
Looking for Venera – Se mi trovi a ballare | BFF5
[«Ti sei mai divertita per davvero?»]
[«Le nostre povere madri… non hanno mai potuto conoscere loro stesse»]
Come i premi ricevuti in occasione delle kermesse festivaliere di Trieste e di Rotterdam hanno confermato, l’esordio alla regia di Norika Sefa costituisce un’evidente eccezione alla norma qualitativa del panorama internazionale: Looking for Venera – presentato questi giorni in concorso al quinto Balkan Film Festival di Roma – da un lato sembra allinearsi alla concrezione filmica del femminismo balcanico, e dall’altro manifesta delle capacità registiche e una sensibilità nell’organizzazione della messa in scena tali da non sembrare attribuibili a un novizio del lungometraggio. La giovane regista kosovara realizza un penetrante coming of age, che delinea con grazia le pulsioni nascoste della nuova generazione delle donne dell’Est, e che raggiunge l’apprezzabile obiettivo di rappresentare il Kosovo nella corsa all’Oscar 2023.

Sefa mette in piedi un gioco dialettico fra la vicinanza e la distanza del cine-occhio rispetto al profilmico, posizionando la macchina da presa in angolazioni contrastive e rapportandosi con il personaggio di Venera in maniera ambigua, stringendosi a tratti sul suo corpo per poi lasciarla evadere sullo sfondo dell’immagine; un’altalena fra il primo piano e il campo medio. Seguendo questo modus operandi, e approfittando di un’ottima fotografia – ad opera di Luis Armando Arteaga, che valorizza al meglio l’ambientazione montana del paese kosovaro in cui si svolge la vicenda eterea e carnale del film –, Nefa racconta l’amicizia di Venera e Dorina, due ragazze giovani e intrappolate nella ragnatela del tradizionalismo paternalistico: in un paese di casupole accostate fra loro come denti rovinati sulla dorsale montuosa, Venera cerca di trovare nella sua amica, nella sua spregiudicatezza e nella sua ossessione de-intellettualizzata per l’emancipazione sessuale la forza per diventare sé stessa, e per liberarsi definitivamente di una vita da spendere unicamente nel timore d’infangare il nome della propria famiglia.

Ma è nella stratificazione elegante dei temi e del senso delle immagini che Looking for Venera si mostra nella sua veste più nobile. Sefa lavora con una cura eccezionale, autoriale, non soltanto sull’immagine, ma anche sulla non-immagine – vale a dire sul fuori-campo, su quello “spazio vuoto” che limita il regime scopico dello sguardo, e all’interno del quale si nasconde il costante non-detto del film. E intanto i ragazzini del paese crescono come i cani randagi che ringhiano per piccole crudeltà infantili, in un silenzio intergenerazionale che si abbatte sul paese come le colpe dei padri già morti. Ma tutto questo non c’è bisogno di dirlo, di parlarne; non serve spiegare l’angoscia di Venera quando aspetta da sola l’autobus in mezzo a cinque uomini-lupo, né tantomeno dire parole inutili per riconoscere la fragilità sentimentale di un ballo che coinvolge genuinamente madre, figlia e fratelli più piccoli. Questo è il grande pregio del film di Sefa: che è davvero un film, che riesce a comunicare senza spiegarsi, senza verbalizzare più del dovuto – bensì utilizzando lo strumento più essenziale della settima arte: l’immagine in movimento.

Lavorando sulla de-costruzione di un paradigma femminile che, come diceva Jasmila Žbanić in apertura di festival, ha rappresentato a lungo la donna solamente come «mamma o puttana» – ma, potremmo aggiungere, anche come nutrice o capro espiatorio –, Norika Sefa incide con forza su temi come la de-cerimonializzazione dei rituali familiari, il matrimonio “riparatore”, la suddivisione dei ruoli sulla base del genere. Stupisce la destrezza con cui, alle prese col suo primo lungometraggio, riesca a destreggiarsi fra la generalizzazione e l’estremismo, senza mai cadere in nessuno dei due – e finendo per lasciarci percepire sensualmente l’odore dei meravigliosi tappeti ricamati dove Venera si abbandona alla vita, o la tinta dei capelli che sua nonna si lascia applicare pazientemente sull testa, o il profumo da donna che il fratellino della protagonista si spruzza giocosamente addosso.
Farsi crescere i capelli, ballare, scoprire la carnalità del proprio corpo, capire sé stessi; reggere lo sguardo di una figura paterna cresciuta nella violenza e nella verticalità relazionale. Looking for Venera ci riunisce intorno a un tavolo da pranzo kosovaro, con a fianco una televisione accesa, e ci lascia guardare le nuove generazioni che crescono, lasciandoci in corpo un sentimento leggero.
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