
Le più belle dichiarazioni di Werner Herzog al Biografilm Festival 2019 | Bologna
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Werner Herzog è stato ospite di Biografilm Festival – International Celebration of Lives 2019, festival bolognese dedicato alla biografia in finzione e documentario giunto alla sua 15° edizione. Al festival, che chiude oggi, 17 giugno, Herzog ha portato ben due film, Meeting Gorbachev e Family Romance, Llc. Noi l’abbiamo seguito a tutti gli eventi in giro per la città e abbiamo raccolto le sue più belle dichiarazioni. (Un sentito ringraziamento ad Alessia Montanaro per aver sbobinato le registrazioni audio e aver così contribuito a immortalare un documento così prezioso)
Conversazione con Birdmen:
C’è molto buon cinema nel continente asiatico oggigiorno e lei ha appena detto che in questo film (Family Romance, Llc.) c’è molto più di sè, rispetto ad altri film che ha fatto. È più facile girare bei film in Asia, in particolare in Giappone, dove tutti sembrano recitare ogni giorno?
È vero che esistono tantissime formalità che reggono la vita sociale in Giappone, una stilizzazione estrema, ma io non ho girato in Giappone perché ero interessato all’Asia, ma ero interessato a esplorare la solitudine. Come dicevo prima, è qualcosa che riguarda tutti noi e abbastanza da vicino, lo sappiamo, lo sentiamo. Gli hotel dove ci sono dei receptionist robotizzati non sono così lontani da quella che sarà la nostra realtà prossima; i robot oggigiorno arrivano ad avere un ruolo consolatorio nei confronti degli esseri umani e quindi a comportarsi con modalità e con sentimenti umani. Accadrà in Italia, negli Stati Uniti, in Germania, in tutte le società che sono altamente tecnologiche, e molto dipende dal cambiamento della popolazione dei nostri paesi, che tende a diventare sempre più anziana e, quindi, sempre più sola. La diffusione di internet, l’utilizzo dei social media, ha fatto si che ogni tipo di interazione e di discorso sia, in qualche modo, filtrato. Noi possiamo dire di avere 2800 amici su Facebook, ma nella realtà ne conosciamo soltanto 5 magari e, da qui, deriva un grande senso di solitudine. E, come avete visto nel film, ogni cosa è recitata, ogni cosa è inventata, è una finzione, eppure le emozioni restano autentiche, restano vere. E di questo mi sono reso conto girando il film, girando, tutto sommato, poco materiale, perché parliamo di trecento minuti circa, anziché di ore e ore, ed è emerso subito l’evidente. Come forse avrete notato leggendo i titoli di coda, io sono anche operatore di macchina, oltre ad essermi occupato dei costumi e di tante altre cose nel film e, quando si sta dietro a una macchina da presa c’è una prossimità con gli attori che fa si che, immediatamente, un qualche cosa passi, venga percepito in modo diretto.
Parlando dell’ultimo cartaceo di Birdmen Magazine e di Birdman , il film che ha ispirato il nome della nostra rivista, l’ha mai visto? E del cinema messicano cosa pensa?
Non l’ho mai visto, è che vedo davvero pochi film all’anno, quello è il problema. Rispetto agli altri, vedo pochissimo, tre film all’anno. Del cinema messicano so davvero poco.
Circa la sua partecipazione in The Mandalorian nei panni di un villain, ho letto che non ha mai visto un film di Star Wars, ha intenzione di vederne?
No, il problema è che guardo pochi film.

Domande e risposte su Family Romance, Llc. :
Mentre lo vedevo continuavo ad avere in testa L’enigma di Kaspar Hauser, perché mi sembrava che fosse, in qualche modo, una storia molto simile; una storia di perdita dell’identità in cerca di qualcos’altro. C’è qualcosa di vero?
