
Una settimana di sciopero degli sceneggiatori USA | Le ragioni e le conseguenze
Era il primo maggio sul territorio statunitense quando ha preso il via il più grande e importante sciopero degli sceneggiatori americani, uno dei comparti dell’industria audiovisiva più compatta e sindacalizzata, che ha deciso di protestare bloccando la pre-produzione di uno dei settori economicamente più ampi di un mercato che oggi ha raggiunto una dimensione endemicamente globale. A una settimana dall’inizio, è il momento di fare un riepilogo delle ragioni di questo sciopero degli sceneggiatori – differente in condizioni e dimensioni rispetto a quello, dirompente, del 2007 – e cercare di valutarne le possibili conseguenze, di fronte a un contesto industriale la cui espansione non ha saputo portare con sé un ritorno adeguato per le sue maestranze.

È giusto esplicitarlo subito: qui su Birdmen Magazine vogliamo schierarci con gli sceneggiatori americani, rappresentati dalle sigle sindacali della WGA (Writers Guild of America), perché riteniamo fondamentale che un mercato come quello dell’audiovisivo si riassesti a misura di chi lo rende possibile, riequilibrando il rapporto tra maestranze e produttori – rappresentati dalla AMPTP (Alliance of Motion Picture and Television Producers) – nell’ottica di dare una struttura non solo retributiva, ma anche economicamente sostenibile, all’intera industria. Il nuovo sciopero degli sceneggiatori nasce, infatti, a fronte di un contesto produttivo radicalmente mutato, in cui tutte le prassi che regolavano la vita economica di un prodotto audiovisivo si sono dissolte e, con loro, i ricavi in prospettiva di chi quel prodotto lo ha realizzato a fronte di una crescente dimensione speculativa dell’intero ecosistema audiovisivo.

Ma andiamo con ordine. Nel 2007 lo sciopero degli sceneggiatori durò 100 giorni durante i quali oltre 12000 scrittori chiedevano di rimettere mano alle retribuzioni del loro lavoro in relazione all’ampliamento del mercato delle syndication – per semplificare, le “repliche”, molto ben pagate negli USA attraverso le logiche dei Network -, all’enorme esplosione dei titoli in home video – i cofanetti DVD che permettevano il consumo delle serie in box set -, all’iniziale fumosità del nascente contesto dei video su internet e alla necessità di allargare la giurisdizione del sindacato. All’epoca non tutte le richieste furono accolte – specialmente coi DVD non cambiò sostanzialmente nulla -, ma in prospettiva quanto ottenuto nel nascente mercato dell’on-demand è stato fondamentale per rendere ancor più efficace lo sciopero di oggi: secondo le disposizioni del 2008, gli operatori OTT non possono ingaggiare per le produzioni statunitensi sceneggiatori che non facciano parte della WGA.

A prescindere da quanto ottenuto, le conseguenze per il mercato audiovisivo – specialmente seriale – tra il 2007 e il 2008 furono impressionanti: 100 giorni di sciopero hanno portato al sostanziale dimezzamento di moltissime serie televisive al momento in produzione – con conseguenze devastanti per le syndication – e alla posticipazione di altrettanti titoli per non rischiare di azzerarne il valore distributivo, con una minima, ma pur presente, quantità di prodotti cancellati a causa della chiusura delle produzioni. Le stime sul danno economico per l’industria vanno dai quasi 500 milioni di dollari fino ai 2 miliardi, a seconda degli stakeholder di cui si tiene conto.

16 anni dopo le condizioni di mercato sono estremamente cambiate: il contesto dello streaming ha portato a prodotti seriali più brevi (si è passati dai 24 episodi ai 10 di media) con formati variabili e cadenze di rilascio decisamente aleatorie, senza contare la contrazione delle finestre distributive – che col 2020 si sono praticamente azzerate – e la demolizione dell’impianto di syndication, specialmente nei confronti dei mercati esteri su cui Netflix, Prime Video e co. operano direttamente senza dover contrattare con intermediari e, di conseguenza, lasciando invariato il valore dei prodotti. Di conseguenza, le retribuzioni sia dirette che in percentuale per gli sceneggiatori si sono contratte in maniera impressionante, portando a un’insostenibilità delle condizioni del comparto.

