
Don’t Worry Darling – L’inganno reale | Venezia 79
Nella sua seconda prova alla regia dopo La Rivincita delle sfigate, Olivia Wilde approda a Venezia 79 fuori concorso con l’attesissimo Don’t Worry Darling, il quale vanta un cast stellare composto da Harry Styles e Florence Pugh nei panni dei protagonisti e la stessa regista impegnata in uno dei personaggi principali. Prodotto da New Line Cinema e Vertigo Entertainment, il film è il primo importante progetto ambizioso di Wilde alla regia, così come ha affermato, e promette bene su una possibile e duratura carriera dietro la cinepresa.
La sceneggiatura di Don’t Worry Darling, firmata da Katie Silberman (braccio destro di Wilde già nel suo primo film), catapulta lo spettatore in una dimensione distopica, talmente idilliaca da apparire disturbante e angosciante. Alice (Florence Pugh) e Jack (Harry Styles) vivono felicemente la loro quotidianità matrimoniale, attorniati da una mondanità anni Cinquanta sfavillante, ricca di amici, da una casa lussuosa e da un lavoro invidiabile. Nulla sembra essere fuori posto finché, inaspettatamente, una delle mogli della comunità di Victory (questo il nome della cittadina in cui vivono) mostra segni di squilibrio psicologico e, a seguito di un incidente, sparisce nel nulla insieme al marito. La sua misteriosa scomparsa getta Alice in una crescente disperazione allucinatoria, primo squarcio di lucidità nei confronti di una verità terrificante sulla reale storia della comunità. Ad instaurare il dubbio nella giovane donna è soprattutto la natura del lavoro di Jack, alla quale Alice sembra non avere accesso, così come il resto delle mogli della città.

I rimandi visivi e contenutistici al filone del cinema distopico sono facilmente riconoscibili all’interno del thriller di Olivia Wilde: a partire dal modello de La fabbrica delle mogli, passando per uno dei capisaldi del genere, Matrix degli allora Andy e Larry Wachowski, fino al più recente Black Mirror (2011-2019) in cui viene denunciato il lato oscuro e le conseguenze devastanti del progresso inarrestabile, senza dimenticare i rimandi a 1984 di George Orwell. In Don’t Worry Darling la scrittura è ambiziosa e viaggia verso un deciso intento distopico. Rimangono alcuni quesiti aperti, soprattutto nei confronti di un finale semi-aperto, in cui si lascia spazio ad un immaginazione ormai pregna del contenuto della narrazione ma che, inevitabilmente, tende a divagare verso altri orizzonti di contesto.
Le tematiche trattate in Don’t Worry Darling si pongono notevolmente in sintonia con l’ambientazione temporale mostrata nel film. Il ruolo della donna, assoggettata alla figura del marito-capo famiglia, viene qui riproposta ed esasperata al limite, fino al grottesco. Le mogli di Victory sono donne-oggetto, recluse in casa, in attesa del rientro del marito, con il solo compito di occuparsi dell’abitazione e del nutrimento del coniuge. Sulla scorta de La fabbrica delle mogli, le donne del film sono un gruppo di Barbie esteticamente curate e perfette, a cui viene estirpata la facoltà di pensare e di parlare. Olivia Wilde esaspera la loro condizione fino a rendere tangibile un regime dittatoriale in cui ogni loro potenzialità è negata e dove l’uomo ha il pieno controllo della loro mente e corpo. La mente femminile, infatti, è una delle tematiche principali proposte nel film ed è il luogo di azione in cui si insinua l’inganno. La forte denuncia nei confronti del sistema patriarcale dell’epoca trattata viene potenziata dal ribaltamento progressivo dei ruoli che latente anima tutto il film, fino ad una presa di posizione femminista. Il sistema creato sulla base della possessione totale delle proprie donne implode e, seguendo un effetto boomerang, trascina i responsabili verso il baratro.

La regia di Wilde appare essere, tuttavia, eccessivamente carica di tecnicismi e modalità di ripresa troppo accademiche (movimenti di macchina continui e numerose carrellate), lasciando poco spazio al lato interpretativo e soggettivo dello stile del regista. Interessante la costruzione di ripresa dei piani dettagli a cui Wilde sembra reputare molta importanza, così come gli svariati intermezzi monocromatici, quasi più in linea con il filone della poesia visiva, i quali arricchiscono le scene del film. Per quanto riguarda le prove attoriali, il duo di protagonisti non delude le aspettative e viene attorniato da un cast altrettanto all’altezza. Pugh e Styles restituiscono un’ottima sintonia e, gradualmente nel corso del film, dimostrano eccellenti qualità nella resa drammatica.
Nonostante la buona costruzione narrativa, alcuni elementi presentati nel corso del film rimangono non pienamente chiari (a partire da alcune suggestioni sonore che si ripresentano continuamente) e non vengono giustificati. Questa scelta potrebbe sostenere la scelta di una narrazione volutamente non descrittiva e chiara anche se, paradossalmente, la volontà esplicativa nel corso della trama è tangibile in ogni scena del film.
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