
Le 5 serie più deludenti del 2021
Ci abbiamo messo un po’ a elaborare. Non ci sembrava giusto, però, rilasciare per il 2021 soltanto giudizi positivi sui prodotti usciti, dal momento che la maggior parte delle volte, anche dopo ore di binge watching, il sentimento principale è la delusione. Abbiamo raccolto per voi le cinque serie più deludenti del 2021. Mi raccomando, non le peggiori, ma quelle che ci hanno deluso di più. Si tratta di una classifica personale, quindi, quasi “sentimentale”, perché i redattori che hanno partecipato hanno, in qualche modo, dovuto farlo, per coerenza con le proprie emozioni. Non si scherza con certe cose, non si scherza.
American Horror Stories

Creatori: Ryan Murphy e Brad Falchuk | Disponibilità: Disney+ | Episodi: 7 | Minutaggio : 38-49 min
In onore del decimo compleanno della serie antologica horror American Horror Story e dopo il successo di American Crime Story, i suoi creatori Ryan Murphy e Brad Falchuk provano ad ampliare il brand ulteriormente con American Horror Stories. Strizzando l’occhio al modello di Ai confini della realtà, lo spin-off propone una formula verticale, limitando ciascuna storia al singolo episodio piuttosto che a una stagione intera (come invece fa la serie originale). L’idea, professata dagli autori, era quella di ispirarsi a leggende, miti e folklore, ma il risultato è profondamente diverso.
Gli episodi di American Horror Stories sono divisibili in due categorie. La prima è costituita da quelli che si collegano in modo diretto alla serie originale attraverso easter egg. In Rubber(wo)Man e Game Over torna difatti la Murder House della prima stagione di American Horror Story. È un chiaro tentativo di ricordare l’epoca d’oro ma finisce solamente per esserne un pallido ricordo, che cade con facilità nel ridicolo a causa di una recitazione portata all’esasperazione. Nella seconda categoria invece si trovano episodi dalle intenzioni confuse, tra riferimenti all’attualità (La lista dei cattivi, ad esempio, è chiaramente ispirato allo scandalo dello youtuber Logan Paul) e messaggi morali confusi e didascalici, e in cui manca l’horror promesso dal titolo.
American Horror Stories finisce per essere vittima della stessa formula che ha lentamente rovinato American Horror Story: un inizio speranzoso, un percorso approssimativo e un finale frustrante che deraglia completamente la storia. Di Giada Sartori.
Fondazione

Creatore: David S. Goyer | Disponibilità: AppleTv | Episodi: 10 | Minutaggio: 45 circa
Non solo non ho visto l’ultimo episodio e non ho rinnovato l’abbonamento ad Apple TV (forse ingenerosamente, visto il prezzo esiguo) che mi avrebbe permesso di vederlo, ma soprattutto ho deciso che la serie non meritasse una stroncatura intera, perché sarebbe, come si suol dire – e tutti odiamo i cliché – come sparare sulla Croce Rossa. La serie Fondazione è un insulto alla memoria e all’eredità di Isaac Asimov. Prima di cominciare con l’elenco, preciso che: la trasposizione non ha nella fedeltà un necessario valore. In questo caso il confronto è utile perché la grandezza dell’originale ingombra la sciattezza del derivato. In breve: 1) il senso intero della Psicostoria – la “scienza” che nel Ciclo delle Fondazioni sarebbe in grado di prevedere i macrofenomeni sociali – è collettivo, non individuale. Significa tentare una narrazione epica il meno possibile basata sulla capacità di azione dei singoli. In questa serie dipende letteralmente tutto dall’eccezionalità di Seldon stesso, di Gaal Dornick e di Salvor Hardin; 2) il Ciclo della Fondazione impegna, in sette libri, centinaia di anni. Ci si chiede, visto l’imbarazzo di questa prima stagione – tra flashback, flashforward ed ellissi un po’ schizofreniche – come mai potrà continuare senza finire in un mappazzone (per il progetto sarebbero già previste circa 80 ore); 3) Asimov riesce in descrizioni che, pur non indugiando sempre sui dettagli, riescono ad alludere al tutto. Il gigante di ferro che dovrebbe essere Trantor sembra più, in questa serie, un paradiso utopico; così, non c’è grande impegno immaginativo nella realizzazione di altri “ambienti” (l’inospitalissimo Terminus non è molto diverso dal deserto); 4) Non basta assoldare nel ruolo di Hari Seldon Jared Harris (già centrale in una splendida serie di fantascienza come The Expanse) per dare “lustro” alla recitazione, che è invece profondamente altalenante.
Asimov è già stato trasposto per diffrazione, poiché la sua influenza o la sua eredità si intravede in ogni racconto fantascientifico, sia esso stampato o proiettato. Questa diffrazione ha generato apertura, si è comportata come un moltiplicatore di immaginari, proprio come, probabilmente, voleva l’autore. Questa serie, fondata sui cliché della Fantascienza moderna, sui cliché della narrazione moderna, sui cliché, addirittura, della psicopatologia moderna, stringe l’immaginario, facendo un disservizio in generale e un servizio ai detrattori di Asimov, mai esistiti, in realtà: viene da pensare, invece, sia il creatore David S. Goyer il primo di una breve, si spera, serie. Di Demetrio Marra.
Gossip Girl