Allo stesso tempo la dimensione economica del mercato è aumentata in maniera eccezionale; il numero delle produzioni negli USA, seppur più contratte nella durata, è più che triplicato, arrivando a quasi 600 titoli nel 2022 con budget produttivi decisamente più elevati rispetto al 2007: all’epoca del primo sciopero, le serie principali raggiungevano circa i 2 milioni di dollari di costo a episodio con picchi eccezionali di 3 milioni, mentre oggi l’ultima stagione di Stranger Things è costata 30 milioni di dollari a episodio per un totale di 270 milioni per l’intera quarta stagione (la prima di Mad Men è costata circa 32 milioni, per capirsi). Questo va accostato alla dimensione degli operatori dello streaming ormai totalmente legata al mercato finanziario, in cui la speculazione sulle produzioni – incentivate dal modello del finanziamento del debito – serve a incoraggiare la crescita di un capitale costantemente fluttuante.

E qui veniamo alle ragioni e alle conseguenze di questo nuovo sciopero degli sceneggiatori americani: chiuse le finestre di syndication e ristrette le durate delle produzioni, il comparto ha visto calare radicalmente i propri compensi e soprattutto il valore del proprio ruolo in relazione al valore stesso dei prodotti, senza contare la precarietà di writers-room dalla dimensione costantemente variabile per via dei formati non standardizzati. La WGA chiede quindi condizioni economiche più eque e commisurate al nuovo assestamento delle prassi di mercato, con garanzie di presenza nelle writers-room e compensi proporzionati al valore produttivo complessivo dei titoli su cui si sta lavorando, fatta salda l’impossibilità di garantire una vita del prodotto che non vada oltre la sua sola esistenza speculativa. In aggiunta, si chiede un riconoscimento pensionistico e, in prospettiva, una regolamentazione del ruolo delle Intelligenze Artificiali nel processo creativo delle produzioni.

Le richieste del comparto ammontano a circa 429 milioni di dollari all’anno – a cui l’AMPTP risponde con una controfferta da 86 milioni -, che risultano più che ragionevoli rispetto alle conseguenze di uno sciopero che dovesse protrarsi quanto il precedente: abbiamo già visto nel cinema cosa significhi bloccare le produzioni nel contesto attuale con le conseguenze del lockdown del 2020, possiamo quindi solo immaginare le ricadute a catena di un blocco dalla durata imprevedibile e dall’impatto non solo produttivo, ma anche discorsivo. Se nel 2020 lo streaming ha visto un’ascesa esponenziale tale da drogare il mercato, gli ultimi due anni stanno mostrando un più che sensibile calo di abbonati e di rendimento finanziario degli operatori stessi che non possono permettersi la perdita di contenuti con cui mantenersi stretti i fluttuanti utenti e i volubili investitori.

Su diversi ordini di grandezza, tutti gli operatori dello streaming rischiano ricadute pesanti per un protrarsi dello sciopero: i grandi player come Netflix, Prime Video e Disney+ rischiano di bucare interi periodi di rilascio, interrompendo il finanziamento del debito delle proprie produzioni e facendo fuggire abbonati e investitori, mentre soggetti più deboli e al momento in timida ascesa, come AppleTv+ e Paramount+, rischiano di vedere persi gli investimenti su produzioni d’alto respiro che possono di conseguenza svanire e, con esse, l’identità stessa delle piattaforme. È impossibile quantificare – anche perché al computo va tolto il danno causato dalla mancata syndication, che fu centrale nel 2007 -, ma l’ordine di grandezza è decisamente elevatissimo e, soprattuto, radicalmente imprevedibile.

Come Birdmen Magazine continueremo a seguire le proteste, cercando di aggiornare i nostri lettori sulle contrattazioni e i risultati ottenuti dalla WGA nel protrarsi dello sciopero. Nel frattempo il nostro appello è di restare schierati con gli sceneggiatori, perché un mercato più equilibrato e meglio regolato è l‘unica garanzia di un intrattenimento dalle fondamenta solide e dalla tenuta globalmente sostenibile: ricordiamo che in tutto questo gli Stati Uniti sono spesso un banco di prova per problemi e lotte che a stretto giro raggiungono una dimensione mondiale, per cui stiamo all’erta, osserviamo e sosteniamo la protesta.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
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