
Intervista a Francesco Artibani – Tra Topolino e le Winx | I Film di Carta
A pochi giorni dal lancio della miniserie Netflix dedicata alle sue Winx, abbiamo intervistato per la rubrica I Film di Carta Francesco Artibani, uno dei più importanti sceneggiatori di fumetti e prodotti d’animazione in Italian (e non solo), che ha firmato storie memorabili da Lupo Alberto a Topolino e ha contribuito a plasmare le forme dell’immaginario di più di una generazione. Tra fumetto, animazione, serialità e industria, abbiamo indagato un po’ più a fondo i legami tra i diversi media nel nostro paese, ricordando momenti irripetibili della storia produttiva italiana.

Come trovi lo stato di salute del mercato fumettistico italiano?
Per me il mercato è particolarmente florido; di solito si parla di crisi, ma questo è un discorso che sento identico da quarant’anni, anzi da un po’ di più: da quando leggo fumetti c’è sempre qualcuno che lamenta una crisi. Che ci sia una crisi è vero, ma è una crisi strutturale legata ai punti vendita e alle edicole che chiudono. Se parliamo di una crisi creativa, allora no: è un periodo particolarmente ricco di proposte, di autori vecchi e giovani, tanti debutti, ecc. C’è più spazio per fare fumetti: mentre un tempo o facevi le classiche fanzine ciclostilate o non eri visibile, ora, tra autoproduzioni e le possibilità che dà la rete, è un periodo promettente, stimolante e produttivo. C’è sicuramente un calo di venduto, ma quello è un problema di pubblico che non legge e che si può risolvere lavorando sulla scuola e su altri elementi, non certamente variando le proposte da parte degli editori e degli autori; da autore mi sembra un bellissimo momento: vado in fumetteria o in edicola e trovo mille cose diverse, italiane, straniere; c’è di tutto. Sono ottimista, malgrado le apparenze.

Il fumetto italiano ha sempre fatto i conti con diversi modelli di serialità. Col tuo lavoro, hai contribuito a una notevole evoluzione; penso a PK o alle W.I.T.C.H. per Disney, che erano titoli molto rivoluzionari per il momento in cui sono arrivati negli scaffali. Come vedi oggi l’approccio seriale nel fumetto? C’è una rincorsa a modelli internazionali o c’è qualcosa di puramente italiano?
Di puramente italiano rimangono i personaggi più tradizionali, che sono quelli classici del fumetto italiano, come Tex, Diabolik, ci metto anche Topolino, che possiamo considerare a tutti gli effetti, in gran parte, una produzione italiana. Ma al di là delle diverse modalità di serialità o di periodicità, la cosa che mi inquieta è quando vedo l’inseguire, da parte degli autori, modelli di serialità che non appartengono al fumetto. In parole povere, quando si cerca di portare nel fumetto e nel suo linguaggio esempi, modelli e regole che arrivano dalla televisione, dalla sconfinata produzione di serie televisive che abbiamo, miniserie e quant’altro; ecco, quando il fumetto in sostanza abdica e rinuncia alle proprie caratteristiche e alle proprie peculiarità in termini di linguaggio per fare proprie caratteristiche di altri mezzi, lo ritengo un danno come quando leggo dialoghi che sembrano già scritti per una trasposizione televisiva: di esempi ce ne sono tantissimi, purtroppo, a partire da quelle paginate di dialoghi di Brian Bendis che non hanno niente del fumetto, che potrebbero essere dialoghi televisivi o radiofonici e il fumetto ne è semplicemente il contenitore; da lettore un po’ mi annoia e da autore cerco di non farlo mai, perché vuol dire che si sta facendo un’altra cosa. Poi si può parlare anche di come gli autori oggi lavorino pensando già al dopo, col fumetto come tramite.

Il tuo lavoro è arrivato presto all’animazione, con titoli come Monster Allergy e Winx, per citare due dei più celebri. Come ti approcci al passaggio dal fumetto all’animazione?
