
Il deserto del reale – Gli archetipi di Matrix secondo Paolo Riberi
Sembra che una caratteristica ineludibile del post-moderno sia quella di assommare infiniti archetipi, in un guazzabuglio di motivi e di sagome che potrebbe ripercorrere potenzialmente l’intero immaginario occidentale – come aion, più che come kronos. Facevano così l’Ulisse di Joyce, o La terra desolata di Eliot – i due scritti che, pubblicati esattamente un secolo fa, rispettivamente nella prosa e nella poesia segnarono il culmine ed il travalicamento del modernismo, trascinando nel vortice delle loro parole il mito greco, la tradizione giudaico-cristiana, certi influssi orientali, un senso ineludibile di apocalisse: apocalisse della storia nel caso di Eliot, tramonto definitivo dell’eroismo nel quotidiano nel caso di Joyce.
Dopo il 1922 data altrettanto fatidica è il 1999, l’ultimo anno del millennio: la promessa di una nuova era, un confine archetipico tra due diversi e potenziali eoni. Proprio quell’anno apparve il primo capitolo di una saga narrativa connotata dalla stessa smania archetipica di un Eliot o di un Joyce, e destinata ad avere, sull’immaginario collettivo, un impatto addirittura maggiore.

Matrix, dei fratelli, adesso sorelle, Wachowski, ha un’ambientazione fantascientifica, ma a uno sguardo appena approfondito si rivela come un indelebile coacervo di suggestioni e di riferimenti più o meno criptici a numerosi “sistemi di immaginario” del passato – forme complesse ma non istituzionalizzate di pensiero religioso o comunque iniziatico, in buona parte accostabili a quello che Giorgio Galli definiva Occidente misterioso. In Matrix, Keanu Reeves interpreta Thomas Anderson/Neo, un hacker destinato a subire una rivelazione scioccante: tutta la “realtà” in cui lui ha sempre creduto di vivere è frutto di un’illusione, di un inganno ordito dalle Macchine all’inizio del Terzo Millennio nel momento in cui, diventate senzienti, hanno deciso di ridurre in schiavitù la razza umana. Non solo Thomas deve fare i conti col fatto che nella “realtà autentica” delle cose la civiltà umana è ridotta a un cumulo di rovine: gradualmente scopre di essere lui stesso l’Eletto destinato, secondo alcuni partigiani della resistenza umana, a riportare gli uomini alla consapevolezza e a far cessare la guerra con le Macchine.
Se il riferimento al “meta-mito” platonico della caverna è lampante e smaccato, con le sue suggestioni messianiche Matrix affonda a piene mani anche nell’immaginario cristiano-giudaico: e non tanto e non solo nel suo côté più canonico, o comunque ufficiale, quanto nelle sue dimensioni più complesse ed ereticali, nello specifico della macro-area della gnosi. La gnosi, definita “eresia eterna” da Roberto Calasso, fu movimento religioso dei primi secoli che rappresentava un crocevia tra immaginario giudaico-cristiano, neoplatonismo e manicheismo: l’assunto centrale della gnosi riteneva il mondo materiale frutto della creazione avariata di un funesto demiurgo; pochi uomini custodiscono nell’anima scintille divine, del Dio autentico, nell’anima, e possono giungere alla consapevolezza, alla gnosis appunto, di questo stato di cose; nell’impianto gnostico il Cristo mantiene il ruolo messianico e salvifico che ha per il cristianesimo, mentre viene rifiutato pressoché integralmente l’Antico Testamento, con J.H.W.H addirittura “smascherato” come il Demiurgo. La gnosi, insomma, come epifania negativa che svela il nostro mondo come prigione nascosta per anime desiderose della salvezza: esattamente la stessa struttura di fondo che si trova in Matrix, ma calata nelle inquietudini e nel linguaggio religioso di quasi duemila anni prima.

