
Tomas Milian – Tre volti di Cinema
«Mi annoiavo da morire». Questo è il giudizio lapidario che Tomas Milian dà alla propria esperienza di attore impegnato nella partecipazione di film che egli stesso etichetta come «film per intellettuali». L’attore, tuttora notissimo per aver vestito i panni di alcune maschere del cinema popolare italiano, e per i più associato all’icona de il Monnezza, iniziò così: lavorando assieme a registi quali Bolognini (Il bell’Antonio, La notte brava), Lattuada (L’imprevisto), Visconti (Boccaccio ‘70, III atto – Il lavoro). Dopo una (relativamente) breve parabola legata al cinema autoriale, Milian sceglie di partecipare al filone cinematografico maggiormente di successo della seconda metà degli anni ’60, ovvero il Western all’Italiana. La sua presenza spicca infatti in pellicole ascrivibili al sottogenere di Western Politico, assieme a Gian Maria Volonté (Faccia a faccia di Sergio Sollima), o scontrandosi paradossalmente con un Regista e Attore del calibro di Orson Welles.

Milian si afferma dunque come volto fondamentale all’interno del filone del Poliziesco all’italiana (o Poliziottesco). In Banditi a Milano di Carlo Lizzani (1968), pellicola che pianta i semi del genere, assistiamo ad uno scontro tra Milian e Volonté – il primo nei panni del commissario ed il secondo nei panni del rapinatore – che lavorano anche questa volta fianco a fianco. Gli anni ’70 impegnano totalmente Milian all’interno del genere in questione. È da tenere inoltre a mente l’importanza del sodalizio con Umberto Lenzi, che culmina in vette interpretative, quali Milano Odia: la polizia non può sparare, Roma a Mano armata ed altri. La sua carriera proseguirà con decine di polizieschi comici diretti da Bruno Corbucci, nella saga di Nico Giraldi, e nel contempo collaborerà con il regista Lucio Fulci in Beatrice Cenci, Non si sevizia un paperino e i Quattro dell’apocalisse. A partire dagli anni ‘80, invece, vedremo l’attore italo-cubano vestire le parti del protagonista di Identificazione di una donna (1980) di Michelangelo Antonioni, nonché partecipare a pellicole di registi di respiro internazionale (Spielberg, Ferrara, Soderbergh, Stone).
Per celebrare Tomas Milian nell’anniversario della scomparsa, abbiamo scelto tre personaggi per approcciarne, sotto vari punti di vista, la versatilità ed il compianto talento.
Michele Ardengo – Gli Indifferenti (1964)

Michele Ardengo, personaggio tratto dal romanzo de Gli Indifferenti di Alberto Moravia, è un giovane ambiguo, caratterizzato da una apparente volontà di ribellione nei confronti dell’ipocrisia regnante all’interno della famiglia e della classe a cui appartiene. La sua famiglia alto-borghese in via di decadenza è segnata da enormi contraddizioni, da intrecci amorosi quasi incestuosi, a cui Michele cercherà invano di porre fine. La figura elegante di Milian riesce completamente nell’intento di delineare una figura – come spesso accadrà nel corso della sua carriera – irriverente, ma in questo caso segnata da un’inettitudine che sorregge dinasticamente sulle proprie spalle, che inevitabilmente vanifica i suoi scopi.
Andrea Martelli – Non si sevizia un paperino (1972)

Andrea Martelli è un giornalista che, suo malgrado, si ritrova ad indagare sulla misteriosa morte di alcuni bambini in un piccolo paese della Basilicata. In una realtà influenzata dalle irrazionali credenze degli abitanti, Martelli rappresenta il logos contrapposto al mythos. Si comporta come un piccolo ingranaggio che gira all’inverso in un microuniverso la cui giustizia deve fare i conti con la superstizione, dove il confine tra le due pare inavvertibile. Tuttavia, Milian rimane quasi in secondo piano all’interno dello svolgersi della narrazione, ma è proprio la sua capacità di rimanere nell’ombra che fa di Martelli un grandioso personaggio, spaesato come un naufrago capitato per caso in un mondo primitivo, ancestrale.
Giulio Sacchi – Milano Odia: la polizia non può sparare (1974)

Giulio Sacchi, un piccolo criminale milanese, decide di rapire Marilù, la figlia del ricco commendatore Porrino, per ricavarne un riscatto. Sacchi è una creatura mostruosa – nell’accezione latina del termine: monstrum come essere splendido e ripugnante allo stesso tempo – l’incarnazione assoluta del male. È vittima di una fame insaziabile che un sotto-proletario come lui non riesce a colmare, come uno zombi che sente il bisogno di nutrirsi di carne umana – «Abbiamo fame» urla poco prima di compiere una strage. Sacchi è una personalità corrosa da un’anarchica sete di denaro, disposta ad eliminare chiunque si ponga come ostacolo al suo scopo, sia esso la sua fidanzata, un bambino innocente, un poliziotto passato di lì per caso. Questo è un Milian che plasma il film, che lo manipola a proprio piacimento, che fa di un crudele noir un capolavoro, e lo fa attraverso un personaggio sadico e morboso che entra a pieno titolo tra i cattivi più memorabili della storia del cinema Italiano, di cui ancora oggi se ne intravedono gli echi (Zingaro interpretato da Luca Marinelli in Lo chiamavano Jeeg Robot ne è un chiaro esempio).
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