Questa in realtà è una cosa “delle origini”, nel senso che io nasco come disegnatore: la mia idea era di disegnarli i fumetti, non di scriverli, e ho frequentato a Roma l’unica scuola professionale di Stato che diploma tecnici del cinema di animazione, così col mio diploma di maturità ero un animatore formato. Volevo lavorare nei cartoni animati e volevo disegnarli, ma ero uscito nel 1987, quando era morto Carosello ed erano anni in cui non c’era niente. I miei primissimi lavori erano delle animazioni tristissime per SuperQuark di Piero Angela: animavo delle cellule e delle molecole, insomma, una cosa di una tristezza totale. Sono arrivato al cartone animato abbandonando nel frattempo il disegno, perché ho visto che c’era molta più attenzione, richiesta e bisogno di sceneggiatori, dato che tutti volevano disegnare. Sono quindi passato in pochi anni dal disegnare al solo scrivere. Il primissimo lavoro, mentre ero già sceneggiatore di Lupo Alberto, è stata la serie anima dedicata al personaggio, che è stata la prima serie animata che la Rai produceva con un’impostazione industriale, come una produzione vera, dopo gli anni di Carosello. Intorno alla metà degli anni ’90 inizio quindi a scrivere Lupo Alberto perché ne scrivevo già le storie a fumetti; lì, insieme a Laganà, già collaboratore di Bruno Bozzetto e regista della serie, ho cominciato a frequentare gli studi di animazione. Il mio approccio è quindi stato quello: arrivare dal fumetto e passare all’animazione, portandomi dietro le competenze del fumetto, ragionando anche da disegnatore quando scrivevo delle sequenze; ho poi portato le competenze dell’animazione nel fumetto: tutto il discorso del ritmo, delle gag fisiche e meccaniche, il non abbondare con i giochi di parole e le battutine per dare spazio a quel tipo di gag, considerando il fatto che i personaggi che scrivevo in quegli anni e che scrivo ancora oggi – quelli della Disney – nascono dai cartoni animati: quando un Topolino è troppo verboso, parla troppo e agisce poco, non è un buon Topolino, perché sta dimenticando quella che è la sua natura di personaggio dinamico, animato da ogni punto di vista. Oggi chiaramente non lo faccio più in maniera meccanica, perché fa tutto parte di quello zaino che uno porta con sé e che mi aiuta a scrivere sia quando faccio fumetti che quando faccio cartoni animati, perché riesco a tenere in mente quali devono essere le specificità dei due diversi linguaggi e prodotti.

Molti dei tuoi lavori recenti per Topolino si dimostrano estremamente consapevoli di come Disney stia facendo evolvere i propri personaggi con i loro linguaggi. Penso alle tue storie di Capitano Nemo (iniziate su Topolino n. 3385 e 3386) che mostrano perfettamente questa tua attitudine alla fisicità dei personaggi, facendo sognare una loro versione animata.
Beh, quando metti insieme quei tre personaggi, Topolino, Pippo e Paperino, il rimando è quello dei cartoni e delle prime strisce a fumetti, quindi non puoi non trattarli così.

Cosa ne pensi, in quest’ottica, di titoli recenti come DuckTales e quanto sei influenzato da prodotti così “d’avanguardia” da un punto di vista dei temi, dei linguaggi e della dinamica tra i personaggi?
Rispondo dalla fine, nel senso che la tentazione è proprio quella di guardare e farsi influenzare, mentre purtroppo i fatti e le direttive aziendali della Disney ci ricordano e ci raccomandano di non pensare di poter fare sui fumetti quello che si fa in animazione; sono due universi separati. Molto spesso, parlando con altri autori o con i lettori c’è quella cosa che ti dicono «Ma come, in tv fanno questo e voi censurate ancora le pistole?» Purtroppo sono due mercati proprio diversi – parlo di Disney, non di Panini che è un licenziatario -: Disney dice, a torto o a ragione – secondo me a torto – che il fumetto è un prodotto di nicchia, tendenzialmente per bambini o per collezionisti “anziani”, mentre la televisione è per il mercato globale, quindi trattiamo il primo in un modo e la seconda in un altro. Tutte le cose belle, anche le conquiste a livello di temi e di possibilità narrative che hanno la tv o il cinema, da noi arrivano in ritardo; poi ci si arriva, è solo molto faticoso.
