
Sergio Leone – La trilogia del dollaro e la rivoluzione del Western
Nel corso della storia del cinema pochi film hanno avuto un impatto così determinante sull’immaginario del pubblico come quello suscitato dalla celebre Trilogia del dollaro, tra i culmini artistici della carriera cinematografica di Sergio Leone. Il connubio tra il profondo rinnovamento dei linguaggi e delle tecniche filmiche, l’originalità dello stile del regista, gli straordinari interpreti nel loro stato di grazia e la colonna sonora del compianto Ennio Morricone, regalano a queste pellicole la quintessenza della magia della Settima Arte e trovano il loro naturale collocamento nell’Olimpo della filmografia mondiale.
Quando si pensa al classico Western si vola con la mente negli Stati Uniti, sul set hollywoodiano di John Ford, maestro del genere e regista di celebri pellicole di genere. Indimenticabili Ombre Rosse (1939) e Sentieri Selvaggi (1956) nei quali John Wayne regala due delle sue migliori performance, entrambe opere cinematografiche capostipite del genere. In Italia, dove il Western era sinonimo di cinema americano, la mente visionaria di Sergio Leone concepisce una rivoluzione graduale del genere dando vita ad un filone prettamente nostrano: gli spaghetti-western. Oltre a sviluppare uno stile di regia originale caratterizzato da primissimi piani, zoom in e zoom out velocizzati e colpi di scena incrementati dalle sonorità delle immortali colonne sonore, Sergio Leone viene presto apprezzato a livello internazionale e il successo dei suoi spaghetti-western si conferma definitivamente. Con la Trilogia del dollaro Sergio Leone lancia nel firmamento star come Clint Eastwood che all’epoca della produzione della Trilogia contava poche apparizioni in pellicole minori.

A differenza delle produzioni americane, i film Western di Sergio Leone sono permeati da un senso di nichilismo universale. Il tipico dualismo, il quale caratterizza la struttura narrativa del genere, fondato sul delicato equilibrio tra buoni e cattivi, viene scardinato dall’individualismo dei singoli personaggi. I personaggi inventati dalla mente di Sergio Leone agiscono per loro stessi, per l’arricchimento personale: uno su tutti Clint Eastwood, protagonista della Trilogia del dollaro, rappresenta il massimo esempio di opportunismo e di egoismo personale, il raggiungimento dei suoi obiettivi è il suo scopo primario. La nuova struttura narrativa canonizzata da Sergio Leone culmina con uno scontro finale, climax dell’intera pellicola: le scene finali della sua filmografia rimangono ancora oggi iconiche, e ampiamente citate da innumerevoli registi tra cui resta emblematico Quentin Tarantino.
Per il regista di Pulp Fiction, Sergio Leone è il maestro del cinema per eccellenza e molte sono le sequenze Western che hanno ispirato i suoi film. In Kill Bill: Volume 1 , durante la scena iniziale, il primo piano del volto della sposa (Uma Thurman) in attesa di subire il colpo di grazia da Bill (David Carradine) ricorda visivamente una delle sequenze contenute ne Il buono, il brutto e il cattivo (1966) quando al Biondo (Clint Eastwood) viene puntata una rivoltella da Tuco (Eli Wallach), intenzionato ad ucciderlo. Lo stesso piano dettaglio sullo sguardo di Tuco viene citato in The Hateful Eight, tra gli ultimi lavori di Tarantino, con l’inquadratura sugli occhi del Generale Smithers (Bruce Dern). Secondo il regista americano, la Trilogia del dollaro di Sergio Leone è da avvalorarsi come uno dei momenti più alti della filmografia mondiale.

Per un pugno di dollari (1964)
Prima pellicola della Trilogia del dollaro, il film viene considerato un remake non dichiarato de La sfida del Samurai (1961) del regista Akira Kurosawa. Sergio Leone credeva nella forza dirompente di questo “primo western” che aveva il compito di rompere con le convenzioni del genere. Il film venne distribuito negli Stati Uniti presentandosi come la prima produzione di questo genere e, per facilitare il loro riconoscimento, gli attori della troupe e del cast assunsero falsi nomi inglesi. Sergio Leone prese il nome di Bob Robertson, Ennio Morricone il nome di Dan Savio e Gian Maria Volontè appare con il nome John Wells. Le ambientazioni, tra Messico e America, riprendono quelle del genere Wester tradizionale: paesaggi desertici, villaggi quasi del tutto disabitati, cavalli e animali da trotto. Il commediografo Carlo Goldoni è una delle tante ispirazioni di Sergio Leone per la realizzazione del primo capitolo della Trilogia: alcuni dialoghi ricordano le dinamiche di Arlecchino servitore di due padroni, dove la posizione antiautoritaria del protagonista diventa ambigua poiché pronunciata da un personaggio non rivoluzionario e dall’atteggiamento neutro. Clint Eastwood, protagonista dell’intera Trilogia, interpreta qui un pistolero solitario giunto presso la cittadina di San Miguel, luogo della cruenta faida tra due importanti famiglie per il controllo della zona. Joe (Clint Eastwood), pur di ottenere il compenso, si vende ad entrambe le fazioni portandole allo scontro e all’eliminazione reciproca. Lo scontro finale, che vede uno straordinario Gian Maria Volontè contro Clint Eastwood, è supportato dalle musiche epiche di Morricone e rimane una delle scene leggendarie della cinematografia mondiale. Sergio Leone crea un diverso archetipo del genere Western, un eroe nuovo, cinico e amorale, senza storia e senza identità.

