
Mona Lisa and The Blood Moon – Do you like people? | Venezia 78
Una giovane di origini coreane riesce a fuggire dal carcere psichiatrico in cui è rinchiusa grazie ad un superpotere. Mona Lisa Lee, questo il suo nome – enigmatica e silente proprio come la più celebre musa Davinciana -, sa controllare la mente delle altre persone, ipnotizzandole e controllandone ogni azione. Mona Lisa and The Blood Moon, ultima opera di Ana Lily Amirpour, già premio speciale della giuria per The Bad Batch a Venezia 73, potrebbe essere uno dei titoli più sorprendenti della 78° Mostra del cinema di Venezia. Una delle ragioni principali risiede nella performance eccellente di Jean Jong-Seo, già vista in Burning – L’amore brucia (2018). Laconica e impulsiva, vibrante nello sguardo e nei gesti, affamata di patatine al formaggio come della libertà di cui non ha mai potuto godere, la sua Mona Lisa parla per epigrafi e domande fondamentali sulla realtà che la circonda.

È un personaggio in qualche modo archetipico nel suo essere outsider, dotato di poteri paranormali ma da educare alla vita dell’uomo moderno dalla quale è sempre stato escluso, non dissimilmente dall’Eleven di Stranger Things. Ma Mona Lisa And The Blood Moon è un film ben più stratificato di un action “di superpoteri” qualsiasi. Non tanto perché è un action movie al femminile e femminista, che riesce a non cadere nel facile rischio di stilizzazione e polarizzazione bene-male, ma piuttosto per la capacità di Amirpour di saper sondare un genere ibrido. In quest’opera vivace convergono infatti intrattenimento e ricerca espressiva, distopia fantascientifica e attinenza alla realtà di una New Orleans torbida e affollata nella sua urbanità, animata da una fotografia vivida e cromaticamente caotica.
Le strade della città della Louisiana formano una selva luminosa e psichedelica, un reticolo di esperienze e volti diversi per le quali Mona Lisa si aggira famelica, pedinata da una macchina da presa fluida e quasi sempre in movimento, profondamente affezionata alla sua protagonista.

Amirpour è un’autrice che conosce bene il mezzo cinematografico, qui usato in modo più audace rispetto ad A Girl Walks Home Alone at Night (2014). La sua macchina da presa è girovaga come la sua protagonista, non teme di allontanarsi e di guardarla dall’alto, come di avvicinarsi fino alla deformazione del volto, rendendo angusto e soffocando lo spazio tra soggetto e obiettivo. È un tipo di mobilità vorticante che sosta tra una parcellizzazione dell’estetica centrifuga di Gaspar Noè, la palette di Harmony Korine e un tipo di orizzonte visivo pienamente immersivo, soggettivato, tipico della gaming art e della virtual reality. In questo senso, è come se nella labirintica New Orleans di Mona Lisa And The Blood Moon non ci fosse fuoricampo o via di fuga possibile.

Night Club, Market 24h e Diner tarantiniani periferici e crepuscolari sono il teatro dei primi contatti – o conflitti – di Mona Lisa col mondo. In più occasioni si trova ad essere in balìa di chi la sfrutta o le dà la caccia e i suoi superpoteri sono sia strumento che condanna. La sua è una flanerie inesperta e liminale, in cui le sue potenzialità sovrannaturali non sono che il corrispettivo fantasy del suo sostanziale scollamento dalla realtà.
Ciò che rende Mona Lisa And The Blood Moon un film riuscito e non semplicemente un film divertente è proprio la sopravvivenza di una vicenda intima che, anche se non declamata, dona tridimensionalità al personaggio. Lisa irretisce e manipola i suoi nemici, fa sì che le sue azioni siano le loro azioni e, muovendosi all’unisono, in qualche modo, pur guerrigliando, li conosce, entra in contatto con loro. Il superpotere di Lisa non è quindi altro che la sua resistenza e, al contempo, la sua mano tesa al mondo che non conosce, un pretesto narrativo ma anche una linea espressiva simbolica.
Do you like people? Cause people are not so easy to like.
Mona Lisa And The Blood Moon è, a questo proposito, un film sulla difficoltà di amare gli altri esseri umani, di accettarli nelle scelte che non condividiamo, di empatizzare con ciò che non siamo noi – come vediamo anche nella linea narrativa tra madre e figlio. È un film fresco che merita di essere visto e che, grazie anche ad una splendidamente prepotente colonna sonora elettronica, pulsa e vibra coi suoi spettatori, divertendoli.
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