In merito a DuckTales, io devo dire che la serie classica l’ho sempre abbastanza detestata: non mi piaceva proprio, non mi piaceva l’animazione e la trovavo troppo “anni ’80” nel senso più deleterio del termine; questa nuova serie mi piace molto da un punto di vista grafico, mi piacciono molto i temi e la gestione dei personaggi, però, per colpa dell’imprinting negativo con DuckTales, vedo più volentieri i corti di Mickey; ma non perché sia un brutto lavoro, anzi: ha un bel ritmo, è divertente, e tutto quanto, però purtroppo sono quei personaggi… E non riesco a capire perché non mi piacciano, perché poi sono quelli; e non è che a disturbarmi siano certe riletture – ad esempio Archimede disegnato in un altro modo è l’ultimo dei problemi -, però forse la cosa che mi disturba è vedere quel mondo lì con inserimenti che non mi sono mai piaciuti, tipo Jet McQuack o il papero robotico: ecco, quella roba lì non mi piace, perché si ha un cast di personaggi meraviglioso, enorme, che può fare cose bellissime e si sceglie di utilizzarne altri. Piuttosto fai Darkwing Duck da una parte, crea qualcosa di parallelo… Quella roba lì l’ho sempre trovata disturbante fin dalle origini, perché mi sembrava essenzialmente una pigrizia: potremmo star qui a studiarci Barks e i vari lavori degli autori, ma facciamo prima a metterci dentro Jet McQuack che fa lo scemo, mentre potrebbero farlo benissimo Paperino o Paperoga; quella è una pigrizia d’autore: lo vedo quando uno non vuole cimentarsi con i lavori difficili – studiare bene un personaggio – e fa prima a inventarne uno nuovo dandogli molto risalto e togliendo scena ai principali. Comunque è una cosa mia personale, poi la serie piace a tutti.
C’è poi da aggiungere che quando è uscito il primo DuckTales ero anagraficamente fuori dal target e non lavoravo ancora nel settore; ora chiaramente le cose sono cambiate e ho recuperato il terreno perduto, però quella serie specifica è arrivata in un momento personale di crescita, di cambiamento, di servizio militare: io in tutta la stagione televisiva ’87/’88 non so cos’è andato in onda, quindi sono tutti fattori che hanno influito tanto.

Ti chiederei se hai voglia di spendere qualche parola riguardo il tuo lavoro su PK, che ho sempre ritenuto qualcosa di veramente innovativo nel mercato italiano, mai veramente ripetuto, anche in termini di formato: parliamo di un’idea veramente forte!
PK è stato veramente una stagione irripetibile per quello che era il prodotto; poi di storie di PK ne abbiamo fatte altre, ma quella cosa lì non tornerà mai più. Parliamo di una serie che l’anno prossimo festeggia venticinque anni, un quarto di secolo che pesa. Per me è stato veramente, come ho detto anche in altre circostanze, un momento unico e irripetibile per tanti fattori: la casa editrice non voleva farle quelle cose, non ci credeva – vale tanto per PK quanto per W.I.T.C.H. – perché andavano sul sicuro con Topolino ed erano anni di numeri di venduto più alti rispetto agli attuali; non aveva quindi voglia di rischiare di fare cose diverse perché non ce n’era bisogno, però, di contro, c’era tutta una nuova infornata di autori poco meno che trentenni che erano nati con il fumetto classico e che nel frattempo avevano letto molto altro: erano gli anni della follia supereroistica, con le migliaia di copertine variant, lo Spider-Man di McFarlane, ecc. dagli USA arrivavano cose bellissime e poco prima c’era stata tutta la rivoluzione di fine anni ’80 con tutte le cose da Watchmen a Man of Steel, tutta quella nuova ondata di autori inglesi che ha rinnovato il mercato americano; per cui ci trovavamo con un po’ di ritardo – Topolino è una specie di corazzata lenta – con tante idee e la possibilità di fare lo stesso tipo di lavoro di revisione e di rilancio all’americana, per il quale il personaggio più adatto era naturalmente Paperinik; è stato un momento unico perché si sono trovate tante persone, l’imporvvisa disponibilità, la voglia di fare una cosa in maniera inizialmente clandestina – il numero 0, i bozzetti, ecc. erano fatti davvero in clandestinità, non passando neanche in redazione: una specie di carboneria – per poi arrivare al direttore della divisione periodici con questa proposta. Quell’entusiasmo che c’era è qualcosa che inevitabilmente col tempo cambia forma e diventa un’altra cosa, però in quel momento c’erano tante persone che volevano provare a fare qualcosa di diverso e soprattutto c’era un enorme pubblico che era disposto ad essere sorpreso. La stessa cosa è successa con W.I.T.C.H. qualche anno dopo: lì la diffidenza era sul pubblico femminile, perché c’era la convinzione sbagliata che le ragazze non leggessero fumetti, o al massimo alcuni manga; invece, quando nel giro di pochi anni W.I.T.C.H ha superato anche PK, è arrivato a essere pubblicato in tutto il mondo, con una pubblicazione a inizio anni 2000 in più di 120 paesi e con un venduto spaventoso. Sono stati due momenti molto belli quelli, poi c’è stata l’esperienza di MM, altra serie di Topolino, che però è uscita in un periodo in cui erano cambiate delle cose, c’erano questioni politiche nel senso di gelosie tra divisioni (Italia contro Francia, ecc.), tutte cose pesanti che hanno reso faticosa la produzione, che di per sé ha avuto meno presa sul pubblico, perché lì c’era un Topolino troppo diverso rispetto a quello che le persone erano abituate a conoscere.