Un’osservazione molto interessante perché lo straniamento dell’uomo è un tema centrale in Kaspar Hauser. E che cos’è la realtà per Kaspar dal momento che lui non ha mai fatto esperienza di questa realtà fino a quando non è stato adulto? E la realtà che scopre Kaspar, come la realtà che è mostrata in Family Romance, è comunque una realtà fabbricata, falsa, un’illusione, quello che resta di autentico sono le emozioni.
Parto da una mia idea personale, ovvero che la rabbia nasconda sempre il dolore. Quello di cui non c’è traccia nel film è la rabbia; a un certo punto ho sentito che questa solitudine era il risultato di un dolore muto e andato totalmente sullo sfondo, coperto dalla maschera che già abbiamo, dalla maschera che affittiamo per amplificare la maschera sociale. In tutto questo non c’era il contatto con il dolore andato certamente sullo sfondo e questo l’ho chiamato “solitudine” e in tutto questo la domanda è: lei salva, se ho capito bene, l’amicizia, salva le emozioni e salva l’amicizia, perché è l’unico rapporto vero che c’è. E allora la domanda è in realtà molto personale, le volevo chiedere se per favore ci dice cosa è per lei l’amicizia?
Le osservazioni che ha fatto sono molto profonde e non si sentono frequentemente in una conferenza stampa. Grazie. A proposito dell’amicizia, per quanto riguarda ciascuno di noi, abbiamo mediamente 2550 amici su Facebook che non abbiamo mai incontrato, un’illusione di amicizia. Sono degli amici virtuali, dei “quasi amici”. Detto questo, l’amicizia per me ha delle caratteristiche molto precise: innanzitutto ho pochi amici, ma sono amici molto cari. E non si tratta soltanto di amicizia, si tratta anche di come agiamo nella vita. Per esempio, se incontro per la strada qualcuno che è venuto a piedi dove io mi trovo da Novosibirsk, nel giro di cinque minuti posso considerarlo un amico profondo, perché abbiamo una cosa profonda in comune. Quindi ha molto a che vedere con le scelte. L’amore è molto più misterioso. E l’amore è qualcosa di molto diverso, che richiede un’attenzione molto particolare, se e quando ci capita banalmente ha sempre bisogno di una buona manutenzione. È un sentimento nei confronti del quale noi dobbiamo essere sempre vigili, molto cauti, molto attenti, perché è qualcosa di prezioso e di estremamente fragile e va tenuto in vita, va coltivato. È qualche cosa che ho impiegato molto tempo ad imparare. Ma sono temi che forse attengono maggiormente a una conversazione privata e non a una conferenza stampa.
Ha detto una cosa meravigliosa: «volevo girare 300 minuti per montarne 90», a parte la chiarezza delle sue idee, io credo che uno dei nostri mali contemporanei sia il fatto che siamo bombardati da immagini di cui non abbiamo bisogno. Quale potrebbe essere una soluzione, a quello che ad oggi è un processo evidentemente irreversibile?
Sicuramente contribuisce molto di più, a questa diffusione enorme e spaventosa d’immagini, Internet, YouTube che ha tre miliardi di viewer. Bisogna imparare a navigare tra questi miliardi di immagini, ed è una capacità che va acquisita, in particolare tra i giovani. Dobbiamo mantenere la nostra capacità di fare altre cose, per cui, leggere, leggere testi di letteratura, leggere Guerra e Pace di Tolstoj, ottocento pagine che sono legge. E abbiamo perso il senso del viaggiare a piedi, siamo esseri umani costruiti e fatti apposta per viaggiare a piedi. Queste sono le cose a cui si può prestare attenzione. Non esistono linee guide precise che posso darvi per essere vigili.
Come si è trasformata la possibilità di espressione, per lei nel, costruire, in tale autonomia anche di mezzi, un film come questo?
