
Il doppio sguardo di Hollywood – 70 anni de Gli uomini preferiscono le bionde
Un sipario nero, semitrasparente e costellato di scintille, viene squarciato da due figure femminili avvolte in un accecante cremisi. Marilyn Monroe e Jane Russell danno inizio a Gli uomini preferiscono le bionde (Gentlemen Prefer Blondes, 1953) con un’immediata (di)mostrazione della potenza spettacolare del loro stardom, ed enunciando marcatamente – fin da prima dei titoli di testa – la natura di un film che è tutto performance, tra sfavillanti giochi di luce e numeri musicali il cui fascino, a 70 anni di distanza, persiste inconcusso.

La luminosità olimpica, la trasparenza e la distanza attraverso cui tutto è intellegibile: queste le proprietà caratteristiche dell’immagine di un regista quale Howard Hawks. Un’immagine che esprime le facoltà immaginifiche della Hollywood Classica e, soprattutto, la sua potenza sintetica. Gentlemen Prefer Blondes tiene insieme gli opposti, coagulati da una luce temperata che accetta ogni contraddizione, svuotandola di violenza. Nel film di Hawks convivono la sfrenatezza sessuale dei Roaring Twenties1 e la pudicizia del Production Code; l’azione dialogico-narrativa dissolve con eleganza nel numero musicale; la morbida oscurità da dark lady di Russell e la solarità diamantina di Monroe danzano in sincronia.
E dalla sincronia si passa alla simbiosi, in una chimera che fonde il corpo di Russell alla voce di Monroe, nell’erompere del potenziale poietico del travestimento. È la voce di Marilyn a insidiare l’icona di Russell, o è piuttosto il camaleontismo di quest’ultima a imporsi? Lo scontro perde di senso, arso dall’incandescenza di un’immagine capace di fondere due stars in un unico sole. Tutto è annichilito in un tiepido, quieto tepore.

Non contraddizione
Che infatti lo stesso contemporaneamente sia presente e non sia presente, questo è impossibile nella stessa cosa e riguardo alla stessa cosa
-Aristotele (Metafisica, IV, 3, 1005 b 19-20)
La nostra incapacità di affermare e negare la stessa cosa ha come conseguenza che qualcosa non può essere rappresentato, fissato, cioè «essere» contemporaneamente in quanto questa cosa e il suo contrario.
-M. Heidegger, Nietzsche
Lo spectaculum hollywoodiano pensa – rappresentandolo – «questa cosa e il suo contrario», in un rilucere il cui unico orizzonte è l’estetica. Le contraddizioni non sono allora che apparenza, giochi luministici.
La variegatura di Gentlemen Prefer Blondes si esprime con la massima vivacità sul piano della sessualità. Attraverso innumerevoli e coimpossibili letture e riletture, nel corso dei decenni da questa miniera filmica si è estratto di tutto. Dalle rivendicazioni queer2, fino al caustico giudizio di Andrew Dominik (regista e sceneggiatore di Blonde, 2022), per cui il film non veicola in fondo nient’altro che una tossica idea di «romanticised whoredom»3.
E in fondo Blondes non solo incoraggia, ma avvalla tutte queste letture. Si passa dagli appetiti di una Dorothy che canta Ain’t There Anyone Here For Love immersa in un deludente panorama omoerotico ad una Lorelei essenzialmente aroace, che vive e divulga con passione religiosa il suo credo nel corpo e nell’amore come meri strumenti transazionali. Due estremistiche e antipodiche forme di materialismo: se Dorothy insegue il sesso, Lorelei lo percorre, superficialmente, inseguendo il denaro. Consapevoli del sistema di valori vigente – un materialismo assoluto – entrambe esercitano sul mondo circostante uno sguardo oggettificante, mirando sempre ed esclusivamente a un ritorno “economico”.

Diplopia binoculare
E proprio riconoscendo la compresenza di due strutture dello sguardo teoreticamente incompatibili possiamo sondare, in ultima istanza, il massimo grado di una potenza luminosa che oblitera le opposizioni.
In Gentlemen Prefer Blondes rinveniamo, in un puro paradosso, alcuni tra i più cristallini esempi del male gaze4 come del suo possibile, radicale rovesciamento. E così, accanto agli sguardi desideranti-oggettificanti di Esmond (Tommy Noonan), della squadra olimpionica o di ‘Piggy’ (Charles Coburn), abbiamo quelli speculari, egualmente reificanti, di Dorothy e Lorelei. Se la prima riduce gli uomini al loro potenziale erotico, spogliandoli con gli occhi, la seconda li scarnifica direttamente, riducendoli alla loro ricchezza.

Tutto è organizzato sotto lo sguardo maestro di Hawks, che orchestra le differenze annullandole nel puro spettacolo. In un gioco danzante di corpi in cui tuttə sono oggetti, ingranaggi di carne al servizio di un meccanismo fagocitante. Divoratore e loquace.
Note
1 L’omonimo libro di Anita Loos – da cui il film pur il film si distacca ampiamente – è un prodotto di quell’epoca.
2 Vedi anche A. Doty, Everyone’s Here for Love: Bisexuality and Gentlemen Prefer Blondes
3 «[…] when she sings ‘Diamonds Are a Girl’s Best Friend’ – it’s like, is that sisterly advice, “If you’re gonna fuck, make sure you get paid”? Or is it just romanticised whoredom?» (da un’intervista di Christina Newland per «Sight and Sound»: https://www.bfi.org.uk/sight-and-sound/interviews/im-not-interested-reality-im-interested-images-andrew-dominik-blonde)
4 Cfr. L. Mulvey, Visual Pleasure and Narrative Cinema
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