Per tornare alla domanda di partenza, PK è un ricordo bellissimo perché è stata personalmente la prima serie nuova che ha avuto un impatto così significativo sul pubblico di allora, mettendo in movimento tante cose: il rapporto con i lettori, la posta, le iniziative assortite, ecc. Paragono sempre quel momento al film con De Niro e Robin Williams, Risvegli: c’è stato un momento in cui la Disney si è svegliata, ha visto che si poteva vivere in un altro modo, poi è riprecipitata nella routine e non ha più sperimentato come in quegli anni.

Arriviamo alla notizia di questi giorni: l’approdo delle Winx su Netflix. Qual è stato il tuo ruolo in questa produzione? E secondo te i fan affezionati del prodotto animato resteranno soddisfatti o rischiamo il classico tradimento?
Innanzitutto, cosa ho fatto io: io lavoro per Rainbow dagli anni ’90 e ho lavorato in tutte le serie che hanno prodotto; le Winx le ho scritte da sempre, con l’eccezione della seconda stagione, compresa la serie spin-off rilasciata su Netflix (World of Winx), quindi è un prodotto che conosco bene, tante cose le ho create e ho contribuito a crearle, per cui ci sono molto affezionato; nello specifico, per questa serie Netflix ho fatto consulenza alla produzione americana, poi quella è andata ovviamente per conto suo; il lavoro che faccio per Straffi [creatore della serie animata, n.d.r.] è quello di story editor aziendale e di consulente in questo tipo di operazioni: ho letto, ho espresso una serie di critiche, di commenti, di suggerimenti e basta. Queste persone di Netflix le ho viste una volta sola, sono venuti in sede alla Rainbow nelle Marche, abbiamo fatto una grande riunione insieme al produttore, allo showrunner ecc., poi basta, non li ho più visti e non penso li vedrò più nella vita. Quindi, che dire, io so com’è la storia – ovviamente non ne posso parlare -, ho letto con curiosità le reazioni un po’ dappertutto prima riguardo il teaser, poi tutto quello che è uscito in questi giorni e devo dire che non condivido l’allarmismo di quelli che dicono che sarà un flop o un bagno di sangue; sicuramente è un prodotto per Netflix, quindi rivolto a una platea globale ed è chiaro che è un prodotto che avrà variazioni; è un adattamento, non la nuova serie a cartoni animati, una rilettura di quei personaggi. Chiaramente ci saranno tante variazioni, tanti piccoli cambiamenti. Ho letto delle cose che inizialmente un po’ mi fanno ridere, poi, siccome ho un rapporto un po’ conflittuale con i social, ho deciso di non fare quello che va a rompere le scatole a queste persone: quella è la loro festa, il loro momento, vogliono criticare ed è giusto che critichino. Andare a dire «voi non potete criticare perché non sapete» è sbagliato perché, giustamente, non lo sanno, non l’hanno visto, non possono saperlo, quindi non vado a fare la morale sul non parlare perché non si ha ancora visto; di fatto lo penso: non hai visto neanche un secondo di video e già hai capito tutto della serie, «non c’è Flora, l’hanno sostituita con questo personaggio! Dov’è Tecna?» Io posso solo dire: «abbiate pazienza, abbiate fede», non è che non ci abbiano pensato, hanno preso il cast, il gruppo di personaggi, le loro relazioni e ne hanno dato una rilettura.