Per me è sicuramente nuovo, dopo tantissimi anni di cinema, però mi sembra di tornare anche ai tempi di Aguirre, furore di Dio. Non avevo bisogno di avere delle grandi star, dei grandi nomi in questo film, né di avere una serie di vincoli per confezionare il film in un determinato modo e secondo certi canoni. Quando abbiamo girato Aguirre, non sapevamo mai cosa sarebbe successo, che cosa ci aspettava addentrandoci in una giungla, che cosa ci aspettava quando il fiume girava magari improvvisamente dalle rapide in una cascata. Per esempio, in Family Romance è successo che quando la donna va da dall’oracolo – che ho trovato assolutamente straordinaria e che non volevo venisse tradotta – improvvisamente squilla il suo telefono; gran parte dei registi avrebbe tolto quella scena e avrebbero ricominciato a girare, ma io l’ho trovata assolutamente meravigliosa. Credo che questo film contenga molto più di me stesso e di tutti gli altri film che ho fatto. In parte si tratta di un senso di solitudine. La sensazione che ho io è quella di essere in un avamposto; molti dicono «sei un’artista», no, io mi sento un uomo di frontiera che sta in quell’ultimo avamposto che esiste. Un soldato. Quando dico “soldato” non intendo in senso militare, ma intendo una persona dotata di coraggio, di lealtà, di perseveranza, di una visione, tutta una serie di qualità che non appartengono necessariamente ad un artista.
Pensa che stiamo distruggendo i rapporti umani? E, se la risposta è sì, come possiamo evitare di continuare a farlo?
No, perché ciascuno di noi sceglie come vivere la sua vita, che cosa fare e di chi circondarsi. Una persona può scegliere di avere accanto qualcuno con cui ridere, una persona in carne ed ossa da toccare, con cui bere un buon bicchiere di vino e queste sono tutte cose molto autentiche. Io, per esempio, ho scelto di non possedere un cellulare e trovo che sia una scelta molto sana; mi piace leggere, lo faccio molto, e mi piace camminare. E, quindi, se sei un giovane che viene dalla Polonia e hai incontrato una ragazza scozzese che vive a Glasgow, vai a trovarla, non in treno, non in aereo, ma a piedi e a quel punto la chiedi in sposa e capirà le intenzioni che hai nei suoi confronti.
La famiglia che vediamo in questo film tratteggiata mi ha fatto pensare a una famiglia che sogna se stessa, un po’ come la guerra secondo von Clausewitz (generale e scrittore prussiano di epoca napoleonica, ndr.) o la tecnologia nel suo documentario Lo and Behold: mentre stava riprendendo, le sembrava che la famiglia stesse sognando se stessa?
Non è una domanda facile, avrei bisogno di circa cinque anni per trovare una risposta giusta, ma dal momento che hai citato Clausewitz, ha detto che «a volte la guerra sogna se stessa». Ma la cosa singolare è che, dopo la proiezione, gli esperti di Clausewitz hanno cercato questa citazione e non l’hanno trovata ed è una citazione che ho inventato io attribuendola a lui. Naturalmente Clausewitz è del periodo napoleonico, ma la stessa domanda io la applico a Internet; Internet sogna se stesso, la rete sogna se stessa. È questo, è veramente un frammento della risposta che potrei dare e che potrei ampliare riguardo la famiglia; la famiglia sogna se stessa, fantastica di come s’immagina essere. Ma ci sono, comunque, all’interno della famiglia momenti di verità assoluta. Ricordo, per esempio, mio figlio maggiore a quattro anni, quando guardò all’interno del telescopio la luna piena, ricordo il suo entusiasmo nel vedere quell’immagine così ravvicinata – le montagne della luna – ed è stato talmente tanto il suo entusiasmo allora, che mi ha afferrato la gamba e l’ha tenuta stretta per mezz’ora. Ecco, quel suo entusiasmo io lo sento ancora.
Lei ha affrontato persone che hanno a che fare con credenze religiose, con superstizione, ritiene che la tecnologia e la rete diventeranno le nostre nuove religioni e superstizioni?
