| Attenzione: questa recensione di Sex Education 4 è senza spoiler!
And when the brokenhearted people Living in the world agree There will be an answer
Dopo 4 stagioni e 32 puntate complessive, anche la clinica di terapia sessuale fondata da Otis Milburn e Maeve Wiley chiude i battenti: da giovedì 21 settembre è disponibile su Netflix la quarta e ultima stagione di Sex Education, che con i suoi otto episodi porta a termine un percorso iniziato nel 2019. Il problema centrale, questa volta, è se le persone possano davvero cambiare. Domanda che, riflessa sulla serie stessa, diventa: è ancora possibile rinnovarsi, a un passo dal finale?
Jackson Marchetti (Kedar Williams-Stirling) e Vivian Odusanya (Chinenye Ezeudu).
Dopo la chiusura della Moordale Secondary, la maggior parte degli studenti si è trasferita in un istituto decisamente diverso, il Cavendish College: qui tutti sembrano essere felici e accettati per come sono, ogni parola è misurata per non offendere nessuno. È un’ottima intuizione di sceneggiatura: scegliere di cambiare radicalmente l’ambientazione proprio nella stagione conclusiva richiede un certo coraggio, eppure tutto funziona molto bene. Se nella terza stagione, con l’arrivo della nuova tirannica preside, eravamo dalle parti della distopia, ora i toni sono quelli opposti dell’utopia: il Cavendish sembra la scuola ideale, colma di buoni sentimenti e nobili ideali di inclusività e apertura. La messa in scena e la fotografia lo evidenziano bene, premendo sui consueti colori pastello ma stavolta più accesi e saturi, a lasciare il sospetto che ci sia qualcosa di eccessivo, qualcosa che stona.
Jean Milburn (Gillian Anderson) e suo figlio Otis (Asa Butterfield).
Senza troppi preamboli, l’utopia iniziale si rivela presto una piccola apocalisse: al Cavendish è già presente O (Thaddea Graham), un’altra giovane sessuologa ben più famosa di Otis. Viene così alla luce il primo nucleo di Sex Education 4: la necessità di restare al passo con i tempi e l’angosciante sensazione di essere inutili. La storica clinica di Otis (Asa Butterfield) e Maeve (Emma Mackey), da cui tutto è iniziato, è ora superflua, fuori tempo massimo. È qui che la serie si conferma un prodotto profondamente consapevole di sé: attraverso Otis, gli autori stessi sembrano chiedersi se forse Sex Education non sia diventata inutile; se abbia ancora senso, nell’immenso oceano seriale, realizzare una nuova stagione. In questo caso la risposta viene dai personaggi. Sex Education è un racconto che ha sempre seguito fedelmente la crescita dei suoi protagonisti e se i ragazzi sono diventati grandi, anche i temi affrontati si fanno più ampi e difficili: la disforia di genere, il rapporto tra l’essere queer e il cristianesimo, le aspettative sul corpo maschile e il trauma derivante dall’abuso.
Cal (Dua Saleh), studente non binario che si trova ad avere a che fare con la sua disforia di genere.
Tutti i nodi si sciolgono negli ultimi episodi: ogni personaggio trova una conclusione che non è mai quella più facile o attesa. Con una serie di scelte narrative sghembe ma molto coerenti con l’anima di Sex Education, questa stagione dà la giusta chiusura a tutte le vicende: quella di Aimee (Aimee Lou Wood) in particolare viene risolta con una delicatezza non scontata e la lettera che sigilla l’ultimo episodio, nella sua semplicità, racchiude perfettamente tutta l’essenza della serie. Il bellissimo trailer con cui Netflix presenta questa stagione è accompagnato da I’d do anything for love, uno dei pezzi più famosi di Jim Steinman e Meat Loaf, e in un certo senso Sex Education gli assomiglia: una ballata energica e struggente, un caos potente, colorato ed esplosivo che non teme di essere sopra le righe e non si vergogna mai di sé perché è tenuto sempre a bada dalla scrittura e dall’ironia, che agisce come una sorta di freno d’emergenza e fa in modo che – soprattutto negli episodi centrali – l’ingenuità di alcuni passaggi narrativi non diventi superficialità.
Otis e Ruby (Mimi Keene), la vera queen di Moordale.Sono un disastro, ma credo come tutti gli adolescenti. Ed è per questo che è così importante che ci parliamo. – Otis Milburn
Si parlava prima di adattarsi, e il secondo grande nucleo di questa stagione è appunto il cambiamento. Cambiano i corpi, cambia il mondo che li ospita e, con grande fatica, anche gli adulti riescono a cambiare. Questi cambiamenti riverberano al meglio sui personaggi apparentemente secondari: il percorso di Cal (Dua Saleh) e l’evoluzione di Ruby (Mimi Keene) sono la dimostrazione che cambiare può portare sofferenza ma è necessario, perché è vita e crea nuovi legami. Otis stesso lo prova sulla sua pelle: mentre la clinica della sua rivale O è acuta e impeccabile, la sua si rivela artigianale, addirittura amatoriale, e deve evolversi. La prima però risulta asettica, quasi respingente, mentre la seconda intima e familiare. In questa differenza si misura la sfida più difficile: andare oltre le etichette alla moda, oltre gli astratti proclami di inclusività del Cavendish; superare la positività a tutti i costi – che pretende di annullare con uno strato di dolcissima ipocrisia ogni tensione, ogni problema – e arrivare invece ad accettare davvero la persona che abbiamo davanti, con tutte le difficoltà del caso. Il che non significa rinunciare a cambiare ma provare a capire, e cioè – Sex Education lo dice in ogni istante – esercitare la forma più nobile di amore. Proprio per questo una serie così è ancora necessaria: per suggerirci come accogliere l’imperfezione e partire da lì per provare a cambiare qualcosa.
Maeve (Emma Mackey)
In questi anni Sex Educationha sempre posto al centro non tanto il sesso quanto l’amore: un’idea ormai abusata e scolorita che però muove ogni cosa e che questa serie ha tentato fin dall’inizio di risemantizzarecon le parole e con le immagini. All’interno di un panorama mediale così mainstream come Netflix – e rivolgendosi a un pubblico giovane e il più ampio possibile – Sex Education ha provato a dare un’idea diversa e più completa dell’amore, togliendo un po’ di polvere dalle dinamiche del teen drama e aprendole al sesso, alla carne e a tutte le sue problematiche che si tendono a rimuovere o nascondere. Nel farlo si è costruita un proprio linguaggio, largamente accessibile ma unico e, soprattutto, non semplificatorio: niente di nuovo, forse, ma sicuramente necessario. Alla fine, Sex Education ha insegnato a parlare di amore anche e soprattutto quando questo ci rende più goffi e vulnerabili, ma sempre con dignità e con un’ironia particolare, pungente e tenera insieme. A questo è servita: a raccontare che non c’è vergogna in chi siamo né in chi amiamo; che non c’è mai vergogna nel corpo e nell’amore.
For though they may be parted There is still a chance that they will see There will be an answer Let it be – The Beatles
Studente al terzo anno di lettere moderne presso l'Università degli Studi di Pavia, gli stanno a cuore il cinema, le serie e i fumetti di ogni genere. È figlio spirituale (anche se poco degno) di Albus Silente, Tony Stark e Yoda.
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