Creatore: Joshua Safran | Disponibilità: Sky | Episodi: 12 | Minutaggio: 58 min
Se il 2021 è stato l’anno dei grandi ritorni, con la reunion di Friends e di Harry Potter e il sequel di Sex and the City, anche HBO Max ha deciso di non lasciarsi sfuggire l’occasione e, come un prestigiatore, ha tirato fuori dal cappello una vecchia serie cult da rilanciare in una nuova veste scintillante; torna così, nove anni dopo, il reboot di Gossip Girl, pronta ad aggiornarci sulle vite scandalose dell’élite di Manhattan. L’operazione è quella tipica di questo tipo di prodotto, che gioca sul sentimento di nostalgia dei millennials, con rimandi continui alla vecchia saga e qualche comparsata del cast precedente, cercando allo stesso tempo di intercettare un pubblico più giovane, grazie ai riferimenti ai trend attuali e all’inclusione massiccia dei social nel racconto. Ambientazione, cast e vicende sono stati completamente rinnovati e aggiornati, creando dei personaggi più vari e inclusivi.
Se fin qui le premesse possono sembrare interessanti, Gossip Girl finisce per disattenderle dalla prima puntata; sotto i brillantini e la patina di nuovo la serie ricade fin da subito nei vecchi schemi, ormai esauriti da tempo, senza potersi appoggiare ai personaggi carismatici della prima versione. I nuovi sono solo delle ombre ricalcate sui predecessori, maldestramente aggiornati e decisamente insopportabili. La serie cerca inoltre di apparire impegnata a tutti i costi, infarcendo i suoi drammi di ogni tipo di battaglia sociale contemporanea – dal femminismo alla disuguaglianza sociale, passando per l’identità di genere – senza riservare loro un approfondimento adeguato e finendo per appiattire tutto in nome di un politically correct a tutti i costi, ma solo di facciata. «Ciao followers, qui Gossip Girl» ci interpella la ritrovata blogger newyorkese, «è passato un po’ di tempo, vi sono mancata?». Che dire, si sa che la minestra riscaldata non è mai buona. Di Giorgia Giulia Gamberini.
Love, Death and Robots 2

Creatore: Tim Miller | Disponibilità: Netflix | Episodi: 8 | Minutaggio: 7-18 min
Alle volte sembra che Netflix si senta forzata a portare avanti i propri marchi fortunati, senza poi crederci troppo. Love, Death & Robots, nella sua prima stagione, aveva proposto un ventaglio variegato ed eterogeneo di stili, narrazioni, possibilità e atmosfere all’interno dell’animazione, dal fotorealismo al cartoon, senza dimenticare il sincronismo tra la forma espressiva e la radice contenutistica di ogni episodio. Nella seconda stagione, decisamente più breve e più povera, le tematiche si omogeneizzano verso un distopismo di ritorno, quasi una condizione necessaria per raccontare i tre temi del titolo, senza lasciare veramente spazio all’innovazione linguistica e, soprattutto, separando nettamente quell’armonia tra stile d’animazione e narrazione che sembrava la vera forza del prodotto complessivo. La ricerca stilistica si ferma ad un generico già visto e, soprattutto, la sperimentazione narrativa è pressoché inesistente, didascalica e prevedibile. Va detto, non tutti gli episodi sono totalmente deludenti e, fuori dal contesto del marchio della serie, potrebbero anche spiccare per coraggio e crudeltà, ma la delusione, inevitabilmente, resta. Di Nicolò Villani.
Star Wars: The Bad Batch

Creatore: Dave Filoni | Disponibilità: Disney+ | Episodi: 16 episodi | Minutaggio: 75 min (primo episodio)/22-30 min
Va detto, le aspettative erano alte: dopo l’insperato exploit di The Mandalorian e l’acclamata conclusione di The Clone Wars, la serie spin-off sul gruppo di outsider dell’esercito di cloni della Repubblica appariva come la ciliegina sulla torta di una rinascita della gestione Disney di Star Wars. E dopo il primo lungo episodio, un vero e proprio film animato che ha ridisegnato il contesto del post-Episodio III, The Bad Batch prometteva grandi emozioni, azione adrenalinica e personaggi profondi. Il risultato, invece, nelle successive 14 settimane, è stato un crescendo di tedio e situazioni ridondanti, con ruoli macchiettistici tutti persi nel far da babysitter a Omega, bambina-clone di cui proprio non si sentiva la necessità. L’insipienza del racconto si disperde nella mancanza di un focus chiaro: le trame politiche non incidono a sufficienza, le tensioni tra membri del gruppo – il personaggio più interessante, Crossfire, viene sacrificato come villain eternamente indeciso – diventano gare di sguardi mai davvero pericolose. In tutto, si registra il fatto che 16 episodi, oggi, per una miniserie (sperando non si replichi con una seconda stagione) sono decisamente troppi. Di Nicolò Villani. Qui potete leggere un articolo approfondito.
Leggi tutte le nostre classifiche!
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista