
Cosa rende Kaufman, Kaufman – I temi e i modi delle sue opere
Nonostante la sua condanna ad un consenso di pubblico altalenante, negli ultimi due decenni lo sceneggiatore, regista e produttore Charlie Kaufman si è distinto per ingegno e inventiva. L’autore ha dato vita sia a opere che hanno avuto la fortuna di diventare cult pop, sia ad elaborazioni più intime e, per questo, controverse, che dimostrano le potenzialità della sua penna di creare nuove categorie di visionarietà.
Un uomo e una donna, distesi su una lastra di ghiaccio, felici: questa è la prima immagine nitida che ho del cinema, e anche la locandina di The Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Gondry, 2004). Nonostante la stranezza di quei due strambi e colorati fidanzati che giocavano a rincorrersi tra le stanze della loro smisurata e incoerente dimora, diversa ad ogni minuto, quel mondo dove i dottori erano in grado di cancellare i ricordi era per me, bambina, certamente vero, nel senso più genuino del termine.

A posteriori, credo che quella sensazione rappresenti una “legge fisica” fondamentale dell’universo Kaufman: va osservato con gli occhi vergini di un bambino. Sarebbe difficile godere di Being John Malkovich (Jonze, 1999) se fosse messa in dubbio la possibilità d’esistere di una porticina minuscola che ci invita nella mente di qualcun altro: quella porta esiste, fine. Così come è realistico credere negli esperimenti dello scienziato in Human Nature (Gondry, 2001), per quanto folli. E non perché gli avvenimenti raccontati siano l’allucinazione di qualcuno, ma perchè tutto ciò che circonda lo strumento o l’evento surreale è infatti mosso da sentimenti reali e da figure incredibilmente oneste nella loro umanità. Impossibile pensare che si tratti di un sogno, quando ciò che avviene intorno al fatto “magico” si muove sui binari del conosciuto.
Basti pensare ad Anomalisa (Johnson e Kaufman, 2015): non si può smettere un solo secondo di credere nella concretezza dell’epidermide di Michael e Lisa, nella carnalità del loro rapporto e nelle, a loro modo, umane reazioni agli eventi del weekend. La plastilina, in quest’animazione a passo uno, scompare. Essendo sincere le emozioni viste sullo schermo, accettiamo che sinceri siano anche i fatti che le hanno scatenate.

Nella maniera personalissima in cui l’autore scrive emerge innanzitutto la labirintica intersezione delle vicende, che si schiudono fantasticamente come delle matrioske impazzite: Confessions of a Dangerous Mind (George Clooney, 2002) e Adaptation. (Spike Jonze, 2002) sono i due esempi più emblematici di questa incessante forza narrativa. Nel caso di Adaptation. la narrazione hyperlink alimenta, oltre che il tema del doppio, anche una riflessione sul ruolo dello sceneggiatore nella scena americana. Durante la visione diventiamo partecipanti passivi della creazione stessa del film, spettatori privilegiati di una vicenda in corso d’opera e in continua evoluzione grazie alla mano di Kaufman/Cage (di cui ricordiamo la magistrale interpretazione in Nicolas Cage – Tre film per un grande attore).

Incaricato di adattare il libro della Orleans, Kaufman si trovò più volte in crisi, in preda al blocco dello scrittore: scrivere di sé stesso gli ha permesso di indagare le difficoltà che incombono nel mestiere del creativo così come gli ostacoli che gli sperimentatori – categoria in cui lui certamente si identifica – si trovano ad affrontare. Il dualismo tra Charlie e il fratello gemello Donald sottolinea la frustrazione con la quale si assiste alla differenza di successo popolare tra chi crea e chi invece si standardizza, agganciandosi ai cliché.
In Synecdoche, New York (2008), l’esordio alla regia da molti considerato il manifesto della sua poetica, nonostante il flop al botteghino, questa considerazione si fa ancora più personale. Caden è un nuovo alter ego, non molto diverso da suoi precedenti: l’imponente produzione teatrale che sta dirigendo è l’avverarsi del suo desiderio di essere onesto, che è a sua volta l’obiettivo principale del regista, come ci ha spesso tenuto a ribadire in diverse interviste.

Questi personaggi – parentesi che racchiudono segmenti diversi di Kaufman – sono anche abiti che, nonostante la taglia unica, sembrano essere stati confezionati su misura per ciascuno di noi. La capacità dell’autore di aguzzare la vista e analizzare con curiosità il mondo si condensa nell’altro aspetto fondamentale della scrittura di Kaufman: la caratterizzazione dei personaggi. Desolati, solitari, paranoici, ipocondriaci, ognuno di essi è punito da una malattia: è l’onestà intellettuale per Caden, la sindrome di Fregoli per Michael, Joel e Clementine l’uno per l’altra, il rimpianto per Jake, inconsapevole protagonista del suo ultimo progetto I’m Thinking of Ending Things (Kaufman, 2020). La pervicacia di quest’indagine nell’inconscio rende Charlie Kaufman uno psicanalista della settima arte, capace di impressionare debolezze, difetti, errori e paure dell’animo umano con folgorante e desolante autenticità.
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[…] sia alla base il punto d’incontro tra un thriller psicologico e un dramma di Kaufman (è impossibile non pensare alla Lacuna Inc. di Eternal Sunshine of the Spotless Mind), Severance […]