
Nope – Don’t look up
Per parlare del nuovo film diretto da Jordan Peele, è bene partire da un incontrovertibile dato iniziale che aiuta a comprendere quanto il regista di Scappa – Get Out, Noi e Nope sia una forza sempre più vitale nell’ambito del cinema americano contemporaneo: per la terza volta consecutiva, un originale diretto da Jordan Peele è stato in grado di conquistare la vetta del box-office durante il week-end di debutto in sala. Tre su tre, en plein conquistata.

Nope ragiona sull’estetica del riciclo dei generi classici scegliendo di rifunzionalizzare i blockbuster degli anni Ottanta e le sit-com degli anni Novanta. Il punto di partenza del film consiste in un atto di riappropriazione politica: Peele, infatti, immagina che il fantino della serie Animal Locomotion, uno dei primi esperimenti sul movimento di Eadweard Muybridge, fosse afroamericano. Il regista, quindi, decide di focalizzare la sua attenzione sull’esperienza e la figura umana che consente al dispositivo tecnico di trasformarsi in cinema. Questo fantino è l’antenato dei due protagonisti di Nope, O.J. (Daniel Kaluuya) ed Emerald (Keke Palmer), discendenti di una famiglia di ammaestratori di animali per le major hollywoodiane. Nel corso del tempo, però, il fantino è stato progressivamente cancellato dalla storia, e la famiglia Haywood ha iniziato a lavorare con minore costanza. Tutto cambia quando il padre di O.J. ed Emerald muore a causa di misteriosi detriti precipitati da una strana nuvola che si staglia immobile contro il cielo azzurro e che, secondo i due fratelli, potrebbe nascondere alieni dalle volontà ostili. Questo fermo-immagine scatena l’ossessione degli Haywood, convinti di poter rientrare nel mondo dello spettacolo dal portone principale grazie a quella che definiscono l’Oprah Shot, la foto perfetta da vendere a un network TV, nonché un atto di riappropriazione delle immagini in grado di risollevare le sorti economiche della loro attività e svelare l’esistenza degli alieni.

La torrida atmosfera notturna, il furgone che prova a sviare nell’arido scenario desertico, l’improvvisa presenza aliena dall’alto che alimenta il timore dei personaggi ad alzare lo sguardo e, allo stesso tempo, la necessità di fissare l’ignoto per scoprirvi cosa si nasconde al suo interno sono elementi del tessuto visivo che non possono far altro che rimandare a referenti quali Incontri ravvicinati del terzo tipo e Lo squalo di Steven Spielberg. Memore di un originario orizzonte di senso in cui rintracciare e da cui far balenare le potenze del sabba cinematografico, Jordan Peele abbandona la lezione low budget impartitagli da Blumhouse Productions (al Locarno Film Festival abbiamo incontrato Jason Blum, il suo fondatore e attuale CEO) per abbracciare l’IMAX di matrice Universal: la rozza invasione dello spazio domestico, esplicitata attraverso l’elaborazione di simbolismi tanto “spiegati” ed elaborati quanto ctoni e viscerali, lascia spazio a un approccio serio e creativo all’intrattenimento di massa che trasforma Nope in un summer blockbuster primigenio che si interroga sulle responsabilità insite nell’atto del guardare servendosi del genere western – e, quindi, dei campi lunghissimi – per riflettere sulle implicazioni del passaggio da analogico a digitale.

Attraverso questa confezione rassicurante e apparentemente pacificata, Jordan Peele dà vita a un ecosistema di immagini cinematografiche che ci attira al suo interno, come fosse un gigantesco buco nero capace di prendere vita. Il regista individua nelle immagini cinematografiche – e nella loro peculiarità della dialettica tra campo e controcampo, del fuoricampo e dei raccordi – la possibilità di riattivare una memoria emotiva in grado di disgelare l’involucro mediale contemporaneo di immagini prive di referenti. È la storia del cinema (e, quindi, le sue referenze emotive dietro ogni inquadratura, che siano appartenenti all’orizzonte di Steven Spielberg, John Carpenter, Jack Arnold, Ron Underwood, George Lucas o Brian De Palma) ad aprirsi a nuove possibili interpretazioni politiche e sentimentali senza che, per questo motivo, venga intaccato lo statuto di blockbuster in cui precipitare insieme a una bibita e a una confezione di popcorn da gustare.

Nonostante il formato e l’involucro di Nope possano sembrare differenti rispetto allo spettacolo selvaggio e sottocutaneo di Scappa – Get Out e Noi, le immagini di Jordan Peele continuano a parlare del nostro presente, delle nostre origini e a sovvertire le implicazioni dell’iconografia mitica dei nostri tempi. Basti pensare alla scioccante sottotrama che ha per protagonista la scimmia Gordy e il bambino prodigio imprenditore del suo bad miracle, esempio di mise en abyme che porta in scena il luna park di una società dello spettacolo impossibile da ammaestrare ma sempre pronta a divorare qualsiasi cosa la circonda e farci a pezzettini.
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[…] Jordan Peele | USA. Terza scorribanda originale al cinema per Jordan Peele, Nope afferma il regista di Scappa e Noi come una forza sempre più vitale nell’ambito del sistema industriale americano. Riciclo dei generi classici, atto di riappropriazione politica delle immagini nonché interrogazione sulle possibilità insite nell’atto dello sguardo, Nope ci restituisce un autore che continua a parlare dell’orizzonte contemporaneo provando a sovvertire le fondamenta della sua iconografia mitica (e, quindi, fondativa). Leggi l’articolo completo di Matteo Marescalco […]
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