
Memories of Murder – Il volto ordinario del male
Gli Oscar 2020 sono stati la definitiva consacrazione del regista sudcoreano Bong Joon-ho, che, grazie al suo Parasite (già vincitore della Palma d’Oro a Cannes), ha portato a casa non solo la prevedibile statuetta come migliore film internazionale, a cui si aggiungono quelle per la regia e la migliore sceneggiatura originale, ma soprattutto quella come migliore film in assoluto, primo film non in lingua inglese ad aggiudicarsi il premio. Parasite ha conquistato pubblico e critica internazionale con il suo perfetto mix di generi e temi, passando continuamente dalla storia familiare alla critica sociale, dal thriller al tragicomico, accompagnato da una regia, recitazione e utilizzo della scenografia ineccepibili.
Questo stile non è però una novità, essendo alla base di molti dei migliori film sudcoreani e dell’intera filmografia di Bong Joon-ho, che, pur spaziando dalla commedia surreale (Peullandaseu-ui gae) al drama-thriller (Mother), fino ad arrivare al monster movie (The Host) e al post-apocalittico (Snowpiercer), rifugge precise connotazioni di genere, ritornando sempre su alcuni temi principali, tra cui spiccano l’ecologia, la critica sociale e i meccanismi familiari. Grazie al successo di Parasite arriva finalmente in Italia Memories of Murder, capolavoro del regista sudcoreano del 2003, nei cinema dal 13 febbraio.
La premessa di Memories of Murder è estremamente classica: la storia, ispirata a un vero caso irrisolto, racconta la ricerca di un serial killer nella campagna sudcoreana, seguendo il lavoro di una coppia di detective, l’istintivo e inefficiente investigatore di campagna Park Du-man e il giovane e scrupoloso Seo Tae-yun, giunto da Seul per collaborare con la polizia locale. I due si scontreranno, per poi iniziare a capirsi e rispettarsi, mentre l’orrore della vicenda li cambierà profondamente, tirando fuori il meglio e il peggio da entrambi. La trama e i suoi protagonisti potrebbero, così descritti, essere tratti da decine di film polizieschi che trattano di storie simili, ma anche qui la varietà di generi e tono, la regia e il ricco sottotesto contribuiscono ad elevare Memories of Murder tra le migliori opere cinematografiche del XXI secolo.
Come in Parasite, il film passa con facilità dal thriller alla commedia, alternando scene di estrema tensione, come nei vari agguati dell’assassino o nell’avvincente inseguimento di un sospettato, a momenti più leggeri, con gli scorci di intimità tra il detective Park e la moglie o i vari battibecchi tra i membri della task-force investigativa, in commissariato, sulla scena del crimine o ubriachi al karaoke. Questi continui cambi di registro non risultano però sconnessi o fuori luogo, ma contribuiscono ad umanizzare i personaggi, presentandoci un interessante spaccato di vita nelle campagne coreane, nei suoi pregi e difetti.
Al centro di questo lavoro di analisi e critica sono le forze dell’ordine, rappresentate, come in buona parte dei film di genere coreani, nella loro inefficienza, fatta di metodi brutali e sorpassati. Da questo derivano poi altri temi interessanti, in relazione per esempio al dispiego di forze per combattere una manifestazione di protesta politica, o al ruolo dei media nelle vicende di cronaca nera, lasciando però che essi emergano in maniera naturale dalla trama, senza risultare programmatici. Altro tema principale, perfettamente esemplificato dall’amara scena conclusiva e dal presunto talento del detective Park nel saper analizzare le persone dal solo sguardo, è poi la normalità del male: l’impossibile ricerca di un colpevole la cui natura violenta e compulsiva, evidente in quella ritualità degli omicidi spesso feticizzata dai film sui serial killer, sia nascosta dietro un volto ordinario, indistinguibile da una persona normale.
Il film è ben recitato dall’intero cast, su cui spicca il detective Park, interpretato magistralmente da Song Kang-ho, stella del cinema sudcoreano che, oltre ad apparire in molti dei film di Bong Joon-ho (The Host, Snowpiercer e lo stesso Parasite), è interprete ricorrente nei film di altri grandi registi coreani contemporanei, come Park Chan-wook, Kim Ji-woon e Hong Sang-soo. Kim Sang-kyung fa da perfetto contraltare nella sua interpretazione del detective Seo, personaggio forse meno originale ma altrettanto riuscito. Ai due protagonisti si aggiungono poi una lunga serie di personaggi interessanti, come il violento partner Cho Yong-koo e i due principali sospettati, il glaciale Park Hyeon-gyu e Baek Kwang-ho, affetto da disabilità intellettiva.
Notevole infine la regia di Bong Joon-ho e la fotografia di Kim Hyung-koo, che inquadrano perfettamente la campagna coreana, baciata dal sole o battuta da una pioggia torrenziale, risultando altrettanto efficaci in set ariosi ed estesi, come i campi o la cava, e in piccole location. Non mancano campi lunghi e bellissimi establishing shot, ma il talento del regista sudcoreano risulta ancora più evidente proprio nelle riprese di interni, dove il posizionamento della camera e la composizione rendono possibili inquadrature in cui appaiono numerosi personaggi in spazi estremamente ristretti, grazie alla profondità di campo e al brillante utilizzo della scenografia; la strutturazione del seminterrato/sala degli interrogatori, in particolare l’uso che viene fatto della scala e delle finestrelle, non può che ricordare alcune delle migliori sequenze di Parasite, in cui il rapporto tra architettura e regia è alla base dell’intero film.
Il successo di Parasite potrebbe essere finalmente occasione per il grande pubblico di conoscere non solo Bong Joon-ho, ma il cinema coreano in generale, ricchissimo di altre opere e autori eccezionali, spesso poco distribuiti nei cinema italiani e internazionali. L’imminente uscita in sala di Memories of Murder è un buon inizio, e un evento imperdibile per ogni appassionato di cinema.
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