
Una conversazione tra scritture con Giulia Caminito
«piccolo schermo gigantesco» (Ottieri) è una rassegna di interviste, pubblicata su «Birdmen Magazine», a scrittori italiani contemporanei, a proposito della “mescolanza” di media, dell’influenza delle arti cinematografiche sulla narrativa, sulla poesia e sull’immaginario, della corrispondenza biunivoca dei mezzi. Nella sezione Spin-Off sono stati pubblicati articoli di approfondimento.
La prima serie, contraddistinta dall’illustrazione di Valentina Marcuzzo, ha coinvolto i seguenti scrittori: Filippo Tuena, Valerio Magrelli, Fabrizio Ottaviani, Tommaso Matano, Flavio Santi, Gilda Policastro, Filippo Ticozzi e Denis Brotto.
La seconda serie coinvolgerà prima di tutto i semifinalisti al Premio Strega 2021, per poi ampliare il corpus: Emanuele Trevi.
In copertina: un frame da La rabbia giovane di Terrence Malick (1973)
Di recente vincitrice della 59° edizione del Premio Campiello, la scrittrice romana Giulia Caminito sa che il suo romanzo L’acqua del lago non è mai dolce non è una creatura facile da descrivere. Nelle note che lo chiudono, infatti, preferisce operare per esclusione, spiegando come non si tratti né di una biografia, né di un’autografia e nemmeno di autofiction. L’acqua del lago non è mai dolce è piuttosto una raccolta di suggestioni e di vite, che nasce dall’intento di raccontare tre donne determinanti per Caminito: l’amica Antonella e la sua complessa vita domestica, la sua migliore amica Ilaria morta nel 2015 e infine sé stessa con tutti i dolori che hanno costellato la sua vita finora. Attraverso questa particolare costruzione su più livelli, la protagonista Gaia diventa somma di storie e di esperienze diverse, trasformandosi in un luogo di anarchia emotiva dove il pubblico può capirsi e scoprirsi.
Attraverso la crescita di Gaia, tra Roma e il lago di Bracciano, tra amiche che vanno e vengono e un’educazione diversa dai suoi coetanei, Caminito riesce a catturare l’amaro e furioso disincanto della sua generazione, la voglia di ribellarsi che si manifesta in forme e modi sbagliati, l’irraggiungibile catarsi che sarebbe fondamentale per sopravvivere. Proprio per questo suo spietato e onesto sguardo sulla vita, L’acqua del lago non è mai dolce, oltre al già menzionato Premio Campiello, è stato finalista al Premio Strega 2021 e vincitore del Premio Strega Off.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Giulia Caminito per scoprire l’origine dei frammenti di vite che compongono il suo romanzo e il suo legame con il mondo dell’audiovisivo.

Birdmen si occupa soprattutto di Cinema, Serie e Teatro. Quali sono i suoi rapporti con queste tre arti? Quali delle tre “frequenta” maggiormente? In che device guarda il cinema e le serie? Va a Teatro e al Cinema? È interessato alla realtà testuale delle tre arti?
Dallo scoppio della pandemia chiaramente le cose sono cambiate. Prima prediligevo la frequentazione fisica di cinema e teatri, soprattutto i teatri. Dall’inizio della pandemia uso di più il mio pc e i vari servizi streaming anche per guardare a distanza gli spettacoli teatrali. Mi sono allontana da vari anni dalla visione delle serie tv, forse un po’ stanca di dover attendere a lungo gli episodi e di non rimanere poi soddisfatta dallo sviluppo nel tempo delle linee narrative. Preferisco sempre di gran lunga le miniserie, che guardo con più interesse e piacere. Ho un rapporto naturale e piuttosto onnivoro nei confronti del cinema, sono anche una di quelle spettatrici che riguarda spesso gli stessi film, non so da cosa dipenda, ma fin dall’infanzia guardavo e riguardavo un gruppo di film, che ormai sapevo a memoria. Forse era ed è un modo per ricevere conforto, certezze.
In particolare, questa serie di interviste si occupa di cinema e di serialità. In che modo la sua scrittura si relaziona con i film e con le serie? Ha mai scritto per il Cinema o le Serie?
No, non ho mai scritto per il cinema o per le serie, credo serva una competenza particolare e anche una capacità diversa rispetto a quella della stesura di romanzi. Le scritture si parlano tra loro, si somigliano ma sono anche molto diverse e credo ognuno sappia che tipo di scrittura gli riesce meglio, lo rappresenta di più. Quando scrivo dedico molto tempo al mio immaginario, a pensare e figurarmi i personaggi, i luoghi e le sequenze, che prima di essere scritte devono essere pensate e messe in scena astrattamente. Le stesse parole poi emergono spesso a partire da queste immagini, questi quadri e scene sulle quali mi soffermo per tempo, pensandoci e ripensandoci, come se fossi davanti a uno schermo su cui viene proiettato mano mano il libro.
