
Sopro, la scelta della vita | Incontro con Tiago Rodrigues
Triennale Milano ha concluso la sua stagione teatrale con una personale dedicata a un ospite d’eccezione: Tiago Rodrigues. Birdmen ha deciso di dedicargli un discorso critico in quattro puntate. Qui di seguito la terza che approfondisce Sopro, tra i 10 spettacoli imperdibili del 2020 che avevamo segnalato qui.
«Non morire. Soprattutto, non morire. Rimanere in vita.»
Un palco, vuoto. La pavimentazione invasa da piante e sterpaglie. Tendaggi bianchi, lievemente fluttuanti. Luci semplici, per lo più basse, discrete. Un teatro abbandonato, in rovina. Ma si sa, rovine e fantasmi sanno essere molto eloquenti. Immaginare questo teatro, in tempi di pandemia, non costa molta fatica. Oggi, scrivere di Sopro è innanzitutto scrivere del nostro presente: reale, drammaticamente tangibile, inaspettato.
Sopro – soffio in portoghese – è la scelta di una vita. Lo spettacolo nasce dall’idea di portare sul palco la storia di una suggeritrice teatrale. Cristina Vidal, da 42 anni la suggeritrice del Teatro Nacional D. Maria II di Lisbona, è una delle ultime due suggeritrici rimaste in Portogallo. Lei appartiene a una «specie in via d’estinzione».

Abituata a vivere nel buio, a vestire scuro, a farsi presenza silenziosa e a sussurrare dai confini del palcoscenico, Cristina non ama esporsi alla luce della scena. «La mia gloria è sapere che nessuno sa che esisto». Del resto, come le fu detto il suo primo giorno di lavoro, «la riservatezza della suggeritrice deve essere proporzionale alla vanità degli attori». Il direttore del suo teatro cerca di convincerla a uscire dall’ombra, a salire su un palco per lasciarsi guardare. Convincerla non è facile e accetta solo a patto che a raccontare la sua storia non sia lei, ma gli attori, a cui, di volta in volta, suggerisce le battute della sua vita.
Il regista descrive Cristina come «il respiro, la memoria, i polmoni del teatro». Lei è «un pezzo della macchina» che pensa solo al perfetto funzionamento della macchina. I suoi occhi vedono il mondo come vedono il teatro: di schiena e di profilo. Sul palco, ogni attore respira a modo suo e da sempre lei cerca di adeguarsi al loro ritmo.
La sua memoria custodisce le storie del teatro. Il teatro stesso è custodito nella sua memoria.

Rodrigues costruisce sapientemente a partire, ancora una volta, dall’incontro tra realtà e finzione. La vita di Cristina si incrocia alla vita del suo teatro e di chi, per più di 40 anni, lo ha animato: una storia in cui il confine tra vita e copioni, tra amici e personaggi è quasi non più identificabile.
Il concetto di confine, qui come altrove nella poetica di Rodrigues, è indagato come luogo di ricerca artistica, drammaturgica, riuscendo con successo a farne azione teatrale. Perdendo la sua tradizionale carica separativa, il confine è trasformato in Ponto de encontro, come il nome del caffè in cui Cristina e il direttore discutono dello spettacolo.
Giocare coi confini, disorientare lo spettatore, confondere ruoli e relazioni, mischiare il vero col falso, con la consapevolezza che il falso ha molto del vero, è un modo per sottolineare l’appartenenza del teatro al mondo della realtà. Un prolungamento della complessità del reale. Un luogo in cui spira un vento unico, in cui si respira «da secoli la stessa aria contaminata di storie. Forse è per questo che torniamo sempre alle stesse storie», suggerisce genialmente Cristina.
«Perché solo coloro che vivono possono immaginare le peregrinazioni della morte, traducendole in una storia che ci serva per la vita.»
La corrente di parole che separa – ma unisce – la vita della platea da quella del palco, come soffio vitale di cui nutrirci, trasporta e rievoca scene e spettacoli di cui Cristina è testimone e garante. Da Racine a Sofocle, da Checov ad Antonio Patricio, grazie a lei scene e ricordi possono esistere di nuovo, con quell’antico, ma intramontabile gioco che è il teatro. Il soffio vitale di cui è incarnazione racconta momenti divertenti, commoventi, a rivederli oggi, malinconici.
«Assaporare la deliziosa difficoltà del rimanere in vita, attraverso i momenti bui e anche gli altri, ma mai i momenti facili, perché sappiamo molto bene che i momenti facili non esistono. E tutte le volte che ci dicono che soltanto questo mondo è possibile, sapere che è la morte che ci parla e che noi siamo gli altri, quelli che la combattono. Questo è il motivo per cui dobbiamo preservare gli spazi pubblici e gli spazi sotterranei dove poter rimanere in vita.»
Sopro però non è solo il racconto della storia di Cristina e del suo Teatro. È piuttosto la base per una narrazione complessa, polisemica e dislocata su più livelli. Di questo spettacolo, rivedendolo e ripensandolo oggi, ciò su cui vorrei soffermarmi è la dialettica tra vita e morte e la riflessione umana che essa porta con sé. Tale dialettica – presente, seppur diversamente, anche in By Heart – è il nodo centrale di Sopro e consente di distinguere almeno quattro livelli di lettura.
Un primo rapporto vita/morte si può leggere, a livello simbolico, in ciò che rappresenta chi è in scena. Cristina incarna la vita di un teatro che è morto. Un teatro che, in questo momento, vive una forma di morte poiché chiuso, abbandonato, e che proprio grazie alla presenza della suggeritrice si rianima. E viene detto: è il suo passeggiare su quel palco dismesso che riporta in vita il teatro.
Poi c’è la morte dell’attore nel momento in cui lo coglie un vuoto di memoria e fallisce, ricordando al mondo che il teatro è parte di esso e, in quanto tale, anch’esso è mortale. La suggeritrice, in attesa dell’incidente come un bagnino pronto al soccorso, ridona ossigeno a chi, per qualche istante, si è creduto spacciato. Ancora una volta, è lei che insuffla la vita.
Anche a livello testuale, vita e morte sono le protagoniste di molti dialoghi delle rappresentazioni che Cristina rievoca raccontando la sua storia: da Antigone a Berenice, l’antico conflitto appare intramontabile, poiché irriducibile.

