
Locarno 75 – Incontro con Jason Blum, il Re Mida dell’horror contemporaneo
Discutere di cinema horror contemporaneo senza partire da Blumhouse Productions – e, quindi, dal periodo clou compreso tra il 2007 di Paranormal Activity e il 2013 de La notte del giudizio – sarebbe quanto di più grave possibile. Dopo essere stata inserita dalla rivista economica statunitense Fast Company tra le 10 compagnie mediali più innovative del 2020 «per aver portato maggiore efficienza creativa a Hollywood», Blumhouse Productions è sbarcata alla 75esima edizione del Locarno Film Festival grazie al conferimento del Raimondo Rezzonico Award a Jason Blum, fondatore e CEO dell’azienda.
Oltre ad aver introdotto una proiezione di Scappa – Get Out e ad aver ritirato il premio, Blum è stato protagonista di un incontro con il pubblico moderato da Manlio Gomarasca. Abbigliamento casual, capelli spettinati e sguardo incuriosito nei confronti dei numerosi partecipanti, il produttore ha ripercorso il cammino compiuto dalla sua Blumhouse e raccontato la sua carriera, dagli esordi ai futuri progetti a cui sta lavorando.

Figlio di un mercante d’arte indipendente (con la sua Ferus Gallery, Irving Blum è stato una figura di fondamentale importanza nella costruzione di un ponte tra gli esponenti della Pop Art della East e della West Coast) e di una docente di Storia dell’arte con la passione di Edgar Allan Poe (Shirley Neilsen), Jason Blum si è gettato a capofitto nel mondo dell’arte e del marketing fin dalla più tenera età. Dopo aver studiato in Europa e al Vassar College negli USA (e aver condiviso la camera con Noah Baumbach), il giovane produttore ha iniziato a vendere abbonamenti alla TV via cavo con l’esigenza di mantenersi a Chicago. Sono, però, la forte amicizia con Ethan Hawke e il suo ingresso al Malaparte Theater Company (la prima compagnia teatrale off-Broadway non-profit di New York) a orientare in modo determinante l’attenzione di Blum verso l’universo della produzione e del management. A questo proposito, il CEO di Blumhouse ha dichiarato a Locarno: «Tutto è iniziato con Scalciando e urlando di Noah Baumbach. Siamo stati a lungo compagni di stanza. All’epoca, eravamo innamorati dell’università e avremmo fatto di tutto pur di farci bocciare e continuare a studiare ancora per qualche anno. Poi ho incontrato Ethan e sono diventato direttore della produzione del Malaparte. A New York volevano diventare tutti quanti attori o registi. Io, invece, volevo diventare produttore. Ero l’unico, praticamente ero un’eccezione».
Poi è arrivato l’enorme salto di qualità con il passaggio presso la Miramax in qualità di responsabile delle acquisizioni. Jason Blum ha raccontato un interessante aneddoto che esplica il lavoro del produttore: «Per Miramax ho comprato circa 75 film, molti dei quali europei e tedeschi. I più grandi acquisti di quegli anni furono The Others e The Reader, con Kate Winslet. Anthony Minghella voleva dirigere quest’ultimo film. Io mi recai a Berlino per acquistare i diritti del libro ma erano già stati venduti. Cavolo, ho parlato con l’agente e l’ho implorato di concedermi un appuntamento in presenza e non solo al telefono perché, altrimenti, il mio boss mi avrebbe licenziato. In effetti, ci siamo incontrati ma i diritti del libro erano già stati venduti per 1 milione di dollari a Universal Pictures. Non c’era niente da fare. Così, ho chiamato il mio capo che, in modo deciso, mi ha detto di alzare l’offerta a 1 milione e mezzo e di garantire l’indennizzo totale per la causa che gli sarebbe stata intentata contro da Universal. L’agente ha accettato e questo è il motivo per cui Universal non ha realizzato The Reader. Ecco, quella che ho raccontato è una storia che esemplifica i motivi per cui amo e odio gli Stati Uniti”.
