
Considerazioni non poco italiane su Boris (e Scrubs)
Se il titolo è fin troppo italiano, il contenuto dell’articolo vuol essere invece transeuropeo, oltreoceanico: Alessandro è il nuovo stagista scelto per l’aiuto-regia sul set di Gli occhi del cuore 2, sit-com di chiara peninsularità. Nella concessione intenzionale di un episodio pilota di Boris che presenti un piano superficiale di tutti i personaggi, Alessandro è su un rollercoaster, sminuito ed entusiasmato, miscomprende in pratica tutto ciò che viene detto e fatto: incontra un attimo prima della sigla di Elio e le Storie Tese il delegato di produzione Sergio (Alberto Di Stasio) che lo manda affanculo; e poi, ad un passo da René Ferretti (Francesco Pannofino) intento a oracolare assieme al pesce rosso Boris, è catturato dall’aiuto-regia Arianna (Caterina Guzzanti). E ancora: tutta la troupe si raduna attorno a Lopez (Antonio Catania), il delegato di rete incaricato spessissimo di discorsi motivazionali dai dubbi risultati e dalla dubbia retorica. E così via, fino a Corinna (Carolina Crescentini), la star per caso e per raccomandazione dell’intera serienellaserie, fino agli episodi dell’Africa.
Boris (2007-2010) – su soggetto di Luca Manzi e Carlo Mazzotta, e sceneggiatura di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo – durante tutta la messa in onda e la splendida e direi autoironica scalata verso il successo attraverso la pirateria (perché sì, se tramite la Fox la serie ha raggiunto “solo” 1/5 degli spettatori di un Lost qualunque, la fortuna arriva proprio da lì, dal min. 7 dell’intervista di Wired) ha di fatto voluto riferirsi ad altri prodotti cinematografici e televisivi, nostop, non unicamente per “omaggiare” (che è verbo-azione chiave nella serie) ma per instaurare un rapporto di parodia, che, precisando, nel suo essere fondamentalmente dialettica non può che insistere sul rapporto genetico tra serie che parodizza e serie che viene parodizzata. Se un articolo di ricerca delle fonti sarebbe assurdo e illeggibile, un ‘saggio brevissimo del rapporto si potrebbe azzardare “filiale” tra Boris e Scrubs (2001-2010),serie ideata da Bill Lawrence, può farsi interessante. Soprattutto se quest’ultima ha fin da subito creato il medesimo rapporto con uno spettro archetipico di tutto rispetto. La prima pubblicità in onda, secondo Wikipedia, reciterebbe: «Più clinico di ER, più cinico di Ally McBeal, più piccante di Sex and the City, più frizzante di Friends». Per Er – medici in prima linea, Scrubs – medici ai primi ferri ha una vera ossessione antinomica: ribaltare, dare uno scarto che sia al contempo parodia, omaggio, distacco autoriale, fin dal sottotitolo.
Entrambi gli episodi delle prime stagioni si intitolano “Il mio primo giorno”, annunciando (e via via disattendendo) che la soggettiva sarà dello specializzando da un lato, dello stagista dall’altro. E così dunque: Lopez coi suoi discorsi motivazionali si carica del ruolo di Kelso, primario apparentemente angelico; Biascica (Antonio Calabresi), capo elettricista – colle inquadrature classiche dall’alto verso il basso e viceversa (con la scala strumento di mestiere a motivazione e per la naturale altezza del personaggio) che lo avvantaggiano sempre su Alessandro – riprende l’inserviente, il meraviglioso Neil Flynn, graziato dalla morsa del copione canonico e incaricato di una improvvisazione continua (e a volte forse lo stesso Calabresi sembra agire su un canovaccio); ma in realtà tutta la costellazione dei personaggi sembra in un modo o nell’altro prestare un occhio a Scrubs, non sempre per dipendenza diretta ma di sicuro per allusione (non si faccia l’errore di radicalizzare un assunto, la pretesa di scovare dei legami diretti o obliqui tra serie televisive può e deve essere l’occasione di ulteriori letture, non l’occasione di screditare o accreditare un prodotto anziché un altro): ultimo esempio, pensiamo a Ted (Sam Lloyd), l’avvocato dell’ospedale, e Lorenzo, meglio conosciuto come lo stagista schiavo, interpretato da Carlo De Ruggeri.