Nell’epilogo del libro sottolinea come la storia raccontata in L’acqua del lago non è mai dolce sia la somma di suggestioni provenienti dalla Sua esperienza di vita e da quella di altre persone incrociate negli anni. Pensa che anche il cinema o le serie abbiano avuto il loro ruolo nella stesura del romanzo?
Tante cose nutrono la scrittura, nel mio caso. Sono una persona che raccoglie immagini, impressioni, documenti, interviste, frasi, e da questa raccolta fa nascere le proprie idee, il proprio agglomerato di pensieri e di volontà che poi portano all’inizio della scrittura. Funziono molto per accumulo, aggiungo e aggiungo materia, intuizioni, riferimenti fino a che non si forma in me qualcosa di limpido e sento di voler scrivere, sento che qualcosa spinge e mi porta a cominciare.

Più volte la protagonista sottolinea come sia cresciuta in una casa senza televisione. Cosa pensa che avrebbe rappresentato questo strumento nella sua vita e nella sua formazione se avesse potuto avervi accesso?
La televisione sicuramente per la mia generazione è stato un oggetto dato per scontato nella sua presenza, un sottofondo costante, una cornice dei pranzi e delle cene, un elettrodomestico necessario come il frigorifero e acceso per ore e ore anche senza la necessità di essere guardato. La televisione era spesso argomento delle conversazioni con le mie coetanee, per parlare di programmi tv o di telefilm, e ricordo quanto tempo ho passato soprattutto a guardare i video musicali, grande incantamento dei miei pomeriggi. Avevo allora una sedia a dondolo e mi dondolavo ascoltando la musica su MTV e guardando i videoclip come in una sorta di trance per rilassarmi dopo la scuola. Poi la televisione è sparita dalla mia vita, a casa mia non c’è più, se devo guardare qualcosa lo faccio on demand e mi stufo subito invece a seguire il palinsesto se capito davanti a una tv, le trovo obsolete negli alberghi o accese durante la cena, mi danno fastidio, come se fossero delle intruse. Nel romanzo la madre di Gaia si procura molto tardi una televisione, che è anche piuttosto vecchia, e quindi Gaia non partecipa a questa naturalezza, questa ovvietà del possedere una tv in casa, si sente quindi sempre e comunque tagliata fuori da quello che per gli altri è un possesso semplice e quotidiano.
Se dovesse occuparsi in prima persona di un adattamento del suo libro, preferirebbe una serie o un film? Quali modifiche apporterebbe nella scrittura della sceneggiatura?
Preferirei una miniserie, come dicevo prima, è una misura che apprezzo molto e che mi sembra interessante rispetto ai vari elementi che compongono un romanzo, così da non doverlo ridurre eccessivamente. Non so cosa modificherei, dipenderebbe da come la regista o il regista decidesse di leggere la mia scrittura. Credo che una serie, come uno spettacolo teatrale, come un film, nato da un libro debba avere la propria autonomia, diventare altro, rinascere.
Quali sono dei film e delle serie che hanno influenzato il suo modo di vedere il mondo?
Ce ne sono moltissimi, ma questi sicuramente sono i più rappresentativi. Intanto alcune pellicole del cinema italiano contemporaneo alle quali devo molto dell’immaginario che riempie il mio ultimo romanzo come Dogman, Non essere cattivo e La terra dell’abbastanza. Poi di sicuro c’è un regista che esteticamente e fotograficamente ha un impatto forte su di me ed è Terrence Malick, in particolare due film La rabbia giovane e The Tree of life. Poi da sempre ho una passione per i film americani che giocano sui finali a sorpresa e sulla rilettura, cioè sul dover riguardare il film per comprenderlo veramente, sul secondo giro di sguardo, come Slevin, Fight Club e Eternal sunshine of a spotless mind. Ho poi a cuore alcuni classici del cinema italiano che collego a dei momenti precisi come Otto e mezzo, Una giornata particolare e L’onorevole Angelina con la mia attrice preferita di sempre, che è Anna Magnani. Infine ci sono i film di cui parlavo in un’altra risposta, cioè quelli che da piccola vedevo e rivedevo e sapevo a memoria, me ne vengono in mente due su tutti: Invito a cena con delitto e Piccole donne nella sua versione del 1949 con Elizabeth Taylor che cerca di sfinarsi il naso con una molletta del bucato.
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