La religione è un’invenzione umana e come tale avrà un’esistenza molto lunga, dal momento che ci sono ancora tantissimi misteri, tantissime paure e tantissimi morti e svolge un ruolo consolatorio a prescindere dal fatto che contenga una verità o meno. Forse non è pertinente alla risposta, però io, per esempio, sono convinto che Papa Benedetto – che ha rinunciato al trono pontificio – lo abbia fatto perché nel profondo del suo cuore aveva iniziato a dubitare dell’esistenza di Dio; non a caso ad Auschwitz per tre volte ha detto «Dov’era Dio quando ha permesso tutto questo?». Credo che sia, davvero, la ragione per cui ha abdicato e credo che stia lottando per trovare Dio in solitudine. Nella seconda parte della tua domanda, riguardo alla tecnologia e al fatto che possa sostituire e che possa avere il sopravvento, no, io non credo che sapremo difenderci e spero che sapremo difenderci anche dal nostro cellulare, perché nel momento in cui mi stai facendo una domanda e stai delegando il tuo cellulare a filmare questo nostro momento, affidi a lui la memoria di questo evento anziché affidarla al tuo cuore. Per fare un esempio: ho fatto un volo di due ore mentre ero in Giappone e la donna che era seduta accanto a me ha scattato trecento fotografie; ecco, in due ore di volo. Questo significa che ha delegato istantaneamente a Instagram quelle foto, senza conservare a se stessa quelle immagini che aveva davanti.
Ho letto un articolo su The New Yorker sullo stesso argomento trattato in Family Romance e mi domando se, in qualche modo, è stato un riferimento o era in contatto con gli autori di questo articolo.
Si, ho letto l’articolo sul New Yorker, l’autrice è una donna turca – che scrive molto bene per altro – e che è entrata in contatto con le stesse persone che ho conosciuto io, in particolare con Youichi Ishii.
A volte, guardando i suoi documentari, c’è una forte sensazione di scripting o di manipolazione, più che altro, per quanto riguarda la posizione nello spazio quando c’è un’interazione fra due o più persone. Vorrei chiedere: che tipo di metodo usa per approcciarsi ai protagonisti dei suoi documentari? E, se questa sensazione è reale, fin dove ci si può spingere a manipolare le loro azioni?
Corretta osservazione, è assolutamente vero, io sono contrario al cinéma vérité, che, secondo me, equivale a una videocamera di sorveglianza in una banca, che magari deve aspettare cinquant’anni che avvenga una rapina da immortalare. Sono favorevole a una messa in scena, a interagire con lo spazio dei miei protagonisti, perché credo che così facendo si possa accedere a una verità più profonda. È un tipo di approccio che è sempre stato utilizzato nell’arte, nella letteratura, in varie forme artistiche proprio per riuscire ad accedere a questa verità più profonda. Vi faccio un esempio: la Pietà a San Pietro, secondo voi Michelangelo, nel mostrarci Gesù appena sceso dalla croce a trentatré anni e la Madonna a diciassette anni, voleva darci una fake news? Voleva manipolare, voleva indurci e darci una notizia falsa o è stato, da parte di Michelangelo, invece, un tentativo di farci cogliere l’essenza di queste due persone? E finché ci sarà un respiro, un alito, invece, cercherò di espandere le possibilità del cinema per poter accedere a una dimensione ancora più vasta. Io, invece, ho come preoccupazione, sempre, come fare arrivare le mie opere a un pubblico: è la mia preoccupazione principale ed è quello che conta per me, immaginare come portare su un grande schermo le storie che io voglio raccontare. È questa la mia preoccupazione professionale. È sicuramente una questione importante, di cui, per altro, ho discusso per dieci giorni nelle foreste peruviane con dei giovani.
Domande e risposte su Meeting Gorbachev:
Fra i personaggi in rilievo nel Novecento, lei ha scelto Gorbachev, cosa ha mosso questa scelta?
