
Guardiani della Galassia Vol. 3 | Hooked on a Feeling
Era la formula perfetta fin dall’inizio: un gruppo di personaggi Marvel poco conosciuti – e quindi con poche aspettative alle spalle -, un regista dal gusto feroce e decisamente camp – aveva scritto i due Scooby-Doo, per capirci -, e quello stesso sapore fantascientifico che si gusta con Star Wars, presente ma non invadente, capace di amalgamarsi con ogni pensabile contaminazione; e poi sì, la musica, quella giusta nel momento giusto, meravigliosamente in conflitto e in perfetto accordo con le atmosfere di tutto il resto. Questi gli ingredienti di quel franchise nel franchise che è I Guardiani della Galassia, gioiello narrativo ed estetico del Marvel Cinematic Universe e creatura plasmata con sapiente attenzione da James Gunn che, con questo conclusivo Volume 3, arriva a raggiungere un traguardo di complessità e solidità insperato e necessario per risollevare la tenuta dell’intero universo cinematografico di cui fa parte. Peccato che questo sia anche – al momento – l’ultimo saluto di James Gunn alla Marvel, che perde così uno dei suoi autori più consapevoli e capaci di direzionare pubblico e racconto; tenterà di farlo alla DC, mentre in Marvel al momento resta solo Taika Waititi, che al contrario di Gunn è radicalmente divisivo.

Invece I Guardiani della Galassia di Gunn hanno sempre soddisfatto tutti, dai fan accaniti, che hanno miracolosamente perdonato tradimenti estremi nella lore fumettistica della squadra, ai nuovi arrivati, capaci di affezionarsi a personaggi mai sentiti prima e francamente piuttosto assurdi, e che in questo Volume 3 trovano un ulteriore gradino di complessità nell’evoluzione della narrazione corale che ha caratterizzato il passaggio attraverso i due titoli precedenti: la trama verticale si restringe ancora di più – l’obiettivo è semplice e chiarissimo fin dall’inizio -, mentre la densità narrativa si frammenta attraverso un vastissimo parco di personaggi plasmati per entrare in risonanza tra loro, intessendo un tessuto corale solidissimo e dall’estrema dinamicità, necessaria per rendere efficaci i salti emotivi che punteggiano un film capace di far ridere e commuovere con uguale intensità. Gunn raffina il tentativo di creare un film fatto di contrasti come è stato il Love & Thunder di Waititi, ma al posto delle rotture di senso volutamente violente – e difficilmente digeribili – volute dal regista neozelandese, James Gunn accompagna le reazioni del pubblico attraverso gli sguardi ormai solidissimamente affermati dei tanti personaggi, vero veicolo e volto della potenzialmente immensa galassia narrativa che abitano.

Un film giocato nelle proporzioni, tra storie estremamente “piccole” come le origini di Rocket, a trame di portata universale, come il desiderio di sostituire il divino dell’Alto Evoluzionario, che riescono a diventare punteggiature di una stessa partitura perfettamente armonizzata, risuonando magistralmente e portando con sé gridi d’allarme espliciti – su tutti, un forte messaggio animalista, messo in forma su più livelli – che non scadono mai nel didascalico perché costruiti attraverso il contrasto dimensionale, anche dal punto di vista visivo: le immagini di Guardiani della Galassia Volume 3 sono estremamente solide e massicce, capaci di restituire allo sguardo del pubblico la pesantezza tanto di navicelle enormi quanto dei colpi incassati negli adrenalinici combattimenti, mai così sinceramente violenti, frustranti e spietati, tutto attraverso la volontà di Gunn di rendere espliciti i suoi riferimenti, senza nascondere raccordi intertestuali evidenti – quanto Cronenberg c’è nell’idea stessa della Orgosfera? – che sono ingredienti necessari per restituire la complessità di un universo narrativo talmente vasto che necessita di raccontarsi anche solo mostrandosi.
La formula perfetta di Guardiani della Galassia non sarebbe altrettanto efficace senza l’evoluzione degli interpreti nei corpi dei loro personaggi, raggiungendo un grado di indistinguibilità tra quanto c’è di scritto e quanto di autentico nelle loro parti da rendere il film il risultato di un lavoro collettivo totale, con attori ormai parte integrante della famiglia di Gunn – e che ritroviamo anche in DC – e altri capaci di reggere intere sequenze del racconto con la loro sola presenza: in particolare la Nebula di Karen Gillan è diventata di film in film un pilastro insostituibile della tenuta dei Guardiani, complice la sua eccezionale adesione al personaggio. Ma il picco interpretativo di questo Vol. 3 si ha con Chukwudi Iwuji, un terrificante Alto Evoluzionario, degno volto plasticamente malleabile di uno dei personaggi più complessi dei fumetti Marvel, qui riscritto da Gunn in modo da restituirne i lati più spaventosi e sinceramente problematici; come totalmente riscritto è l’Adam Warlock di Will Poulter, ripensato per essere l’immagine grottesca di un atteggiamento reazionario cieco e ottuso, lontano da quella figura divina ed eterea della sua controparte fumettistica che sarebbe risultata decisamente fuori luogo nel racconto di Gunn.

Mancheranno tantissimo i Guardiani di Gunn nel MCU, perché quella solidità autoriale totale – dall’immagine agli attori, passando per una colonna sonora sempre perfetta – non si è più vista in nessun prodotto Marvel, nemmeno in quelli più coraggiosi nel rompere la medietà rappresentativa del franchise: sicuramente alcuni personaggi torneranno, ma la formula perfetta sembra purtroppo irripetibile. E pensare che per una manciata di tweet c’era il rischio di non vederlo, questo Volume 3…
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