Il 1999 è un anno clou nella vita di Jason Blum. I produttori di un horror in found footage, infatti, inviarono una copia del loro film a Miramax con la speranza di ottenere una distribuzione globale. Il film in questione era The Blair Witch Project – Il mistero della strega di Blair. Blum ha raccontato: «Ecco, questa è una bella storia che sintetizza l’imprevedibilità alla base del settore dell’intrattenimento, in cui non esiste nulla di certo. Era la fine degli anni Novanta e guardai TBWP in compagnia di altre cinque persone. Il film ci fece schifo, chiamammo il nostro capo e gli dicemmo di evitare l’acquisto perché era orrendo. Una piccola società lo ha comprato e sappiamo tutti com’è andata a finire. Il mio capo me lo ha rinfacciato per un anno. Io credo che tutto avvenga per una ragione e da questa storia ho tratto una morale. Nulla è certo e anche altre grandi società si tirarono indietro prendendo una cantonata».
Dieci anni dopo, però, le cose sarebbero andate diversamente: «Il fallimento con The Blair Witch Project mi ha spinto a insistere su Paranormal Activity. L’obiettivo di Paramount e Dreamworks era quello di acquistare il film, realizzare un remake e inserire l’originale tra i contenuti speciali dell’edizione in home-video. Ho incontrato il regista e gli ho raccontato quanto accaduto con TBWP. Gli ho anche promesso che PA sarebbe uscito in sala perché credevo che il film avrebbe potuto funzionare molto bene. Non volevo replicare lo stesso errore del passato. Così, ho convinto Paramount e Dreamworks a organizzare una proiezione con tutti i membri degli studios. Ne sono usciti terrorizzati. Tre anni dopo, il film ha iniziato il suo cammino in 15 sale e, ancora oggi, è il progetto più redditizio di tutti i tempi».

La storia di Blumhouse Productions è condensata in due esperienze che hanno spinto Jason Blum a perseguire la sua regola del low budget: Paranormal Activity e L’acchiappadenti. Il produttore ha raccontato: «Per 15 anni ho amato il business dell’intrattenimento. Dai 20 ai 35 anni ho lavorato in questo settore ma non mi sono mai sentito totalmente a mio agio. Ho lavorato su film indie e da studio ma ero frustrato. Poi, a 35 anni, ho realizzato L’acchiappadenti. Finalmente avevo tra le mani il film da 80 milioni di dollari e potevo perseguire il mio sogno di fare qualcosa di grosso. In realtà, l’esperienza è stata pessima. Il problema dei film costosi è che sono molto politici e le decisioni non spettano al regista. Si tratta di fare politica e non cinema».
Dal fallimento de L’acchiappadenti, Blum ha tratto un’altra lezione fondamentale per il futuro della sua casa di produzione: «Quando il film è stato lanciato sul mercato, ho assistito a una progressione globale del tutto incredibile. La distribuzione dei film indie, invece, è molto complessa. Li realizzavo ma nessuno li vedeva. Il mio obiettivo era capire come produrre film in modo indipendente e convincere Paramount o Universal a distribuirli. Continuo a optare per il low budget per offrire agli autori la massima libertà creativa possibile. Noi applichiamo la politica degli autori come non è mai stato fatto prima a Hollywood. In genere, questa politica funziona con giovani talenti oppure con grandi registi che sono andati incontro a qualche film problematico al box-office. Noi ci rivolgiamo a questi filmmaker stanchi di sentirsi obbligati dal sistema e di farsi comandare. Se un film fallisce, la colpa è sempre e solo del regista. Questo non è vero ed è un concetto stancante. Quando si concede il controllo al regista (che accetta di ricevere un upfront fee minore ma una percentuale progressiva sugli incassi totali – e che, quindi, ha molto interesse affinché il film abbia un buon successo), il processo è più collaborativo e rilassato. Diciamo che si crea un ambiente più sereno e sano. Credo ci sia un nesso diretto e inverso tra denaro investito e percentuale di tempo che spendi per creare un film: più aumenta il budget e meno pensi al film ma a tutte le altre questioni politiche che lo circondano. L’idea sbagliata a Hollywood è quella di continuare ad aumentare continuamente i costi. Io vengo dal mondo dei budget molto alti e sapevo che non faceva per me».