Non è stata una scelta mia, io ho sposato un progetto che è frutto dell’iniziativa del coautore di questo film, André Singer. Ed è un film, un progetto, che ho immediatamente riconosciuto come qualche cosa che aveva almeno “dormito” in me, quindi non lo avevo progettato io, ma ho sposato subito il progetto. E sicuramente ci sono figure nel ventesimo secolo che avrei voluto io stesso raccontare, per esempio Rasputin o Trockij. Trockij più di Stalin.
E Trockij è stato un personaggio buono in confronto a Stalin, in realtà?
Non parliamo in termini di “buono” e “cattivo”, sarebbe semplicistica questa divisione. Ma sono tutti morti e non posso fare un documentario su tutti.
Gorbachev l’ha molto emozionata?
Sicuramente nutro nei suoi confronti un rispetto molto profondo, noi tedeschi abbiamo un debito nei suoi confronti per quanto ha fatto per la riunificazione della Germania, tra le altre monumentali iniziative che ha sviluppato e portato a termine. E molto prima che Gorbachev desse il suo fondamentale contributo, io – visto che la politica del mio Paese si era arresa di fronte alla possibilità di riunificare il Paese – lo avevo percorso a piedi segnando la frontiera proprio simbolicamente. Uno dei punti di contatto con Gorbachev, in cui ci siamo riconosciuti, è stata proprio la passione per il camminare, perché da giovane Gorbachev aveva camminato molto.
Cosa l’ha stupita di più e cosa invece l’ha agghiacciata di più nella figura di Gorbachev? C’è qualche dettaglio, qualche lato oscuro che non vorrebbe incontrare?
No, assolutamente, le possibilità di scambio di conversazione sono state molto contenute. Era molto malato e ogni volta arrivava sul set in ambulanza dall’ospedale in cui è ricoverato; il nostro tempo è stato limitato; ha ottantotto anni. E nonostante non sia una biografia e non volesse essere un ritratto biografico, io volevo comunque poter scorgere l’uomo, non soltanto lo statista. E lo vediamo tutti quando parla di Raisa, la sua defunta moglie, hai voglia di piangere con lui.
Qual è la qualità politica che ha trovato in Gorbachev?
È stato un politico nel senso più alto e migliore del termine, un professionista della politica. Se un Gorbachev venisse candidato in Germania o in Italia come Primo Ministro, io voterei per lui; è qualcuno che ha capito e ha accolto il cuore delle persone e ha capito che poteva fare quello che andava fatto. Gorbachev è arrivato in Russia in un momento importante e, cioè, quando le utopie del secolo precedente stavano giungendo al termine: l’utopia del comunismo come “Paradiso sulla terra”; quella del fascismo e del nazismo con il predominio, la prevalenza della razza ariana. Gorbachev ha creato le condizioni perché queste utopie, già morte, potessero finire. E voterei per lui perché oggi ci sono troppi populismi e populisti e lui sarebbe esattamente il contrario del populista. Ecco perché voterei per lui.
Uno dei momenti più divertenti del cinema degli ultimi anni, per me (parla il direttore artistico di Biografilm, Andrea Romeo, ndr.) è la sequenza in cui tu racconti come si è arrivati a scegliere Gorbachev. E sempre con una gag cinematografica magnifica, i funerali dei precedenti leader che si susseguono e i saluti: ognuno viene, diciamo, destinato e poi tumulato, destinato e tumulato in una sequenza comica tra le più belle degli ultimi anni. In qualche modo, quello che mi chiedo, te lo sarai forse chiesto mentre lavoravi al film, è questo: Gorbachev è arrivato perché era assolutamente necessario? Lui nel film ad un certo punto dice «dopo pochi mesi non avremmo avuto da mangiare, la storia poteva andare anche da un’altra parte», che cosa sarebbe successo se non fosse arrivato Gorbachev?
Ovviamente si possono fare solo delle idealizzazioni; secondo me il sistema era talmente morto dentro, era rimasta soltanto la parte ritualistica di questo sistema e a quel punto il crollo sarebbe avvenuto e sarebbe avvenuto in modo molto più drammatico.
