scala e sarebbe stato necessario costruire un meccanismo per sollevarla e mantenerla nel vuoto. La soluzione per ottenere le ripresa desiderata è stata costruire una tromba delle scale in modellino, posizionandola orizzontalmente per terra.
Esempi emblematici di effetto Vertigo nel cinema
Da Hitchcock in poi, l’effetto Vertigo ha goduto di largo utilizzo. La tecnica si rivela utile alla resa di metafore visive: può essere utilizzata per trasmettere, ad esempio, un senso di pericolo imminente o di paranoia.
Il senso di pericolo imminente è ben esemplificato in The Lord of the Rings – The Fellowship of the Ring (2001) di Peter Jackson, quando Frodo (Elijah Wood) percepisce l’arrivo dei Nazgûl nella Contea.
Martin Scorsese, in Goodfellas (1990), sceglie di rendere la paranoia dei personaggi servendosi del dolly zoom in maniera più sottile (proprio sottilmente come si insinua la paranoia), ma estremamente efficace.
Ora, se Hitchcock in Vertigo si serviva del dolly zoom per rendere l’acrofobia di Scottie in soggettiva, l’effetto Vertigo può essere utilizzato anche con inquadrature oggettive e riuscire comunque nell’intento di veicolare allo spettatore la soggettività dei personaggi, come si può notare dall’esempio di Goodfellas. Anche in Jaws (1975) di Steven Spielberg troviamo questo tipo di applicazione dell’effetto Vertigo – con un impatto più forte rispetto al film di Scorsese – nel momento in cui lo sceriffo Martin Brody (Roy Scheider) assiste all’attacco dello squalo. Come riporta TV Tropes, l’effetto ottenuto viene chiamato “The Jaws Shot” da coloro che non hanno visto Vertigo.

Un esempio dell’effetto che si ottiene realizzando invece l’effetto Vertigo servendosi dello zoom all’indietro e della carrellata avanti è offerto da Poltergeist (1982), diretto da Tobe Hooper e scritto da Steven Spielberg. Il mondo, piuttosto che chiudersi attorno al personaggio, si allontana. L’obiettivo sembra ora distante: il corridoio diventa lunghissimo, infondendo nello spettatore un senso di paura e angoscia.
Per ripercorrere in video la storia dell’effetto Vertigo:
Bibliografia
D. Bruni, Il cinema trascritto. Strumenti per l’analisi del film, Bulzoni Editore, Roma, 2006, p. 145
G. Carluccio, Il cinema americano classico, 1930-1960, in P. Bertetto (a cura di), Introduzione alla storia del cinema. Autori, film, correnti, UTET Università, pp.134-137
B. Isaacs, The Art of Pure Cinema: Hitchcock and His Imitators, Oxford University Press, Oxford, 2020, p. 158
F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Il Saggiatore, Milano, 2014, pp. 204-205
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