
La commedia secondo Billy Wilder – Travestimento e identità
Eterogeneo e prolifico, il cinema di Billy Wilder affronta generi disparati, come il noir, il dramma e la commedia. Al di là della fama per un film inclassificabile e indimenticabile come Viale del tramonto (1950), Wilder è ritenuto uno dei massimi maestri e innovatori della commedia classica assieme a Lubitsch, Frank Capra e Howard Hawks. Dalle formule più sentimentali di Sabrina (1954) e Arianna (1957) fino alla comicità più frizzante e svitata di A qualcuno piace caldo (1959) e Baciami Stupido (1964), il genio di Wilder non fa che corrodere la fissità dei codici e dei generi cinematografici dietro ai quali si cela il rigore degli schemi culturali e morali della società americana. Portavoce di un’ideologia reazionaria, spesso ritenuto dalla critica “cinico” o peggio ancora “volgare”, in realtà il cinema di Billy Wilder, e con maggiore forza la sua produzione comica, esprime una rara libertà all’interno dell’establishment hollywoodiano.

Il segreto delle commedie di Wilder sta tutto negli artifici retorici e narrativi. Vera e propria ossessione del suo cinema è il meccanismo del travestimento, come accade nel film A qualcuno piace caldo (1959) dove tale espediente crea metamorfosi continue, rovesciamenti, effetti di raddoppiamento. A qualcuno piace caldo è un congegno calibratissimo sotto il profilo narrativo: il suo ritmo jazzistico, la sua trama esuberante, giocata tutta su camuffamenti e mascheramenti frenetici, scambi di sesso e di persona, incroci fra coppie, manifesta un gusto perverso, un godimento sfrenato della messa in scena. Se da un lato il travestimento è indubbiamente un gioco narrativo che cesella minuziosamente il plot, dall’altro il fatto di indossare una maschera diventa per il soggetto qualcosa che tocca la propria intimità, l’identità, e soprattutto la sessualità. Dopo aver assistito al massacro di San Valentino, ricercati dalla mafia, I due musicisti Joe (Tony Curtis) e Jerry (Jack Lemmon) sono costretti a cambiare identità (e sesso), vivendo un’esperienza perturbante che comporta la scoperta della loro omosessualità latente, ma soprattutto l’esplorazione dell’universo dell’alterità femminile. Le differenze fra i sessi e, con esse, le scelte sessuali vengono sabotate parodicamente da Wilder grazie al trucco e al travestimento, ribaltando così le categorie binarie della cultura occidentale (uomo-donna ma anche ricco-povero). Basti da esempio il famoso finale, dove Daphne (Jack Lemmon) rivela al buffo Osgood Fielding di essere in realtà un uomo e quest’ultimo, rispondendo con la celebre affermazione «Nobody is perfect», sovverte una volta per tutte l’identità eterosessuale normalmente data per scontata.

Dietro al trucco e al marchingegno del travestimento traspare una riflessione sui codici morali e culturali che configurano la società americana. Il meccanismo del travestimento, il quale sottende sempre un inganno, una truffa o un sotterfugio, raggiunge l’acme in Baciami, stupido (1964), fiasco storico della carriera di Billy Wilder. Giocato tutto sulla rappresentazione parodica del tradimento e soprattutto sulla smerciabilità dell’amore coniugale in cambio di una “spinta” per sfondare nel mondo della musica, Baciami, stupido mette a punto una complessa architettura narrativa basata sull’espediente della sostituzione di persona: la moglie del gelosissimo Spooner viene sostituita da una falsa moglie – la prostituta Polly “La bomba” (Kim Novak) – la quale dovrà concedersi al posto della vera moglie al cantante Dino (Dean Martin) in modo da convincerlo a lanciare sul mercato le canzoni scritte da Spooner. Il motivo dell’insuccesso di Baciami, stupido va ricercato proprio nell’intercambiabilità e nella non-opposizione fra il ruolo della moglie e quello della prostituta. Polly “La bomba” si immedesima così tanto nel ruolo della moglie che non vuole più portare avanti la farsa di moglie-prostituta per cui è stata pagata; al contrario, la vera moglie di Spooner si ritroverà a prendere il posto di Polly, vivendo così una notte da prostituta proprio col cantante Dino. Questa beffa fatale e stupefacente che viola e trasgredisce la morale puritana della società americana, svelando l’ipocrisia dell’amore coniugale (venduto in cambio del successo), non ha certamente entusiasmato il pubblico dell’epoca. Afferma lo stesso Wilder: «Io e I.A.L. Diamond [lo sceneggiatore] siamo stati guardati per settimane come genitori che hanno fatto un bambino con due teste».

