
La scuola cattolica – Radiografia di una cattiva educazione | Venezia 78
Roma, 1975. Ci troviamo in un quartiere residenziale della capitale che ospita la scuola cattolica maschile frequentata dalla migliore borghesia della città. Attraverso gli occhi di Edoardo e la sua voce narrante veniamo condotti all’interno della scuola, conosciamo i professori e i suoi compagni, entriamo nelle loro case. Apparentemente protetti dalle violente contestazioni e dai tumulti del mondo esterno, i ragazzi della scuola cattolica vivono in un ambiente dove il tempo sembra essersi fermato qualche decennio addietro.
L’educazione che viene loro impartita, sia a casa che a scuola, è rigidissima e fatta di moltissime regole, la cui sovversione tende però a rimanere impunita, generando una concezione distorta e nociva della moralità e una violenza serpeggiante che si nasconde dietro una facciata di perbenismo e di principi cattolici, mai veramente condivisi. Ed è proprio in questo ambiente fatto di contraddizioni e di ipocrisie che si consumerà uno dei delitti più efferati e sconvolgenti della storia italiana dell’epoca, il delitto del Circeo.
La scuola cattolica, ultimo film di Stefano Mordini (qui le nostre recensioni dei film del regista) presentato Fuori Concorso a Venezia 78, racconta una delle pagine più nere della storia italiana del dopoguerra, provando a ricostruirne il retroterra culturale e mettendo in luce il totale fallimento delle tre istituzioni fondamentali su cui si reggeva la società italiana dell’epoca: la scuola, la famiglia e la Chiesa. Basato sull’omonimo libro di Edoardo Albinati, vincitore del Premio Strega nel 2016, Mordini costruisce una narrazione scandita da continui salti temporali, segnalati da appositi cartelli che ci avvicinano inesorabilmente, scena dopo scena, alla fatidica notte tra il 29 e il 30 settembre. Ad accompagnarci in questo macabro conto alla rovescia è il voice over del protagonista, Edoardo, che commenta in fuori campo, a volte in maniera un po’ ridondante, le vicende presentate.
Di protagonista si parla forse erroneamente poiché il film adotta un tono fortemente corale, nell’intenzione di mostrarci che la colpa non è mai di uno solo o di pochi, ma che l’intero microcosmo gravitante intorno alla scuola cattolica, se non addirittura la società tutta, è da ritenersi responsabile di quello che è accaduto. Mordini ci presenta così una miriade di personaggi, i compagni di scuola di Edoardo, gli ex alunni, i futuri aguzzini e i loro genitori, facendoci perdere in una serie di innumerevoli vicende e sottotrame che rischiano di risultare dispersive.
Questa coralità sembra però scomparire quasi del tutto nella seconda parte del film, che si concentra invece quasi interamente sul racconto del delitto vero e proprio, quando i giovani assassini Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira rapiscono due studentesse provenienti da un quartiere popolare torturandole fino a provocare la morte di una di loro. I personaggi conosciuti all’inizio riappaiono timidamente solamente sul finale, rivelando chiaramente tutta la loro inconsistenza.
Quello che nelle intenzioni del regista voleva essere il punto di forza del film, raccontare il delitto del Circeo da un punto di vista più ampio, interno ed esterno insieme, indagandone allo stesso tempo le possibili cause e richiamandone le responsabilità comuni, finisce per ritorcerglisi contro. Proprio l’eccessiva quantità di trame minori e personaggi, semplici abbozzi mai veramente scandagliati, nei quali il pubblico fatica a dipanarsi, sembra essere la maggiore criticità del lavoro di Mordini, che cerca a tutti i costi di portare avanti la propria tesi, rinunciando però all’approfondimento e alla complessità.
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