
Riguardando Yu-Gi-Oh! – Deliri di un anime tra marketing e nostalgia
Articolo a cura di Maria Francesca Mortati e Nicolò Villani
Yu-Gi-Oh!: un caso di marketing, dall’anime al gioco di carte (e viceversa?)
L’anime del 2000, da poco sbarcato su Netflix, Yu-Gi-Oh! – prodotto dalla Gallop e dalla Nihon Ad Systems – è un adattamento dell’omonimo manga giapponese (1996-2004) ideato da Kazuki Takahashi. L’anime inizia dalle vicende del volume 8 del manga: in realtà esiste un precedente adattamento a cura della Toei Animation, inedito al di fuori del Giappone. Tale adattamento riprende i primi 7 volumi, ragion per cui il gioco di carte non è affatto al centro della narrazione. Il gioco, noto come Magic & Wizards nel manga e Duel Monsters nell’anime, viene realizzato in Giappone dalla Konami.

La scelta dell’adattamento del 2000 di iniziare in medias res dipende probabilmente dalla fama che stava acquisendo il gioco di carte collezionabili. Nella prima stagione dell’anime, le regole del gioco di carte sono pressoché inesistenti. A partire dalla seconda, il torneo organizzato da Seto Kaiba permette di avvicinare le regole del mondo diegetico a quelle del gioco di carte “reale”. In Italia, il gioco viene distribuito a partire dal 1996, ma è l’arrivo dell’anime nel 2003 a dare l’impulso alla vendita delle carte. La serie va incontro alle esigenze promozionali del gioco, e il gioco contribuisce alla fama della serie.
La questione del regolamento apre prospettive interessanti sull’interpretazione dell’appeal della serie e della facile integrazione del gioco all’interno dell'”ecosistema ludico” dei bambini dell’epoca: la mancanza di regole chiare e di una meccanica di gioco che non fosse basata su altro se non sulla potenza narrativa intrinseca nei mostri rappresentati dalle carte (veri e propri motori diegetici forti della serie) ben si colloca con quell’impulso alla costruzione dell’immaginario (con la “I” maiuscola – Immaginario – se ci azzardiamo a leggerlo con Lacan) propria dell’infanzia. Chiaramente il potere promozionale di una serie animata su tv free to air in orario pomeridiano – sostanzialmente un enorme e costante slot pubblicitario da 25 minuti – non può ignorare il disorientamento di chi a giocare vuole imparare sul serio, di chi, vuoi l’età, vuoi la prontezza, desidera più Simbolico ad arginare il suo Immaginario.
E qui la trovata narrativa è geniale: le regole sono cambiate – o meglio, sono arrivate – anche nella serie, come si è detto, con la seconda stagione; con queste arrivano un nuovo look per i personaggi, nuove trame e una nuova sigla. Ah, e ovviamente, nuove carte da collezionare. Yu-Gi-Oh! diventa di volta in volta il punto d’incontro di prodotti ludici da lanciare, raccontare, testare e magari subito ritirare – si pensi a Dungeon Dice Monsters, gioco realmente esistente con meccaniche impossibili, che occupa un consistente e imbarazzante segmento narrativo nella serie -, non a caso accanto alle carte vengono prodotti bellissimi e fedelissimi Duel Disk anticipando di anni, almeno da noi, la moda del cosplaying: in sostanza, l’anime altro non fa che immergere nel mondo diegetico chiunque tenga in mano una di quelle carte dal retro vorticoso.

Effetto Netflix – Millennium Nostalgia
Così come The Queen’s Gambit ha scatenato le ricerche sugli scacchi su Google, il rilascio su Netflix delle prime due stagioni dell’anime di Yu-Gi-Oh! ha spinto i fan di vecchia data a rivedere la serie, a riavvicinarsi al gioco di carte, e a fenomeni di aggregazione sul web. Jason Mittell considerava il tempo dello schermo lo specifico della serialità televisiva, identificandone la particolarità soprattutto negli spazi temporali tra un episodio e l’altro. Essi consentivano allo spettatore di impiegare l’attesa dell’episodio successivo creando paratesti interpretativi, discutendo l’episodio con altri fan in specifici luoghi deputati come i forum, che permettevano allo spettatore di “non sentirsi solo” durante l’esperienza di visione. L’avvento del DVD prima e delle piattaforme non lineari poi ha cambiato il modo di visione dello spettatore. Tuttavia, in certi casi, come in quello di Yu-Gi-Oh!, si genera sui social un processo simile a quello dei forum: ad esempio, la proliferazione di meme, la condivisione di ricordi, la discussione sulle meccaniche del gioco. Gli spettatori potranno pur essere in punti diversi del rewatch, eppure lo spazio dei social pullula di riferimenti alla serie.

Netflix, da tempo sempre più ricco di anime, con Yu-Gi-Oh! tenta il miracolo: applicare anche ai millennials – ricordiamo l’assonanza con gli Oggetti del Millennio della serie – quel fenomeno di forza nostalgica già sperimentato sulla generazione nata tra gli anni ’70 e gli anni ’90. Quanto si è detto sulla potenza social, affiancato alla necessità crescente di creare ponti per consolidare le community generazionali che fruiscono della piattaforma streaming, fa del rilascio di Yu-Gi-Oh! un precedente non privo di interesse: l’immaginario millennial è costellato di prodotti orfani di contenitore, pronti a riverberarsi nella dieta mediale e nella discorsività sociale di “giovani adulti” (perdonate il termine orribile) sempre in cerca di un ricordo forte e pervasivo – cosa più pervasivo di un anime promozionale? – di un’infanzia ancora priva di una narrazione, e quindi mediaticamente inesistente.

Resta forse un miraggio sperare nel rilascio delle stagioni successive – ma dopotutto, onestamente, chi se le ricorda? -, anche se è già da tempo disponibile il sempre godibile film del 2004, a riprova che la nostalgia funziona nell’immediato, come un qualunque ricordo sinestesico: perderci troppo tempo ricontestualizza, spegne la magia, sostituisce il ricordo. Aspettiamoci sempre più manovre di questo tipo – che poi, con Boris è successa un po’ la stessa cosa – perché Netflix è bravissima a dettare l’agenda emotiva degli spettatori audiovisivi, specie quando sul fronte delle produzioni anche nulla può muoversi.
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