Ma quali sono le regole per limitare i budget e confinarli entro il perimetro dei 10 milioni di dollari? Jason Blum ha risposto: «Fornire a tutti i partecipanti un upfront fee che rispetti il minimo sindacale e, poi, condividere con loro una percentuale sugli utili del film – che aumenta in relazione al successo ottenuto. Poi un triangolo tra scelta delle location, limite imposto alla presenza di comparse parlate ed effetti speciali. In genere, a Hollywood prima si scrive una sceneggiatura e poi si passa al budget. E, quindi, si finisce puntualmente per adeguare lo script al budget. Noi facciamo il contrario. Quindi, ci occupiamo di budget e sceneggiatura in contemporanea. Credo che i registi lavorino meglio dentro perimetri ben stabiliti. Aumentare tutto a dismisura impigrisce lo storytelling. Noi, invece, spingiamo i nostri registi a utilizzare scrittura e attori per raccontare le storie».

Parlando di registi, Blumhouse ha lanciato Mike Flanagan, Jordan Peele, Damien Chazelle e James DeMonaco nell’olimpo hollywoodiano e ha recuperato le carriere di M. Night Shyamalan, Spike Lee e James Wan. A proposito del caso Shyamalan, Blum ha ricordato: «Il suo caso è esemplificativo del modo in cui lavoriamo. Lui, ora, è passato a Universal ma mi piacerebbe tornare a lavorare insieme, anche se non credo abbia più bisogno di me. È un ottimo esempio che dimostra il fatto che io tragga beneficio dalle idee di Hollywood, che è sempre pronta a giudicare un regista al 90% sulla base del suo ultimo film. Noi giudichiamo in modo diverso. The Visit era un film un po’ grezzo ed è stato ignorato da tutti a causa dei suoi due titoli precedenti. Sembrava che tutti quanti avessero dimenticato il clamoroso successo globale de Il Sesto Senso!».
Blumhouse Productions ha iniziato a trasformare l’horror da genere di nicchia a genere di massa con le uscite di Insidious, Sinister e, soprattutto, La notte del giudizio, vero punto di non ritorno. La consacrazione definitiva, poi, è avvenuta con Scappa, film che ha consentito l’ingresso del marchio di Jason Blum nell’immaginario collettivo. Oggi, è possibile affermare che moltissime persone scelgono di andare al cinema non soltanto per guardare un semplice horror ma soprattutto perché si tratta di un nuovo film Blumhouse. Il produttore ha spiegato: «Durante la lavorazione de La notte del giudizio, tutti mi prendevano per pazzo e credevano che, fino a quel momento, avessimo avuto soltanto fortuna. Poi è arrivato quel film, che ha creato eco e ha trasformato le nostre idee in realtà. È proprio a quel punto che abbiamo iniziato a essere più accettati come marchio. La chiave per avere horror di successo è quella di oltrepassare il mero orrore. Prendete Scappa. In realtà, esistono una trentina di modi di fare paura, non di più. Ciò che conta è rendere la narrazione così buona da farla funzionare indipendentemente dall’aspetto horror. Per produrre un horror e capire se funziona, togliete i jumpscare e lasciate soltanto l’aspetto drammatico. All’inizio del film di Jordan Peele non c’è orrore ma è tutto molto perturbante. Non sappiamo cosa accadrà. Poi, all’improvviso, avviene l’impatto col cervo. Ci si dimentica di essere in un film e, grazie al racconto, ti spaventi».

Celebre principalmente per il suo lavoro con il genere horror, in realtà, Blumhouse Productions ha prodotto anche alcuni tra i film drammatici più riusciti degli ultimi anni. Due titoli su tutti: Whiplash e BlacKkKlansman, capaci di portare a casa, nel complesso, 11 candidature ai Premi Oscar e 4 statuette vinte. A proposito di questi due titoli, Blum ha raccontato: «Whiplash non è un vero e proprio horror ma un’esperienza davvero particolare e ha una storia incredibile alle spalle. Io avevo finanziato un corto di Damien Chazelle in grado di riscuotere ottimi consensi e di trionfare al Sundance. Poi ho stanziato un budget da 3 milioni di dollari per il film. Non eravamo decisi a produrlo, in realtà. Couper Samuelson, il mio partner lavorativo dell’epoca, amava lo script e lo ha passato a Jason Reitman per convincermi a portarlo su grande schermo. Io e Jason eravamo grandi amici e, consapevole del fatto che gli fosse piaciuto, ho detto subito di sì. Poi ho faticato a trovare partner con cui realizzarlo. Alla fine, abbiamo intercettato l’aiuto di Bold Entertainment. Venderlo è stato ancora più complesso perché nessuno lo voleva comprare. È stato terribile, lo abbiamo ceduto a Sony senza concorrenza. Diciamo che ci hanno rubato il film. Per dire, Whiplash ha fatto meglio in Corea che negli USA. Comunque, è stata un’esperienza fantastica che mi ha consentito di agguantare la mia prima nomination agli Oscar. Per quanto riguarda BlacKkKlansman, è stato tutto merito di Jordan Peele. Eravamo tutti concentrati su Scappa ma lui è venuto in ufficio con Spike Lee per pitcharmi il film. Spike è un regista molto intenso e l’esperienza è stata difficile ma gratificante. E siamo riusciti anche a rimanere sotto budget!».