Per Stanis La Rochelle (Pietro Sermonti) il discorso si infittisce, perché il personaggio si nutre senza alcun dubbio della logorroicità del Dott. Cox – investendo assieme agli altri Alessandro di una serie infinita di soprannomi: Seppia, Merda (by Biascica), Fabrizio e altri nomi maschili (by René) e talvolta anche femminili (by Valerio) – e soprattutto del suo egocentrismo, con ribaltamento, perché la differenza qualitativa (di vestibilità del mestiere diegetico) è enorme; ma Sermonti ribalta anche se stesso, riuscendo a riscriversi carriera attoriale e a tratti vita privata. Entrambi (Stanis e Pietro) hanno perfezionato i propri studi all’estero ma sono tornati in Italia a recitare; per Stanis è l’occasione per ergersi curricularmente sopra gli altri, nonostante la mediocrità delle sue prestazioni (in realtà col passare delle stagioni smussata) e per manifestare il proprio dissenso verso l’italianità (difesa, potrebbe dirsi, a tratti da furor di attori secondari, quali per esempio Marco Giallini in Valerio, che in risposta alla domanda di Alessandro: ma è metodo Stanislavskij? risponde: No, è il metodo de li cazzi mia): indimenticabile la puntata 8 della seconda stagione, durante la quale Stanis intrattiene un dialogo-monologo con il regista Wim Wenders, presunto amico invitato sul set (per messaggio gli scrive: thank you to be so not italian). Tornando un periodo indietro, Stanislavskij è anche l’ispirazione del nome d’arte, chiamandosi il personaggio della serie in realtà Enzo Facchetti. E ancora, Sermonti ha recitato per Un medico in famiglia: il suo personaggio subentra durante la terza stagione, si innamora di Maria Martini, interpretata da Margot Sikabonyi, con la quale (ma i gossip ci interessano pochissimo) anche fuori dalla serie ha avuto una relazione. Ebbene, l’attrice in Boris è la fidanzata, lontana, di Alessandro, per la quale Stannis prova un’attrazione immediata e travolgente. V’è un concorso di autoironia strabiliante. E infine, lasciando al lettore il gioco di districare altre possibili fila, quando Gli occhi del cuore 2 sembrano destinati alla chiusura – con René “politicamente” in bilico, costretto a girare la scena dell’attentato – Stanis sfrutta i suoi avvocati per evitare di morire e salvarsi miracolosamente. Volessimo tornare per un secondo al Medico in famiglia, potremmo rifarci al suo abbandono volontarissimo alla serie (per il rischio di ridursi, come attore, al solo Guido Zanin), perpetuato con la messa in scena di un incidente d’auto.
Tornando alla traiettoria Scrubs-Boris, la questione riguarda anche la costruzione di ambienti e la disposizione ab ovo comica degli esistenti. E a seguire: l’utilizzo di motivi musicali standard per transizioni e “momenti tristi”: il famosissimo Tadatadatadattatta di JD, potrebbe dirsi ripreso metodologicamente dalla colonna sonora di Taviani e Travia, onnipresente. E su tutti, oltre il citazionismo già menzionato, l’utilizzo di Cameo come surplus comico e di senso (e l’utilizzo del sottotipo di cameo quale la menzione diretta o indiretta di personaggi pubblici): in Scrubs Collin Farrel, Billie Dee Williams, Dick Van Dyke, e su tutti – per lo scrivente forse – Michael J. Fox direttamente dal futuro, nei panni del Dr. Kevin, manicheisticamente frapposto a Cox con numerose implicazioni. In Boris: il gorilla del Crodino, Giubilei nei panni di sé che legge le telenotizie, Valerio Mastrandrea, Giorgio Tirabassi, Sergio Brio e in apice Paolo Sorrentino, in Nella rete, stagione terza, terzultimo episodio: il regista, sul set per convincere Fabiana (Angelica Leo) ad abbandonare Medical Dimension per il suo prossimo film, viene accolto più volte come il regista di Gomorra. Per il misunderstanding si permette di punzecchiare Garrone: è quello basso, sta perdendo pure i capelli. Per non parlare della prestazione eccelsa di Corrado Guzzanti nel doppio ruolo – autoconclusosi con un omicidio praticamente allo specchio nell’ep. finale della seconda stagione – di Mariano e dell’agente di Mariano, legato alla Camorra.
Basterebbe attenersi alla rivelazione fatta durante la 3a Stagione, per cui Medical Dimension – la serie che René sta girando dopo aver rifiutato di continuare Gli occhi del cuore – sarebbe ispirata a una serie popolare americana per chiudere l’articolo, ma un ultimo dettaglio sembra fondamentale: Alessandro ammette, oramai a conclusione di serie, di tenere un diario, nel quale ha appuntato anche qualcosa dell’amore per Arianna. Per i fan di Scrubs il collegamento è immediato: quale oggetto è più significativo? Considerando anche la voce di JD a guidare ogni singolo episodio?
La serie, dal 1 maggio 2020, è di nuovo disponibile su Netflix.
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Pannofino mi ha fatto spanciare dalle risate in My father Jack: l’hai visto?
Una serie geniale, ormai vero e proprio cult. Il film, poi, aggiunge altre scene memorabili alla lunga lista che Boris ha saputo offrire. (con un finale che è una vera chicca.)
[…] Qui il nostro approfondimento. […]
[…] lavori e all’omaggio di chi ha lavorato con lui nell’arco della sua carriera. Non solo Boris dunque, che rimane comunque il suo lavoro forse più innovativo, conosciuto e oggi più che mai vivo […]
[…] magia, sostituisce il ricordo. Aspettiamoci sempre più manovre di questo tipo – che poi, con Boris è successa un po’ la stessa cosa – perché Netflix è bravissima a dettare […]
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[…] in Boris è l’interdiscorso, cioè il continuo rimando ad altro: gli archetipi sono evidenti (per esempio Scrubs), gli omaggi pacifici (anche come “grimaldello”; parlo della scatola blu di Mulholland […]