Quando uscì nel 1960 L’appartamento fu invece un successo clamoroso. Pur presentandosi come una commedia, L’appartamento mantiene un’infelicità di fondo: non solo per il tema del suicidio, ma soprattutto per la messa in scena di un’identità frammentata, sottratta a se stessa e alla dimensione del privato. La sfera della privacy è ciò che a cui il protagonista “Bud” Baxter (il solito Jack Lemmon) rinuncia a favore del motto capitalistico “la carriera prima di tutto”. Affittando il proprio appartamento ai dirigenti dell’azienda per i loro incontri extraconiugali, Baxter riceverà in cambio promozioni aziendali che altrimenti sarebbero irraggiungibili. Dal conflitto tra identità e società – sempre centrale in Wilder – deriva un umiliante compromesso di prostituzione, una compravendita sociale che baratta la propria individualità in cambio di soldi e successo aziendale. Menzogna, questa, che tocca prima di tutto se stessi, poiché la verità oltre la superficie del capitalismo è un insopportabile senso di solitudine e frustrazione. Estraneo in casa propria, perennemente fuori-luogo, Baxter ce la farà: da semplice impiegato scalerà le gerarchie e i piani dell’azienda raggiungendone i vertici. Ma questo successo trionfale corrisponde a una caduta, a uno svilimento della propria dignità. Tutta la meschinità, l’immoralità, la depravazione (come dimostra la scena della festa aziendale) viene così svelata da una macchina narrativa che è comica e tragica al tempo stesso In questo senso, L’appartamento è la più feroce critica verso il reificato sistema del lavoro nella società capitalistica americana.

Tutto ciò che è stato detto finora non vale soltanto per la produzione comica ma anche per quell’altra stagione, che va dagli anni ’40 fino agli anni ‘50, caratterizzata da film noir o drammatici. Già in Frutto proibito (1942), esordio alla regia dopo una gavetta come sceneggiatore, si vede Susan (Ginger Rogers) travestirsi da “ragazzina” incarnando così l’oggetto di un desiderio interdetto e immorale da parte del maggiore Kirby (Ray Milland). Qui il travestimento si intreccia con un altro motivo wilderiano, cioè la marcata differenza anagrafica nella relazione sentimentale ed erotica, argomento che sarà decisivo nelle commedie Sabrina (1952) e Arianna (1957). Anche nel noir La fiamma del peccato (1944), impasto fangoso fra sesso, denaro e omicidio, il tema del travestimento e della sostituzione di persona è intrecciato con la dinamica del tradimento e dell’inganno. Convinto di aver realizzato un omicidio perfetto e di aver ingannato la compagnia assicurativa per cui lavora, Walter Neff (Fred MacMurray) si scopre vittima di un tranello ideato dalla sua complice e amante. Nella celebre confessione Neff affermerà: «L’ho ucciso io. L’ho ucciso per denaro. E per una donna. E ho preso il denaro. E non ho preso la donna. Bell’affare!»
Insomma, da questa panoramica del cinema di Wilder si evince quanto siano ricorrenti e rilevanti i richiami intertestuali fra un film e l’altro, le assonanze o le variazioni su un medesimo tema. È forse il sintomo di un cinema nevrotico e ossessivo che si trastulla incessantemente sulle patologie della coscienza borghese, anticipando da una parte la decadenza della società americana, dall’altra la crisi di quella sorprendente “fabbrica dei sogni” che il sistema produttivo hollywoodiano rappresentava.
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[…] di soggetti e di sceneggiature, tra cui quella de La fiamma del peccato, scritta due anni prima con Billy Wilder.L’opera di Hawks arricchisce una filmografia che affronta diversi generi e filoni, dal […]
[…] simbiosi, in una chimera che fonde il corpo di Russell alla voce di Monroe, nell’erompere del potenziale poietico del travestimento. È la voce di Marilyn a insidiare l’icona di Russell, o è piuttosto il camaleontismo di […]