
The Suicide Squad – La via Troma al Cinecomic
Quand’è che un genere cinematografico supera la piena maturità e mostra i primi segnali di declino? Per lo scrittore e accademico John G. Cawelti l’auto-esaurimento di un genere è un fenomeno naturale e inevitabile all’interno della cultura popolare, il raggiungimento da parte del pubblico di una piena consapevolezza delle convenzioni e topoi che lo governano ne è uno dei primi segnali. Cawelti afferma: «si potrebbe quasi tracciare un ciclo vitale base dei generi: da un periodo iniziale di scoperta e articolazione creativa a una fase di auto-consapevolezza da parte sia dei creatori che degli spettatori, sino a una fase dove i loro elementi distintivi diventano talmente conosciuti da annoiare nella loro prevedibilità. É a questo punto che la parodia e la revisione satirica iniziano a proliferare per lasciare spazio a nuovi generi»1.

The Suicide Squad, ultimo cinecomic arrivato in casa Warner Bros., è un’operazione che presenta numerosi rimandi all’ultima frase di Cawelti nel contesto generale del cinema super-eroistico. Parliamo del decimo film appartenente al DC Extended Universe, un soft-reboot del marchio dopo il fallimento del quasi omonimo Suicide Squad uscito nel 2016. Rispetto al film di David Ayer rimane immutata la premessa – una squadra di anti-eroi incaricata di portare a termine una missione suicida per conto del governo – e parte del cast, con il ritorno di Margot Robbie, Viola Davis, Joel Kinnaman e Jai Courtney. Tra i nuovi arrivi da segnalare, come Idris Elba o John Cena, il più importante è però quello di James Gunn in cabina di regia, un acquisto di lusso avvenuto in mezzo all’interruzione e successiva ripresa del travagliato rapporto del regista con la Disney, tra scandali incerti e riabilitazioni tardive.
L’inserimento di The Suicide Squad all’interno di un percorso storico più ampio di decostruzione del genere cinecomic si deve anzitutto alla presenza di Gunn, capace di impostare le basi di tale discorso all’interno della sua filmografia già a partire dal 2010 con quella gemma impazzita di Super – Attento crimine!!!, in un momento in cui il cinema super-eroistico era ben lontano dalla piena maturità contemporanea. Se Deadpool e Logan figurano come due tasselli fondamentali successivi, il primo attraverso la revisione parodistica, il secondo con un approccio crepuscolare al genere, The Suicide Squad si distingue per una volontà di sovversione posta alla base dell’operazione cinematografica stessa, non influenzata dalla natura del materiale letterario di partenza. Nel caso di Deadpool un personaggio nato a sua volta come parodia sarcastica e auto-consapevole. In quello di Logan una run fumettistica già settata su un tono crepuscolare revisionistico.

La personalissima formula di Gunn è riconducibile ad altri fattori. Anzitutto il suo totale ritorno ai dettami della scuola Troma, casa cinematografica indipendente fondata da Lloyd Kaufman caratterizzata dalla produzione di film di genere a bassissimo costo all’insegna della parodia, gore, nudità e umorismo grottesco. Gunn si è fatto le ossa debuttando proprio all’interno della scuderia di Kaufman con Tromeo and Juliet e continuando a sguazzare in tale approccio al cinema anche nei successivi lavori da regista e sceneggiatore. Se il percorso intrapreso in casa Marvel con Guardiani della galassia ha portato a un drastico contenimento della verve Troma, con la DC Gunn si è ritrovato ad avere completa carta bianca. Largo quindi a elevate dosi di violenza grafica, scorrettezza politica, gusto per il grottesco e il turpiloquio all’interno di un glorioso Rated R – il visto censura per i minori non accompagnati.
Secondariamente The Suicide Squad come molti cinecomic nasconde all’interno di tale macro-categorizzazione una seconda identità cinematografica riconducibile a un altro specifico sotto-genere, in questo caso il cinema di guerra anni ‘60. La Suicide Squad di Gunn è infatti impostata sul modello di pellicole belliche come Dove osano le aquile, I cannoni di Navarone e soprattutto Quella sporca dozzina. Nel film di Robert Aldrich a sacrificarsi per la società in una missione suicida erano dei reietti senza alcun ideale nazionalista o di sacrificio, in opposizione agli onorevoli soldati patriottici protagonisti nel passato di tali pellicole. Ecco quindi come il concetto espresso da Cawelti sia rintracciabile già a partire dal riferimento cinematografico primario dichiarato dallo stesso Gunn, un film che a suo tempo rappresentò una presa di coscienza revisionistica in un genere ormai consumato come il war movie negli anni’60.

Tutto questo si traduce in una piacevole e a tratti meravigliosa scheggia impazzita, un prodotto sempre più difficile da rintracciare nel cauto e moderato panorama del cinema contemporaneo ad alto budget. Specialmente rispetto all’approccio al cinecomic di scuola Marvel, formalmente perfetto e invidiabile nella professionalità con cui viene imbastito e portato a termine un universo cinematografico condiviso, ma incapace di slanci anarchici di tale portata.
The Suicide Squad è invece un film di fantasiose mutilazioni corporee, caratterizzato da un umorismo capace di spaziare tra il cattivo gusto di un adolescente e la satira politica più arguta. Implacabile nella sua missione di perversione e parodizzazione dei numerosi topoi del genere super-eroistico e della sua idea di epica. Uno fra tutti il personaggio di Peacemaker, interpretato splendidamente da John Cena, potrebbe assurgere a perfetta icona dell’intera operazione, un Capitan America degenerato rivisto all’insegna del grottesco, come dice lui capace di amare la pace così tanto da non preoccuparsi di quanti uomini, donne e bambini debba uccidere per mantenerla.

Insomma, una doverosa boccata d’aria fresca, capace nella prima parte di trascinare lo spettatore in un ottovolante di sorprese e divertimento come non se ne vedeva da anni. E se The Suicide Squad si mantenesse su tali livelli fino alla fine ora staremmo parlando di un piccolo capolavoro. Purtroppo Gunn non riesce a reggere questa intensità per tutta la durata, mostrando nella seconda parte qualche cedimento e inconsistenza nel ritmo della narrazione – complici le insistite deviazioni dedicate ad Harley Quinn – inversamente proporzionale al costante bombardamento di battute scorrette e oscenità varie. Dal punto di vista strettamente cinematografico imbastisce una regia solida ma incapace di concedersi veri e propri guizzi visivi, così come l’orchestrazione di sequenze particolarmente memorabili.
Si tratta di difetti parziali che non scalfiscono l’elevata validità complessiva dell’operazione parodistico-sovversiva imbastita da Gunn: farsi affidare 180 milioni di dollari di budget dalla Warner Bros. per realizzare un cinecomic Rated R in stile Troma. Nel suo genere si tratta di un piccolo ed imperdibile evento cinematografico, cinema d’intrattenimento sempre più difficile da trovare, fatto di rischiose operazioni ad altissimo budget capaci di raggiungere una genuina sorpresa anche nello spettatore più consumato.
Tradotto: correte al cinema, difficile sapere quando e se mai ricapiterà.
1 J.G. Cawelti, Chinatown and Generic Transformations in Recent American Films, in G. Mast, M. Cohen (a cura di) Film Theory and Criticism: Introductory Readings, Oxford University Press, New York 1992, p. 510.
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[…] prodotti in quantità sempre maggiore, da Watchmen e Kick-Ass ai più recenti Invincible e The Suicide Squad. Tanto per citare un altro saggio di Eco, siamo forse agli albori di una nuova concezione del […]
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