Per qualche dollaro in più (1965)
Dopo lo straordinario e inaspettato successo di Per un pugno di dollari, Sergio Leone, inizialmente colpito da una crisi artistica, realizza il secondo film della Trilogia, Per qualche dollaro in più. Clint Eastwood e Gian Maria Volontè mantengono i principali ruoli maschili, affiancati da altri grandi interpreti quali Mario Brega, Lee Van Cleef e un giovanissimo Klaus Kinski. Il personaggio di Eastwood si trasforma da cavaliere solitario a cacciatore di taglie con un unico obiettivo: catturare El Indio, bandito messicano interpretato ancora una volta da un mefistofelico Gian Maria Volontè. L’ouverture visiva della pellicola vede una monumentale panoramica del deserto con al centro la figura di un uomo ucciso, un evento del tutto scollegato da un punto di vista narrativo, ma estremamente simbolico del cambiamento scenico del cineasta romano. A differenza di Per un pugno di dollari, in questo nuovo capitolo della Trilogia Sergio Leone utilizza diversi elementi derivati dal genere Western tradizionale: i saloon, il barbiere, le carte da poker, l’evasione organizzata dei banditi e ovviamente una banca da rapinare. Geniale l’idea di Morricone di inserire un leggendario leitmotiv caratterizzato dalla sonorità di un carillon, malata ossessione di El Indio che scandisce un ritmo illusorio della sua vita da fuorilegge. Sergio Leone riprende qui alcuni temi del primo film: il personaggio solitario senza scrupoli interpretato da Clint Eastwood, la sconfitta dell’antagonista e il duello finale, momento topico di ogni spaghetti-western del regista romano. Ancora oggi questo straordinario capolavoro del cinema si colloca al quinto posto della classifica dei film italiani più visti di sempre.

Il buono, il brutto e il cattivo (1966)
Terzo e ultimo film della Trilogia è in assoluto tra i più celebri della produzione cinematografica del regista. Sergio Leone mette in scena un racconto epico della guerra di secessione americana attraverso le avventure del Biondo, interpretato da Clint Eastwood, il Brutto o meglio noto come Tuco, interpretato da uno straordinario Eli Wallach e Lee Van Cleef nei panni de Il Cattivo. Il titolo del film divenne talmente noto che nel 1968, in occasione di un discorso pubblico, Bob Kennedy citò la pellicola a proposito della sua successiva campagna elettorale in cui avrebbe voluto utilizzarne il titolo. Con Il buono, il brutto e il cattivo Sergio Leone e Clint Eastwood vengono definitivamente consacrati a livello internazionale e il successo commerciale in America sancisce un’inevitabile influenza dello stile del regista romano sul cinema americano. Le locations del film vengono individuate in Spagna, luogo ideale per rievocare gli ambienti desertici, le campagne aride e i villaggi disabitati. Nella seconda parte del film Sergio Leone ricrea una serie di sequenze di massa e di battaglia molto elaborate (il budget del film era cospicuo rispetto alle prime due produzioni della Trilogia), trasferendo la troupe sulle montagne della vecchia Castiglia. Leggendaria è la scena denominata Estasi dell’Oro, definita dai critici una delle dieci sequenze più belle della storia del cinema e qui impreziosita dalle note di Ennio Morricone. Per realizzarla Sergio Leone utilizzò più di 40 cineprese e costrinse Wallach, protagonista della sequenza, a correre per più di due ore in modo da effettuare le inquadrature di campo-controcampo necessarie. Il film si conclude con una sequenza simbolica: un campo lunghissimo in cui l’esile figura di Clint Eastwood si allontana per sempre dal pubblico e dal western, per ritornare in Patria e cominciare la sua nuova carriera da attore affermato.

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