
Sto pensando di finirla qui – Most people are other people
Nevica in Sto pensando di finirla qui. Nevica tanto, con violenza, senza fine. Entrare in questo racconto significa mettersi in strada dentro la tempesta. Perché per Charlie Kaufman la creazione sembra essere proprio questo: vivere nella tempesta. E cosa fa la tempesta se non causare smarrimento? È questa la porta d’ingresso al dedalo dell’ultimo film dello sceneggiatore e regista di culto Charlie Kaufman. Ingannati dal candore della neve in 4:3, veniamo subito disorientati dal voice over, ormai tratto distintivo dello sceneggiatore e regista (quel riprovevole voice over osteggiato da Robert McKee ne Il ladro di orchidee), che ci introduce ai pensieri di Lucy, giovane in procinto di conoscere i genitori del fidanzato, Jake. Perché non sono neanche partiti che già si fa strada nella sua testa il leitmotiv che dà il titolo al film: I’m thinking of ending things. Sto pensando di finirla qui. Chiudere la relazione prima che sia troppo tardi. Questo è il soggetto che consente a Kaufman di architettare il suo complicatissimo labirinto narrativo.

E cosa fa Kaufman? Prende l’omonimo romanzo dell’esordiente Iain Reid e vi riversa dentro tutte le proprie paure e ossessioni di uomo e artista: vecchiaia, morte, identità, amore, cinema. I livelli si sovrappongono, si intersecano, attraversano i generi, sfociano nel thriller, nell’horror e infine nel musical. Costruisce poche e lunghissime sequenze che costringono lo spettatore a mettersi in gioco, a saltare vertiginosamente da un’emozione all’altra, mantenendo viva l’attenzione di fronte a un mondo capace di mutare continuamente nella sua illogicità. Un sogno dentro a un sogno.

Si potrebbe accusare Kaufman di autoindulgenza, esasperato narcisismo e schizofrenia, non fosse che Charlie Kaufman è davvero tutto questo, e lo è sempre stato. Se creare storie significa unire i puntini, fare ordine, sin dai tempi di Essere John Malkovich, ciò che lo ha interessato profondamente è stato sconvolgere le storie, destrutturare all’infinito la macchina cinematografica. E a ventun anni di distanza da quel folgorante esordio, Charlie Kaufman è rimasto coerente e fedele alla propria visione artistica. Uno degli ultimi a navigare nel mare magnum del postmoderno, in quella realtà che non può essere oggettiva, ma sempre con le mani ben salde sul timone. D’altronde quale altro sceneggiatore prima di lui aveva mai avuto così tanto potere a Hollywood? Kaufman era un regista prima ancora di essere tale. È sempre stato un creatore di mondi autonomo, un demiurgo. Il passo alla regia, quindi, è stato breve. E dal regista di Synecdoche, New York, con un mai troppo rimpianto Philip Seymour Hoffman, e Anomalisa non ci si può aspettare che questo. Piaccia o no, Charlie Kaufman è un autore capace di provocare nello spettatore reazioni estreme e contrastanti. E come tutti gli autori, quelli veri, è lui a dettare i tempi. Nessuno si sognerebbe di contestare a McCarthy una certa lentezza della narrazione. Lui crea il ritmo e il lettore è invitato a seguirlo, prestando attenzione. Per questo motivo, Kaufman può permettersi di esasperare lo spettatore con un film onirico, pieno di salti logici, giocando con le categorie di tempo, manomettendole, se necessario. Ci costringe ad accettare un mondo in cui tutto è lecito, persino trovare un chiosco di gelati aperto nel bel mezzo di una tempesta di neve.

E a proposito di grandi paradossi e armonia dei contrari: Sto pensando di finirla qui è una produzione originale Netflix, segno di come il colosso dello streamingprovi in maniera ostinata a conciliare grande pubblico e cinema d’autore. Perché sì, inevitabilmente, Charlie Kaufman è anche questo, snob e settario; obbliga lo spettatore a essere come lui, a cogliere ogni riferimento extradiegetico, che sia una poesia di Wordsworth, la recensione di Pauline Kael su Una Moglie di Cassavetes, il David Foster Wallace di E Unibus Pluram o una citazione di Wilde dal De Profundis. Una sfida continua a mantenere il suo passo. Orientarsi in questa congerie di citazioni aiuta a ritrovare la strada sepolta dalla neve, nel mélange di stili e linguaggi: dalla poesia al flusso di coscienza, dal musical al surreale credit di Robert Zemeckis a margine di una commedia romantica fruita dal fantasmatico bidello di un liceo nel bel mezzo del nulla, pronto a inseguire nudo per i corridoi un maiale animato con la pancia divorata dai vermi. This is water, avrebbe detto Wallace. Questo è Kaufman. E no, Sto pensando di finirla qui non ha un finale. Si abbandona, come un sogno.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista
[…] Studio di carattere? Love story fuori dagli schemi? Nel delirio delle sue forme instabili, Sto pensando di finirla qui mette in scena la dialettica tra realtà e coscienza e la distanza, forse irrimediabile, che separa […]
[…] l’uno per l’altra, il rimpianto per Jake, inconsapevole protagonista del suo ultimo progetto I’m Thinking of Ending Things (Kaufman, 2020). La pervicacia di quest’indagine nell’inconscio rende Charlie Kaufman uno […]
[…] Sarah Polley dirige un cast stellare composto tra gli altri da Rooney Mara, Francis McDormand, Jessie Buckley e Claire Foy. In una colonia religiosa isolata e senza nome, le donne che ne fanno […]