Sin dalla sua prima apparizione nelle sale nel 1999 la narrazione polistratificata di Matrix ha acceso lunghi dibattiti critici sul significato, sui sottotesti e sul messaggio autentico del film; e, almeno per quanto riguarda l’Italia, un posto di rilievo in questo dibattito se l’è guadagnato lo storico delle religioni Paolo Riberi, che ha recentemente dato alle stampe per Lindau il saggio Il risveglio di Neo: Mitologia, gnosi, Massoneria e Metaverso da «The Matrix» a «Resurrections». In realtà Il risveglio di Neo è per Riberi il punto di approdo di una riflessione perlomeno decennale sull’influenza dell’immaginario gnostico sulle narrazioni collettive contemporanea – riprendendo una tradizione interdisciplinare e archetipica della saggistica italiana in cui Umberto Eco ed Elémire Zolla erano, per vie diverse, maestri.
Tuttavia, rispetto a precedenti saggi divulgativi di Riberi, in cui già si parlava diffusamente di Matrix –Pillola rossa o loggia nera, dedicato alle suggestioni gnostiche nel cinema di fantascienza in generale, o il più omnicomprensivo Il serpente e la croce, che partiva dalle radici culturali del movimento fino ad arrivare alla “gnosi pop” a cavallo tra XX e XXI secolo – Il risveglio di Neo, col suo impianto monografico dedicato interamente alla tetralogia delle Wachowski, rappresenta un necessario aggiornamento e ampliamento.
Il risveglio di Neo aggiorna le precedenti trattazioni di Riberi sulla gnosi pop nella misura in cui affronta anche il quarto e controverso film della saga, Matrix: Resurrections, diretto dalla sola Lana Wachowski e distribuito nelle sale di tutto il mondo tra dicembre 2021 e gennaio 2022 – e benché questo quarto film si affidi innanzitutto a una costruzione metanarrativa e di fatto videoludica rispetto ai tre precedenti film della saga, Resurrections radicalizza anche alcuni sottotesti misterici della trilogia originale, a cominciare dal concetto gnosticissimo di sigizia. Dall’altro Il risveglio di Neo rappresenta un notevole ampliamento rispetto ai precedenti saggi di Riberi, perché oltre al sottotesto gnostico di Matrix – ricordiamo che l’autore è uno dei massimi esperti contemporanei della gnosi in Italia – si apre anche ad altre interpretazioni e ad altri generi di riferimenti: grande spazio viene dato all’impianto massonico di Matrix, non allo scopo di costruirvi sopra teorie del complotto come altri hanno fatto, ma per illustrare l’originario significato spirituale che la massoneria, in parte sulla falsariga della gnosi, aveva; ma il nuovo saggio di Riberi analizza Matrix anche in riferimento al monomito originariamente teorizzato da Joseph Campbell, e, in un capitolo finale a cui non avrebbero guastato delle pagine in più, fa riferimento anche recenti annunci di Zuckerberg & co. sul Metaverso richiamandosi anche alle teorie di Jean Baudrillard, filosofo francese abbondantemente citato nei Matrix.

Pare che lo scrittore russo Vladimir Nabokov una volta abbia detto che – nel Novecento – Realtà sia o sia diventata “una delle poche parole che non hanno alcun senso senza virgolette”. Alla fin du siècle, Matrix porta questo assunto al parossismo. Il risultato è prevedibilmente, inaspettatamente, un circuito di archetipi, se è vero che per esorcizzare l’infinità potenzialità di riproduzione del reale promessa con l’era digitale le sorelle Wachowski si sono rivolte ad arcani simbolismi religiosi. La vera potenza di Matrix sta tutta nel suo sguardo, un meta-sguardo, costantemente a caccia di epifanie negative, di disinganni e di disillusioni. “Benvenuto nella tua desertica nuova realtà”, diceva Morpheus a Neo in una delle scene più celebri del primo film – citando nell’originale the desert of the real, uno dei più noti saggi di Baudrillard. Deserto del reale che, come i riferimenti al Metaverso nella conclusione del libro lasciano cadere – potrebbe essere più vicino a noi di quanto mai volessimo sospettare.

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