Sul come verrà presa la cosa, questa è una bella domanda: chiaramente ci saranno le deluse e i delusi, è inevitabile, qualunque cosa uno faccia quella percentuale di delusione c’è sempre; certo, se una persona adulta – venticinquenne, trentenne – spera di trovare le stesse cose che c’erano nel cartone animato, è un’aspettativa sbagliata e destinata ad essere delusa. Io troverei imbarazzante una serie live action con le ragazze con la minigonna e le ali scintillanti, non vorrei vederla: sono come gli spettacoli per bambini sul ghiaccio, trovi attrici, ballerine e cantanti che si vestono così, un po’ come a Disneyland, dove trovo il personaggio identico ai cartoni animati. Qui ci saranno delle riletture, delle proposte interessanti come crescita e relazioni dei personaggi, però le storie sono diverse e più adulte; lo showrunner della serie è lo stesso di The Vampire Diaries [Brian Young, n.d.r.], serie derivativa che arriva da altra roba; penso che abbiano fatto un buon lavoro: la scelta degli attori è calzante, sono bravi, le ambientazioni e gli effetti speciali sono all’altezza delle produzioni Netflix, ci saranno sicuramente anche ingenuità e cose che semplificano, però se uno non arriva lì con troppi preconcetti o troppi pregiudizi, magari si diverte pure, altrimenti sarà un tiro al piccione, è inevitabile; è la stessa cosa che succede con gli adattamenti Marvel al cinema, non sarà mai la stessa cosa, poi lo vedi e ti piace. Vanno valutate così le cose, secondo me, e spero che l’approccio sia questo, cioè valutare quella cosa per quello che è, non un attentato di lesa maestà alla serie televisiva, com’è successo con Sabrina: se prendi i fumetti di Sabrina e li confronti con la serie Netflix, uno può gridare allo scandalo, però dobbiamo ragionare in termini di un pubblico più ampio possibile e non solo degli spettatori delle Winx, che pure sono tanti.
Non ho però idea di quello che c’è dentro, ecco; ho letto le sceneggiature, posso immaginare alcune cose, ho fatto delle annotazioni su elementi che non mi convincevano ragionando con la testa del sacerdote che deve rispettare la liturgia, ma ormai i tempi della televisione sono così veloci e incalzanti che c’è sempre bisogno di proposte nuove, anche di bruciare cose in maniera spericolata, però penso abbiano fatto bene. Io tendo a fidarmi, loro sanno quali sono le regole del loro mercato.
Vuoi consigliare ai nostri lettori un film o una serie?
Io sono sempre indietrissimo con i film e con le serie, quindi rischierei di consigliare una cosa che hanno visto tutti dieci anni fa. Su questo mi cogli proprio impreparato, perché purtroppo tendo ad addormentarmi tragicamente, c’è della roba che mi indispone, ho un pessimo rapporto, anche se cerco di mettermi sempre d’impegno davanti allo schermo per seguire qualcosa di nuovo, poi, per un motivo o per l’altro, non riesco quasi mai a portarlo a termine, quindi non lo so… Sto pensando alle cose che ho visto dall’inizio alla fine, ma sono cose vecchie, come Mindhunter.
Sui fumetti sarei più preparato e posso dire che uno che ultimamente mi è piaciuto tanto, proprio perché fa il fumetto e non fa la tv a fumetti, è stato il volume Aldobrando, scritto da Gipi e disegnato da Luigi Critone, perché, al di là della stima verso gli autori, ha una storia in un certo senso “natalizia” – anche se è un termine improprio – piena di cose positive; sarà il momento storico che viviamo, ma un fumetto ambientato in un mondo pieno di gente brutale, violenta, sanguinaria, dove la crudeltà non la vedi mai – c’è, è presentissima, ma sempre fuori scena – ti racconta una storia senza la pretesa di essere graphic journalism o di dare lezioni etiche: ti racconta una storia come dovrebbe fare un fumetto d’intrattenimento di questo tipo e dentro ha tanta roba bella che mi ha sorpreso e mi faceva piacere presentarlo come un libro che dà gioia leggere.
Cercherò di documentarmi e prepararmi meglio su film e serie!
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Questo articolo è davvero molto interessante!
PS: siete ancora in tempo a correggere lo spelling di W.i.t.c.h. …
Contento che ti sia piaciuto e grazie della segnalazione: capita quando si sbobinano conversazioni così ampie!