
Freaks out – L’allegoria della diversità | Venezia 78
Approda al Lido Gabriele Mainetti, uno dei registi più visionari del cinema italiano contemporaneo, con il suo secondo lungometraggio: Freaks out, in concorso alla 78ª Mostra del Cinema di Venezia. Era il 2015 quando uscì nelle sale il bellissimo Lo chiamavano Jeeg Robot. Il film è prodotto da Lucky Red in collaborazione con Goon Films e Rai Cinema. Nei panni dei protagonisti, Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Giancarlo Martini e Pietro Castellitto portano in scena l’incredibile avventura di un gruppo di freaks dotati di poteri fuori dal comune che, contestualizzati nello scenario della comicità e dell’ambiente tipicamente romani, regalano sul grande schermo un risultano tra l’ironico e il grottesco, ma al contempo squisitamente umano e commovente.

Roma, 1943. Nel pieno della seconda guerra mondiale la capitale viene invasa dall’esercito nazista impegnato nella deportazione degli ebrei. In questo scenario drammatico resiste una piccola realtà circense gestita da Israel (Giorgio Tirabassi), nel quale si esibiscono quotidianamente i quattro freaks. Ognuno di loro è dotato di un dono speciale: Fulvio (Santamaria) ha un incredibile forza fisica, Cencio (Castellitto) riesce a comandare qualsiasi insetto, Mario (Martini) è un uomo calamita e Matilde (Giovinazzo) è in grado di sprigionare energia elettrica da tutti i pori. Le loro incredibili qualità, oltre ad attirare il pubblico e garantire il loro sostentamento, sono una condanna che li rende emarginati. L’arrivo della guerra e dei nazisti distrugge la tranquillità dei quattro. Così, in seguito a un momento catartico (vedrete!), inizia il viaggio dei freaks alla ricerca di un nuovo futuro, migliore, attraverso sfide ardue e pericolose.
L’immaginario da cui attinge Freaks out è certamente ampio: da (ovviamente) Freaks di Tod Browning (curioso come Freaks out sia ambientato nell’epoca nazista e Freaks di Browning fosse vietato nello stesso periodo) alle ambientazioni ghotic, fino ai personaggi fuori dal comune che ricordano quelli creati dalla mente visionaria di Tim Burton (penso in particolare ai personaggi di Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali). Si fa sentire anche a qualche nota tarantiniana direttamente da Bastardi senza gloria. Con il classico di Browning Freaks out condivide il messaggio profondo: l’allegoria della diversità, non più vista come un difetto, a confronto con la mostruosità che, al di là delle apparenze, può celarsi dietro a degli individui definiti universalmente ”normali”. Con Freaks out Mainetti porta a Venezia una favola derivata dall’universo dei supereroi, contestualizzandola nella pagina più sanguinosa della storia del Novecento. Il regista riesce a omaggiare, in chiave ironica, perfino l’operato dei partigiani. Nel corso del film è ben visibile anche l’impronta della tradizione fumettistica che, a differenza delle produzioni hollywoodiane firmate Marvel o DC, mantiene qui una forte cifra autoriale.

Come da manuale del cinema (e del genere dei supereroi) che si rispetti, non può mancare la presenza del villain, qui interpretato da un gigantesco Franz Rogowski nei panni di un pianista nazista che si diletta nell’arte della chiaroveggenza. Nella costruzione del personaggio di Franz, Mainetti tocca delle vette di genialità a cui non eravamo abituati da molto tempo, con dei riferimenti arguti e quasi critici al nostro contemporaneo.

Freaks out è un’operazione ambiziosa e ben riuscita, che guarda ai kolossal americani e non lesina straordinari effetti speciali (che non hanno nulla da invidiare alle produzioni d’oltreoceano). 141 minuti di sofisticatissimo intrattenimento che tengono lo spettatore incollato allo schermo. Il turning point sta nella scelta di ambientare il tutto non tra i grattacieli della Grande Mela, bensì ai piedi del Colosseo, dimostrando quanto un’opera tra il cinecomic e il fantasy possa perfettamente adattarsi all’ambiente nostrano senza risultare “fuori posto”.
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