Uno degli ultimi film che abbiamo presentato a Biografilm, nelle ultime ricerche che hai fatto, era Lo and Behold, in cui hai aperto uno squarcio sulla tecnologia che verrà e sul modo di comunicare che verrà. Come è stata quell’esplorazione? Che idea ti sei fatto? E che cosa ti aspetti da personalità come quella di Elon Musk, rispetto a quello che stanno immaginando per il nostro futuro?
Sicuramente il personaggio di Musk è un personaggio importante, è lui che ha contribuito fortemente alle auto elettriche, che ha creato un’industria di batterie efficienti e adesso sta pensando a razzi riutilizzabili. Adesso, però, sta perseguendo idee stupide – a mio parere – come colonizzare lo spazio. Sicuramente i motivi sono due: uno perché dobbiamo preservare la possibilità di abitare il nostro pianeta e non esaurirne tutte le risorse immaginando di andare a vivere su Marte o su Andromeda. Ed è un’oscenità l’idea di colonizzare Marte. E l’idea che ha di colonizzare lo spazio secondo me è assimilabile alle grandi utopie che sono arrivate alla fine. Senza bisogno di essere un profeta, in questo secolo noi assisteremo alla bancarotta delle utopie tecnologiche. E, non tutte naturalmente, ma una parte, tra le quali la colonizzazione dello spazio. Sarà inevitabile, appunto, che giungano alla fine queste utopie, immaginare di vivere su Marte o altri pianeti (parliamo di centomila anni di distanza). Ed è un bene avere un genere cinematografico e serie televisive come Star Trek, è un bene che continuiamo a sognare, va benissimo così.
Herzog su Star Wars:
Stiamo scivolando in discorsi molto teorici, vorrei per esempio dirvi che, invece, reciterò in un film hollywoodiano (The Mandalorian, serie in uscita sulla nuova piattaforma di streaming Disney+, ndr.) in cui faccio la parte del cattivo e la faccio molto bene. L’ho fatto molto bene e sono stato pagato molto bene, si tratta di una stilizzazione di un’invenzione di una finzione a fine professionale; mia moglie, invece, può testimoniare che nella vita privata sono un marito piuttosto molle.
Herzog sul nuovo Pop Up Village di Bologna:
Vorrei semplicemente aggiungere che si tratta indubbiamente di un progetto unico e meraviglioso, ma è frutto di persone che hanno grandi visioni e una capacità di creare uno spirito, un entusiasmo, e veramente rendere questa città vibrante in tutte le sue iniziative. Ecco perché sarò felice di tornare a Bologna con nuovi film. La sensazione è che l’amministrazione pubblica sia l’eco dell’energia così vibrante che è tipica della città. Per raccontarvi la mia impressione dell’unicità di Bologna, devo raccontarvi di quella volta che ho messo piede a Teatro Comunale in previsione, appunto, dell’opera lirica che avrei poi allestito. Mi sono, ad un certo punto, ritrovato circondato da trenta maestranze che non volevano farmi uscire e io ho detto: «Ma cosa sta succedendo? Lasciatemi andare.», ha parlato uno che si è dichiarato portavoce di questo gruppo e ha detto: «Non la lasciamo uscire finché lei non firma il contratto, assumendosi un impegno per questa regia». Ecco, questo è veramente un esempio preciso dello spirito che si respira a Bologna, da parte della cittadinanza, del teatro, e che viene accolto dall’affetto dell’amministrazione.

Riguardo al selfie realizzato per Gorbachev con il pubblico della Bolognina
Gliel’ho inviato su WhatsApp, sicuramente quando lo vedrà in ospedale
avrà un momento di gioia.

Clicca qui per la video-intervista di Andrea Romeo a Werner Herzog su Meeting Gorbachev.
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Veramente molto interessante! Grazie per aver condiviso questa testimonianza su un regista che apprezzo molto. I temi trattati sono di una profondità inusuale per una conferenza stampa. Mi hanno fatto riflettere.
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