
Matrix, in pillole
Quando Matrix degli allora fratelli Wachowski uscì nelle sale cinematografiche del pianeta, ormai venti anni fa, il mondo assistette a un nuovo tipo di spettacolo, un incontro quasi sperimentale per l’epoca tra introspezione, azione e blockbuster epico/distopico. Vedere Matrix nel 1999 voleva dire, nel contesto dell’intrattenimento di massa, mettere radicalmente in discussione molte delle certezze acquisite al cinema ma anche nella quotidianità. Dal rapporto tra uomo e tecnologia, passando per l’importanza della fede, fino alla questione immanente della percezione sensoriale, Matrix ha sconvolto un pubblico che si stava affacciando a un mondo sempre più interconnesso e tecnodipedente. Oggi i figli di Matrix sono parecchi e per brevità ne citiamo soltanto alcuni degni di nota, come la serie Black Mirror, The Circle di James Ponsoldt (2017) o ancora Ready Player One di Spielberg (2018) che hanno ereditato e declinato aspetti specifici della pellicola. Nessuno però si avvicina alla sintetica complessità del film originale. Per capire (o ricordare) quanto Matrix sia stato innovativo abbiamo deciso di ripassare gli aspetti principali del film unitamente a qualche curiosità. Ve li proponiamo in pillole, azzurre o rosse ovviamente.
Mondi
Ogni autore fantastico che si rispetti ha sempre un merito su tutti: prima ancora di pensare a trama, personaggi o ambientazioni, un bravo autore di storie di fantasia si distingue sempre per i suoi “mondi”. Mondi certamente inventati e fantastici, ora magici, ora spaziali ma con una loro coerenza interna studiata al dettaglio. Che si parli della Terra di Mezzo, di Westeros, Hogwarts o di una Galassia lontana, ciò che colpisce lo spettatore di opere fantastiche è la vastità di un mondo immaginario tutto da scoprire e in Matrix questa regola è doppia, invertita e ribaltata. Quello di Matrix è un mondo per metà del tutto indistinguibile dal “nostro”, per l’altra metà invece completamente irriconoscibile. Come nei migliori film horror – anche se di horror non si tratta -, è la familiarità la caratteristica peculiare della realtà iniziale, quella familiarità talmente costruita da risultare inevitabilmente raccapricciante: computer, automobili, vestiti ma anche modi di parlare, tatuaggi e musiche, tutto è costruito alla perfezione per farci vivere in un perfetto 1999, sebbene niente di fatto sia costruito perché all’epoca era davvero la fine degli anni ’90. (per la precisione era la Sidney del 1998, dove il film è stato girato) Al contrario, il mondo “reale” è un tecno-incubo in CGI, perverso e cupo, del tutto indecifrabile se non grazie all’ausilio di una narrazione esterna. Il mondo, anzi i mondi di Matrix sono quindi prima di tutto un meta-ribaltamento fenomenologico, ovvero si riprende il reale per creare il falso, si costruisce il falso per indicare il reale.

