
Matrix Resurrections – L’urlo anarchico dell’amore
Alle soglie del Millennium Bug arrivava al cinema un film in grado di mettere in discussione lo statuto del reale, figlio di un tempo in cui la convergenza tra i media, l’espansione incontrollata del digitale e l’affermazione della rete come nuova interconnessione globale democratica facevano pensare a mode alternative di intendere la possibilità di creare e narrare storie. «Il bello delle storie è che non finiscono mai» dichiara uno dei personaggi di Matrix Resurrections, upgrade differenziale – come differenziale è stata la rinascita di Ghostface nel nuovo Scream – di quella Matrice la cui esistenza è stata svelata nell’ormai lontano 1999.

Il prologo di questo nuovo film di Lana Wachwoski duplica quello del primo Matrix, variandone in modo impercettibile alcuni dettagli: la prima traslazione di senso tra il classico che avrebbe colonizzato l’immaginario collettivo e questa sua riscrittura è in atto. Thomas A. Anderson non è più (o, forse, ancora) Neo ma un game designer che ha raggiunto la celebrità globale per aver creato un videogioco che si chiama Matrix (e che sta lavorando a un altro che ha Binary come titolo…); l’incontro con un Morpheus che ha per corpo un involucro diverso rappresenta nuovamente l’incidente scatenante che sottrarrà il velo di Maya al suo sguardo; la pillola rossa e la pillola blu continuano a esistere per ingabbiare il protagonista nella sua prigione lontano dalla realtà oppure per portarlo oltre lo scontro tra il mondo digitale della Matrice e quello reale delle macchine e degli umani – non più divisi e in lotta tra loro – e consentirgli di inseguire la sua storia d’amore.

Sì, perché sotto la superficie degli effetti digitali, del bullet time, della filosofia, di realtà e simulacri, di inseguimenti e sparatorie, si cela la storia d’amore tra Neo e Trinity, cuore pulsante del franchise di Matrix. A più di 20 anni di distanza, Lana Wachowski ha deciso di riportare a galla quell’archivio di immaginario che è stato il film diretto insieme a sua sorella Lilly e di resuscitare quel mondo e quei personaggi, sottoponendo ogni aspetto a un lavaggio dal corso d’acqua della massificazione industriale hollywoodiana. Smarcandosi dal nuovo canone del trattamento assimilante e “curativo” targato Disney Studios, Matrix Resurrections vive come un patchwork di frammenti provenienti dal passato, schegge impazzite e anarchiche in grado di ribaltare tutte le aspettative innescate e, in un certo senso, portare a galla un meccanismo di auto-annientamento.
Tutta questa sgangherata ma straordinaria dimostrazione di fluidità consiste nella messa alla berlina dei meccanismi ricattatori che le sorelle Wachowski hanno subito da Warner Bros. nel corso degli anni per recuperare il loro franchise più famoso. Le scelte metalinguistiche – e le avventure nelle più disparate writer’s room industriali – servono a fuggire da un sistema mediocre la cui scoperta è assimilata alla crisi di mezza età che Thomas A. Anderson sta attraversando. Come strategia di risposta alla morte dell’umano e alla narcotizzazione delle immagini seriali, Lana Wachowski pone in primo piano Trinity e la sua storia d’amore con Neo – personaggio che non è più costretto a essere bianco o nero e a dover necessariamente compiere una scelta ingurgitando la pillola blu o quella rossa.

Se l’identità di Lana Wachowski è inscindibile dagli spazi dello stesso Matrix, e se Matrix è anche metafora di una sessualità – e, in senso ancor più ampio, di un’umanità – in continua transizione, allora la traslazione che il suo immaginario attraversa è l’apice del pensiero delle sorelle Wachowski, un urlo anarchico che, evadendo dall’epopea distopica, dà il colpo di grazia al passato e risorge abbracciando le forme di una romantica rêverie immersa nel corpo del tempo presente.
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