L’età della maturità di Blumhouse è caratterizzata dalla produzione di numerosi remake. Alla trilogia di Halloween seguirà quella de L’esorcista; a L’uomo invisibile è succeduto Firestarter; The Town That Dreaded Sundown ha ottenuto riscontri critici migliori dell’originale e, infine, Blum non ha mai nascosto di essere interessato a eventuali remake di Nightmare e Venerdì 13. Il produttore ha dichiarato: «Faccio remake per mantenere vivo e interessante il mio lavoro. C’è molto cinismo attorno ai remake. Perché fare Halloween? Tutti ci hanno accusati! Eppure, Halloween Kills è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia! Poi c’è anche un’altra ragione. Il mio obiettivo è portare un film al grande pubblico e fare un remake mi consente di utilizzare un involucro già molto noto. Per dire, Halloween e il franchise di The Purge contano su brand molto forti. Utilizzando questo involucro esterno, posso raccontare storie sovversive e originali!».

Jason Blum ha raccontato anche il suo rapporto con John Carpenter: «Carpenter l’ho incontrato più volte. Una volta è venuto a cena a casa mia. Stavamo parlando di fare qualcosa insieme e, al momento di cenare, mi ha chiesto di preparargli una frittata e un bicchiere di latte. È un personaggio davvero singolare. Il segreto nella realizzazione dei sequel è coinvolgere sempre chi ha fatto l’originale. Ecco, a Hollywood non funziona così. Io, però, volevo coinvolgere John a tutti i costi nel remake di Halloween. La prima volta che ci siamo incontrati mi ha concesso 15 minuti. Dopo pochi minuti non sapevo più cosa dirgli perché lui mi aveva già risposto di non essere assolutamente interessato. Mi ha anche chiesto arrabbiato perché dare vita a un altro Halloween. Io, però, non volevo farlo senza di lui. Gli ho assicurato che, se lui non avesse partecipato al progetto, mi sarei tirato indietro anche io. Il film, però, sarebbe stato fatto lo stesso ma senza nessuno di noi due. Ecco… Entrambi avremmo potuto dire sì oppure no ma altri avrebbero comunque fatto il film. A questo punto, perché non farlo insieme? Mi ha detto di essere d’accordo con questa mia idea. Così ho convinto John Carpenter!».
Quali saranno i progetti futuri di Blumhouse? «Sicuramente L’esorcista. Sarà il nostro nuovo Halloween, ed Ellen Burstyn sarà la nostra Jamie Lee Curtis. David Gordon Green lavora rispettando l’IP originale. Abbiamo appena finito la preproduzione e siamo entrati in produzione. So che tutto andrà bene!».
Infine, Jason Blum ha rivelato il segreto alla base del suo impegnativo lavoro e della filosofia Blumhouse: «Beh, riesco a seguire tutti questi progetti perché vivo tre vite in una! A parte gli scherzi, sono un buon produttore perché non sono frustrato e mi fido tanto delle persone che mi circondano. Delego molto e affido tanti progetti ai miei collaboratori. Credo che fidarsi di chi ci circonda sia sempre fondamentale! I miei film veicolano messaggi? No, non credo. Se vuoi inserire messaggi in un film, nessuno andrà a vederlo. La mia filosofia consiste nel realizzare film divertenti di genere horror. Se, poi, riescono a parlare anche di altro, è ancora meglio!».
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