
alice, Alice, ALICE – Nel mondo delle illusioni
Il teatro lirico Giorgio Gaber di Milano ha ospitato nel mese di ottobre la compagnia di danza Momix, in scena con uno spettacolo dal titolo alice, Alice, ALICE.
Il coreografo Moses Pendleon sceglie, questa volta, di esplorare il mondo fantastico creato da Lewis Carrol nel romanzo di Alice nel Paese delle meraviglie, ma usa l’universo narrativo come pretesto per affermare con vigore la cifra stilistica della compagnia: l’opera di Carrol è un punto di partenza da cui scaturiscono intuizioni volte a sorprendere il pubblico attraverso la costruzione di quadri distinti e immagini dense di effetti di illusionismo.

Lo spettacolo inizia con Alice che legge un grande libro, all’estremità di un’asse di legno. Sembra quasi sospesa in aria, leggera, come se la lettura fosse in grado di farla volare, finché non si addormenta e scivola pian piano in un’altra dimensione. Da lì in poi ciò che viene rappresentato è un mondo dove niente sembra avere senso e in cui si susseguono i personaggi che conosciamo dal romanzo di Carrol: il Cappellaio Matto, il Gran Coniglio, il Bruco, la Regina di Cuori, il Gatto del Cheshire, che Alice incontra e da cui resta meravigliata, impaurita, talvolta confusa, così come di smarrimento è la prima reazione del pubblico.

Per ognuno dei personaggi ci sono trovate sceniche sorprendenti: il personaggio del Brucaliffo, ad esempio, viene creato da tante fitball manipolate dai danzatori, che cambiano di volta in volta disposizione nello spazio. I corpi sono “aumentati” dalle videoproiezioni: quello che accade in scena viene proiettato con effetti di riflesso sullo sfondo, con l’immagine ripetuta e moltiplicata, modificata da motivi complessi e caleidoscopici. La Regina di Cuori segue, portata in scena dai suoi sudditi che si muovono distesi su alcuni skateboard: anche in questo caso ci sono effetti di moltiplicazione riflessa realizzati però dai corpi dei performer, che riproducono più regine nello spazio in modo speculare, ad ampliare l’effetto di straniamento e confusione. L’apice di questo procedimento scenico viene raggiunto quando altri specchi vengono portati in scena: il risultato è la deformazione completa dello spazio e della percezione del pubblico rispetto ai performer. Quante Alici ci sono? Quali immagini sono vere e quali no?

I quadri dedicati a ogni personaggio sono una delizia estetica ma attraverso di loro c’è lo spazio per la riflessione. Nel caso del Bianconiglio, i danzatori mascherati creano un unico organismo, impegnato in una danza caotica e frettolosa. Arriva subito un senso di ansia legato a una condizione peculiare della contemporaneità: corriamo senza mai fermarci, incontro alle scadenze, incapaci di prenderci del tempo. E mentre questo organismo collettivo si muove in maniera frenetica, qualche individuo cerca di staccarsene, o di denunciare con un grido sordo l’assurdità di questa condizione che sembra inevitabile: si torna sempre dentro il flusso, nessuno ha la forza di staccarsi e porre fine a quella corsa.
L’energia e l’apparente semplicità con cui i danzatori si relazionano agli oggetti dimostra uno studio molto accurato sull’arte della manipolazione. I costumi diventano anche essi degli oggetti da manipolare: da maestosi e colorati, diventano sfondo utile per ulteriori proiezioni che tentano di rafforzare l’ambientazione e il sentimento della scena, confermato dalla musica quasi onnipresente che sostiene, esalta o oppone resistenza alle coreografie scelte per ogni quadro.
I quadri, sempre nitidi, diventano rarefatti verso la conclusione dello spettacolo. Mentre la corsa agli incontri nei quadri precendenti si ferma, Alice si trova a giocare con tre teste di rose, realizzate con la tecnica di teatro nero: la sospensione dei fiori e il gioco aereo che Alice intraprende restituisce fiato attraverso un’immagine che sembra eterna.
Ma nel momento in cui stiamo per assuefarci a questo gioco, viene creata l’ultima immagine, la più sorprendente: Alice cresce e diventa gigante. La danzatrice si solleva e, insieme a lei, il vestito si allunga, occupando in altezza la quasi totalità della scena: sotto di lei altre performer giocano con la stoffa leggera dell’abito, creando altre immagini e producendo un movimento dolce.

alice, Alice, ALICE conferma, con forza, la cifra stilistica della compagnia Momix, stupisce e diletta con le sue immagini curate al minimo dettaglio. Il gap di questa perfezione è la presenza di tecnicismi e estetismi che non riescono a diventare trama, che non si offrono sempre a doppie letture, e che non ci mostrano il cuore della nostra Alice e di tutte le creature che incontra.
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