Ambienti
Se dovessi scegliere una scena cardine del primo Matrix, probabilmente sceglierei quella dell’interrogatorio ovvero il primo incontro tra Thomas Anderson e l’Agente Smith. Si tratta di un momento carico di tensione e al contempo assolutamente placido, tranquillo, quasi confortante. Il merito è senza dubbio dei due protagonisti, rispettivamente Keanu Reeves e Hugo Weaving che in meno di cinque minuti riescono a conciliare un mix eterogeneo di sensazioni. Weaving, soprattutto, impersona non solo un personaggio ma un ambiente. Lo ricorderete, l’Agente Smith (che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto avere il volto di Jean Reno) è praticamente ovunque in Matrix e può essere chiunque. È la possibilità del suo intervento, ancora più della sua presenza effettiva, a causare molti se non tutti gli eventi descritti nel film, ed è in questa possibilità che si concretizza una delle rivoluzioni narrative di Matrix ovvero la non specificità tra ambiente e persona. L’ambiente si fa persona e la persona si fa ambiente e ci sono delle precise scelte di fotografia che rimarcano questo dinamismo visivo e atmosferico: Il verde per le scene in Matrix, il blu per scene fuori da Matrix e il caldo giallo per le scene di simulazione e addestramento.
Tempi
Nel film Blade di Stephen Norrington (1998) si assiste per la prima volta (o comunque a una delle prime volte) al Bullet Time. Il protagonista spara una raffica di colpi all’antagonista e questi, facendo sfoggio di riflessi sovraumani, la evita. Il tutto viene mostrato a rallentatore, mettendo in scena così l’effetto di distorsione temporale. Il bullet time è una tecnica di grande impatto per qualunque film action degno di questo nome, ma c’è un motivo se è stato è ricordato come “il film” del bullet time e cioè Matrix è un film a più “tempi”: c’è un tempo dell’azione, veloce e frenetico e per questo rallentato e un tempo per la riflessione e pertanto breve e conciso. Nel montaggio il tutto è stato parificato in modo tale da avere una narrazione omogenea, ma la distorsione del tempo è parte integrante dell’universo di Matrix, un universo, lo ricordiamo, dove “il cucchiaio non si piega perché non esiste”. Se quindi ogni elemento di Matrix può essere manipolato (o programmato se preferite), cosa ci impedisce di fare lo stesso col tempo? Per “distorcere il tempo” nella ormai ben nota scena dei proiettili a rallentatore, i tecnici del suono registrarono dei proiettili legati con lo spago che venivano fatti roteare nello studio di registrazione.

Prima di Matrix
Matrix storia completamente inedita? Non scherziamo, Matrix come tutte le storie degne di essere raccontate prende a sua volta ispirazione da molte altre storie precedenti. Opere come Ghost in the Shell, dal quale le registe hanno ammesso di essersi ispirate, Tron (1982) di Steven Lisberger e ancora la serie a fumetti Invisibles di Grant Morrison (per intenderci c’è una diatriba ancora in corso tra Morrison e le Wachowski per decidere se le seconde hanno copiato il primo). Addirittura, c’è chi sostiene che Matrix possa essere stato ispirato da Razzi amari, un fumetto italiano del 1992 di Stefano Disegni e Massimo Caviglia nel quale il protagonista combatte contro una dittatura tecnocratica che impianta chip nei neonati grazie ai quali credono di vivere in un mondo perfetto. E non dimentichiamoci di Terminator, prima grande saga cinematografica nella quale le macchine vincono sull’uomo, o ancora la visionarietà di Fritz Lang e del suo Metropolis. In cosa consiste allora la novità di Matrix? Probabilmente nell’essere un insieme di tutto questo e anche di altro. Come ad esempio di discussioni iniziate più di duemila anni fa.

Dubbio
Buddismo, nichilismo, marxismo e ovviamente il postmodernismo sono alcune delle correnti filosofiche di cui è intriso il pensiero di Matrix. Alla base troviamo ovviamente il mito della caverna di Platone e forse anche un lieve rimando alle Meditazioni Metafisiche di Descartes.
Supponam igitur non optimum Deum, fontem veritatis, sed genium aliquem malignum, eundemque summe potentem et callidum, omnem suam industriam in eo posuisse ut me falleret.
Supporrò dunque che, anziché un Dio ottimo, fonte di verità, vi sia un genio malvagio, che sommamente potente ed astuto, ce la metta tutta per ingannarmi. (Meditazione Metafische, I,15)
La discussione filosofica di Matrix però è solo in parte di natura gnoseologica. Soprattutto nel primo film, e in misura minore anche nel secondo, la domanda non è tanto cosa sia reale e cosa no, bensì se sia giusto o meno scegliere di vivere in un mondo (e in un modo) piuttosto che nell’ altro. Un dubbio cioè di natura prima di tutto etica. Ammettiamolo, il personaggio di Joe Pantoliano (Cypher), fatto salvo per l’aver tradito i suoi compagni, è davvero così biasimevole? Per le registe no, dato che in un’intervista hanno ammesso che avrebbero scelto la pillola azzurra. Ma soprattutto un mondo virtuale atto solo a stimolare le nostre percezioni sensoriali è per forza un mondo “irreale”? E che cos’è reale? Datemi una definizione di reale…
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