
Lupin – Nell’ombra del ladro gentiluomo
Lupin è una serie con un titolo fuorviante. Nel corso degli anni quella parola ha condotto il pubblico verso immaginari completamente differenti, dai romanzi di Leblanc sul famoso ladro gentiluomo Arsenio Lupin arrivando al manga Lupin III e agli anime che ha ispirato. Da un lato si ha l’estetica del giallo di inizio ‘900, mentre dall’altra una narrazione di stampo action furba e imprevedibile come il suo protagonista. Con l’arrivo di Lupin su Netflix, i fan si aspettavano un semplice adattamento live-action di uno di questi mondi, ma la serie di George Kay (già creatore di Criminal e sceneggiatore per Killing Eve) in collaborazione con François Uzan è qualcosa di contemporaneamente familiare e diverso. Lo spiega bene il sottotitolo: “Nell’ombra di Arsenio”. La serie agisce nel rispetto del mito di Arsenio Lupin senza però piegarsi a una semplice riproposizione di storie passate. Preferisce essere un omaggio al mondo letterario creato da Leblanc, scegliendo di aggiornarlo però per il gusto d’oggi. Nel farlo, Kay e Uzan si ispirano a serie come Luther (BBC One, 2010-2019), Sherlock (BBC One, 2010-2019), sfruttando però la struttura narrativa de La Casa del Papel (Antena 3/Netflix, 2017 – in corso).

Lupin mette al centro della narrazione un discepolo ideale del famoso ladro gentiluomo. Il suo nome dovrebbe essere Assane Diop (Omar Sy, vincitore del premio César come Miglior Attore per Quasi Amici), ma solo nel corso del primo episodio viene presentato al pubblico come Luis Perenna, un semplice uomo delle pulizie presso il Louvre, o come Paul Sernine, un ricco imprenditore. Questi pseudonimi hanno però un’unica origine: sono tutti anagrammi di Arsenio Lupin. Nell’universo della serie, le storie di Maurice Leblanc si manifestano sia sul piano extradiegetico, fornendo ispirazione per le trame criminali del protagonista, che su quello diegetico. Arsène Lupin gentleman cambrioleur fu l’ultimo regalo di Babakar Diop (Fargass Assandé) per suo figlio. In seguito a un tragico evento, quel libro diventò una fonte di escapismo e di ispirazione, fornendogli nel mentre una strada per vendicarsi delle ingiustizie subite.
L’occasione però si presenta solo decenni dopo, quando Assane scopre che il collier è stato finalmente ritrovato e che a breve verrà messo all’asta al Louvre. Studia le modalità di accesso al museo, vestendo i panni di un semplice uomo delle pulizie, e assolda un piccolo gruppo di criminali come suoi aiutanti. Il primo episodio si presenta come un tradizionale heist movie, ma questo non è altro che un inganno: Lupin gioca con le aspettative del pubblico per poi ribaltarle, mostrando nuove prospettive che portano a riconsiderare quanto visto fino a quel momento. Il regista dei primi tre episodi della serie è dopotutto Louis Leterrier, che già con Now You See Me si era mostrato abile in questo campo. La trama di inganni di Lupin può essere riassunta in una frase pronunciata da Diop nel primo episodio: “Mi avete visto, ma non mi avete guardato”. La serie offre allo spettatore tanti frammenti di verità apparente e questi non potrà fare altro che portare pazienza e fidarsi di Kay e Uzan.

Lupin non è solo il mito di origine di Assane Diop in quanto ladro, ma è anche uno sguardo alla sua vita oltre le maschere che è costretto a indossare. Ha da poco divorziato dalla moglie (Ludivine Sagnier), con cui però cerca di mantenere anche solo un rapporto apparente per il bene del figlio Raoul (Etan Simon). Il desiderio di Assane è quello di essere un buon padre, ma quell’affetto porta il protagonista a rendere sempre più labile il confine tra vita professionale e privata, attirando così l’attenzione di uno scaltro detective.
La serie prodotta per Netflix da Gaumont Television è un raro esempio moderno di crime thriller capace di sfruttare a suo favore le dinamiche del binge-watching , grazie a una rete narrativa fitta di colpi di scena. Il merito della sua riuscita spetta però soprattutto alla brillante scelta di casting per il ruolo di Assane Diop. Nonostante Omar Sy sia un attore conosciuto quasi solamente per commedie tradizionali, dimostra subito di avere la fisicità, il carisma e anche l’affabilità necessarie. L’unico difetto di Lupin è da imputare a una scelta distributiva confusa da parte del colosso di streaming. Netflix ha difatti deciso di rendere disponibili solo 5 episodi su 10 (i successivi arriveranno nei prossimi mesi). Se questa scelta può essere comprensibile per serie più lunghe e già avviate come Lucifer, nel caso di Lupin diventa penalizzante perché blocca il climax centrale sul nascere. Il risultato è una conclusione (momentanea) che più che tenere il fiato sospeso, frustra lo spettatore. Questa decisione, forse dettata dal desiderio di mantenere vivo il discorso sui social, non deve però sminuire il lavoro di Kay, Uzan e degli altri sceneggiatori sulla serie. Lupin, anche in questa finestra narrativa limitata, dimostra di essere un’avvincente e rispettosa riscrittura del mito di Arsenio Lupin.
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