
The Mandalorian – Capitolo III – La recensione
Mi approccio alla recensione di questo Episodio 3 di The Mandalorian in modo differente dai colleghi che vi hanno parlato del Capitolo I e del Capitolo II. Un po’ perché sono un fan “di bocca buona” di Star Wars, forse uno tra i pochi ad aver apprezzato l’ultima trilogia; un po’ perché per me The Mandalorian Capitolo II era partito un po’ troppo in sordina e lento.
Arriviamo però al Capitolo III e il mio cuoricino di fan batte all’impazzata. Quello che abbiamo di fronte credo sia il più breve degli episodi per ora, ma il più denso di aperture sull’ambientazione e sulla lore di Star Wars, specialmente su tre fronti: i resti dell’Impero, la Gilda dei Cacciatori di Taglie e i Mandaloriani che fanno qui il loro ingresso trionfale.
Capisco ora meglio l’esperimento di Jon Favreau, creatore della serie: l’involucro western tutto sguardi e lunghi indugi sull’ambiente è una metafora, quella del casco dei Mandalorian, che la serie per ora non si toglie di dosso. E a ben ragione. È tramite questa rimozione che il simbolismo diventa rafforzato e l’esplorazione del passato turbolento tra Impero e Mandalore fa da eco a un’altra esplorazione: quella del protagonista, attraverso i flashback paralleli alla forgiatura della sua armatura nuova.
Finora Pedro Pascal è stato pesantemente limitato dall’assenza del suo viso. Ma ora si chiarifica anche questo sacrificio del volto atto a sottolineare la vera forza dei personaggi, vista già nel Capitolo I con Kuiil (Nick Nolte) e in questo con il capo dei Cacciatori (Carl Weathers): dialogo e movimento.
È infatti mettendo a posto il pomello della leva con cui giocava Baby Yoda che il nostro Mandaloriano ha un guizzo nel suo conflitto interiore: da un lato i dettami della Gilda, che assomigliano molto a quelli dell’Impero, con un giuramento legato al silenzio e all’omertà; dall’altro i Mandaloriani che condividono la volontà di nascondersi («usciamo solo uno alla volta» dice a un certo punto uno dei Mandaloriani), ma che hanno anche nella propria Via il sacro vincolo dei Trovatelli e della loro protezione.
Essendo una cultura, i Mandaloriani accettano: si prendono cura degli orfani e costruiscono una società stratificata basata su un onore complesso e interessante. Il giuramento e la Via sono solo una delle tante dicotomie che vengono a distruggersi nell’episodio. Non possono coesistere, così come non riescono più a convivere nell’animo del protagonista il mercenariato, da un lato, e il proprio passato di trovatello e vittima dell’Impero (forse) dall’altro.
Non voglio dilungarmi oltre su questo Capitolo che per me è stato la conferma della serie, ma ci sarebbe tanto da dire: fotografia, regia, recitazione (Herzog nel cuore, davvero), una Mandaloriana (!) che fa il fabbro, i sibilanti e il vibro-knife di fumettiana memoria. Insomma, c’è tutto il materiale necessario per adorare ancora di più questo esperimento che all’inizio, con l’afflato western, mi aveva lasciato un po’ sorpreso.
Al prossimo episodio!
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