
Sundown di Michel Franco – Racconto di una crisi | Venezia 78
Pesci in agonia su una barca al largo della costa messicana; la prima inquadratura di Sundown, ultima fatica di Michel Franco in concorso a Venezia 78, apre il film con quella che pare una promessa di morte, gettando una luce lugubre sulle immagini idilliache che la seguono e suggerendo fin dai primi istanti l’epilogo della vicenda.
Neil Bennel (Tim Roth), facoltoso inglese in vacanza, si trova in un esclusivo resort messicano in compagnia della famiglia. Le vacanze procedono serene, all’insegna del lusso e della complicità familiare, finché un giorno una notizia improvvisa arriva da Londra, mettendo fine all’armonia e spezzando irrimediabilmente i fragili equilibri. Mentre Alice (Charlotte Gainsbourg) e i ragazzi si affrettano a rientrare in patria, Neil decide di rimanere in Messico, rifiutandosi di continuare a portare avanti il ruolo assunto nella vita familiare e lavorativa e generando, suo malgrado, una catena di sofferenze e violenza che segnerà il tramonto di quella famiglia apparentemente perfetta.
Dopo Nuevo Orden, vincitore del Gran Premio della Giuria a Venezia 77, Michel Franco torna in Concorso con un lavoro dal taglio fortemente intimista, che racconta, con una regia precisa e pulita, la crisi esistenziale di un uomo che rifugge se stesso, perdendosi nel caotico Messico. Protagonista assoluto della pellicola un sempre convincente Tim Roth, alle prese con un ruolo piuttosto difficile, fatto di poche battute ma con un linguaggio del corpo fortemente comunicativo. Perennemente intento a bere cerveza, per lo più in posizione semi-sdraiata, che sia in spiaggia, sul letto o in piscina, Neil mostra un atteggiamento completamente apatico e passivo nei confronti della vita e di quello che lo circonda. Protagonista fortemente respingente, fatichiamo a empatizzare con il suo personaggio, non solo perché ha deciso di troncare di netto i legami con la sua famiglia in un momento estremamente delicato ma soprattutto perché non riesce a fornire alcuna spiegazione per questo incomprensibile comportamento.
A far da contraltare all’apatia del protagonista, il film si svolge quasi interamente nella caotica e colorata Acapulco, nota località balneare trasformatasi nella città più violenta del Messico. Franco costruisce un bel contrasto tra la prima parte del film, tutta girata all’interno di un resort extra lusso e la seconda parte, all’infuori dei rassicuranti cancelli dell’hotel, nella città brulicante di vita. Così come nell’opera precedente, il regista messicano torna a riflettere sulla disparità tra ricchi e poveri, facendo collidere due ceti sociali letteralmente agli antipodi, la ricchissima famiglia Bennet, bianca e inglese, e gli umili abitanti di Acapulco.
La città finisce per diventare la seconda protagonista della vicenda e la sua violenza manifesta non fa altro che rispecchiare un tipo di violenza più intima e nascosta , quella che nasce dall’incomunicabilità e dall’incomprensione che stanno distruggendo dalle fondamenta la famiglia di Neil. A dispetto del titolo che porta, l’intero film si svolge sotto un sole cocente, su cui più volte insiste la macchina da presa, che, alto nel cielo, illumina con la sua luce crudele il protagonista e la società messicana, mettendone a nudo il progressivo disfacimento.
Nonostante le buone premesse e l’ottima prova attoriale di Tim Roth, Sundown finisce per deludere le aspettative lasciando il pubblico spiazzato davanti ad un finale che appare inconcludente. La pellicola termina senza averci dato la possibilità di entrare nel vivo del dramma vissuto dal Neil, che osserviamo sempre da un punto di vista esterno e superficiale, rischiando, alla fine, che l’indifferenza del protagonista trapeli dallo schermo e contagi il pubblico in sala.
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