Infine, culmine della riflessione – quanto mai vitale, utile, essenziale oggi! – è raggiunto dal monologo del direttore. Questo splendido spazio di parola che Rodrigues si concede nella storia di Cristina – da guardare e riguardare fino a impararlo a memoria – rappresenta al tempo stesso una meta e una partenza nella struttura drammaturgica. Con la chiarezza già saggiata in By Heart, Rodrigues sembra qui fornirci la vera chiave di lettura della complessità del suo testo.
«Davanti all’idea della morte, riaffermare la ragione per cui partecipiamo alla vita: il mistero del futuro.»
Operare una scelta, ecco di cosa si tratta. Si sceglie, si deve continuare a scegliere di vivere perché solo chi vive può raccontare il perdersi, il divagare, il peregrinare della morte. La morte, quindi, è assurta a soggetto che permea la vita, a realtà. Mai ridotta a esperienza di trapasso da un qui noto, sicuro, a un aldilà presunto, incerto. La morte è piuttosto intesa come ineliminabile componente della vita.
Parole che ricalcano e incidono il nostro presente: non c’è vita senza morte e non c’è morte senza vita.
La morte di cui parla Rodrigues è una tentazione acherontea, l’arrendersi a un vivere individuale e collettivo aspettando la fine, un invito a scegliere la passività, la sterilità, la stasi, la sola sopravvivenza. E, soprattutto, un rifiuto al cambiamento. Anch’essa è un sussurro, al quale cedere è molto facile. Un sussurro dal quale bisogna costantemente ricordarsi i motivi per cui si vuole – e si deve – star lontani. La scelta è chiara: rimanere in vita! Ma che cos’è la vita? Quale, questa scelta?

«Questo è: scrivere o leggere a proposito dei nostri nemici, fare o vedere del teatro sulle forme della morte che ci perseguitano, ma mai ingrossare i ranghi del conformismo mortale.»
Cristina si interroga sul perché parlare della fine del teatro ancora prima che arrivi. «Non si può semplicemente amarle, le cose, finché ci sono?». Il direttore le risponde che così si amano in un altro modo. Non migliore, solo diverso. Raccontare la fine prima che arrivi significa poterla immaginare. Significa, per esempio, permetterci di fare i conti con un presente inatteso come quello attuale. La fine, la morte, ci spinge a domandarci il perché della vita, il perché continuare a sceglierla, il perché del teatro, il perché della sua esigenza nelle nostre vite. Nell’immaginare la morte, viviamo.
Morire non di morte, ma di vita: di vita, così come di sua fiamma il fuoco.
Amedeo Giovanni Conte
Questa riflessione era eloquente e sconcertante anche prima della pandemia, di fronte ai molti teatri che già soffrivano e faticavano a rimanere in vita. Oggi potrebbe sembrare l’avverarsi di una profezia tiresiana. Potrebbe anche, forse, intristirci per l’incertezza in cui siamo proiettati. Non smetterebbe tuttavia di essere quanto mai necessaria. Sì, necessario: ecco l’aggettivo per questo spettacolo. Per questo teatro.
Per fortuna, di fronte alla morte che incombe e ci sussurra di metterci comodi in attesa della fine, come molti, anche il Teatro Nacional di Lisbona sta trovando il modo di continuare a lottare per la vita. Così, Sopro e tanti altri spettacoli sono ora gratuitamente disponibili online. In attesa che Rodrigues torni in Italia – ci auguriamo il più presto possibile –, vi consiglio di dare una possibilità alla versione online. Vi farà un gran bene. Fosse anche solo per ripeterci e ricordarci, sempre, di «essere vinti, forse, ma vinti dalla vita».
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