
Lupin 2 – Passo falso per il ladro gentiluomo
La seconda stagione è spesso la tappa più difficile per una serie televisiva. A prescindere dal riscontro ai primi episodi, questo dovrebbe essere lo spazio per migliorarsi o mantenere la qualità a cui il pubblico è abituato, ma vi è anche il rischio di rovinare il progetto con scelte sbagliate. Nel caso delle produzioni Netflix, la seconda stagione è fondamentale per assicurare effettiva longevità alla serie: se il primo rinnovo avviene quasi in automatico, il secondo dipende solo dal successo di pubblico e critica. La formula dovrebbe essere semplice: mantenere l’identità della serie, aggiungendo alcuni elementi d’innovazione che possano sorprendere i fan e convincere gli scettici. La seconda parte di Lupin, che arriva su Netflix l’11 giugno ad appena sei mesi dai primi episodi, è una creatura decisamente atipica. Decide infatti di rigettare attivamente quasi tutti gli elementi che distinguevano la serie per trasformarla in un prodotto molto più anonimo e prevedibile.
Il finale della prima stagione apriva a tantissime possibilità narrative. Il rapimento di Raoul (Etan Simon), figlio di Assane Diop (Omar Sy), durante una fiera dedicata ad Arsenio Lupin a Eterat, indicava la prima istanza in cui la vita personale del protagonista veniva minacciata dalla sua carriera criminale. Questo inevitabile scontro tra due mondi, che dovevano restare separati, avrebbe dovuto alzare la posta in gioco, eppure la serie preferisce non comportarsi di conseguenza.

Nella sua prima stagione Lupin si era contraddistinto per le sue continue sorprese, i piani impossibili da prevedere e colpi di scena forse troppo frequenti ma che aiutavano la serie in un’ottica di binge-watching. Il legame con i romanzi di Leblanc era mantenuto grazie a riferimenti alle avventure del celebre ladro, che non risultavano mai essere una distrazione dall’intreccio principale. Si seguiva il filone thriller-mystery della BBC, aprendosi però a un pubblico più internazionale mantenendo sempre un occhio di riguardo per il territorio francese. La seconda stagione sceglie una direzione quasi completamente diversa. Gli inganni architettati da Assane Diop non sono più oggetto di spettacolarizzazione e lui stesso sembra non essere più un passo avanti rispetto al pubblico. La serie si spoglia dall’ingombrante eredità legata al nome di Lupin, diminuendo drasticamente le citazioni letterarie e annullando così l’aspetto più nerd e curioso del progetto.
I nuovi episodi di Lupin seguono il percorso già prefissato dal cliffhanger con cui si era conclusa la prima stagione. Assane Diop si trova, in seguito al rapimento del figlio, a dover riconsiderare la propria doppia vita, a stringere nuove alleanze magari inaspettate e a fuggire dalle innumerevoli persone che lo vogliono morto o in prigione. La serie si affretta a concludere la maggior parte delle linee narrative rimaste in sospeso, come la tanto agognata vendetta nei confronti di Hubert Pellegrini (Hervé Pierre), chiudendo quasi tutte le porte per l’ormai prossima terza stagione.
La serie sceglie di spostarsi, in questa seconda stagione, verso un’ulteriore umanizzazione del personaggio di Assane Diop. Ogni momento di respiro nella narrazione è dedicato all’esplorazione del suo conflitto interiore, orientato quasi completamente verso la sfera famigliare. Si tratta di tematiche già esplorate nel corso della prima stagione, dove la sceneggiatura di George Kay e François Uzan si era concentrata soprattutto sul rapporto tra Assane e suo padre Babakar. In questi cinque nuovi episodi, però, Lupin vira su toni più melodrammatici che rischiano di frustrare uno spettatore in cerca delle rocambolesche avventure promesse dalla serie.

Sempre sul piano narrativo confonde l’alto numero di flashback impiegati nel corso della stagione. Questa volta non rappresentano dei semplici momenti scollegati tra di loro, ma una vera e propria linea narrativa a sé stante, che risulta superflua ai fini della storia. La sospensione del racconto per fare spazio ai flashback finisce solamente per rallentare il ritmo e interrompere bruscamente l’azione.
Nel complesso, la seconda stagione di Lupin rappresenta un notevole passo indietro rispetto al livello dei primi episodi. È un prodotto più anonimo, che si è privato di tutti quegli elementi che lo contraddistinguevano. Togliendo la maggior parte dei riferimenti all’universo di Leblanc e normalizzando la fitta tela di inganni e travestimenti, Lupin non si discosta molto dai numerosi procedural che affollano il panorama seriale odierno. A reggere le deboli fondamenta della seconda stagione rimane solo il suo protagonista, Omar Sy, che dimostra anche in questa occasione di essere un leading man versatile, predisposto all’azione quanto al dramma più essenziale.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista