
Tenet – Nolan rifà sé stesso, ma dimentica l’anima
Guardando Tenet, il nuovo film di Christopher Nolan in uscita mercoledì 26 agosto, una delle domande che possono sorgere è: quanti sono nel 2020 i registi di cui il grande pubblico aspetta con ansia un nuovo film? Certo, ci sono i vecchi leoni del tempo che fu, da Scorsese a Spielberg, ancora in grado di riempire i cinema col proprio nome; ci sono gli Autori, stimatissimi dai cinefili ma non altrettanto osannati al box office, dai due Anderson a Malick, da Dolan a Almodóvar; ma volendo cercare delle figure che negli ultimi anni abbiano saputo fare del proprio nome un brand riconoscibile e remunerativo probabilmente la cerchia si restringerebbe ai due nomi di Quentin Tarantino e, appunto, Christopher Nolan.
Prima ancora di giudicare il valore di Tenet, bisogna quindi riconoscergli lo status di puro, non adulterato film nolaniano, in grado con pochi ma rodati elementi di instaurare un meccanismo di sicuro riconoscimento nello spettatore, che vi troverà tutti gli ingredienti del suo cinema. Una squadra ben assortita di protagonisti in missione? C’è. Michael Caine col suo understatement britannico? Presente. Sparatorie e inseguimenti audaci dai quali traspare un senso di realismo lontano dall’estetica Marvel? Ci sono. Un’invenzione geniale che regge l’intero film? Casella spuntata.
Nello specifico, Tenet è incentrato sulle vicende di un agente segreto, enigmaticamente innominato ma noto come Il Protagonista (il John David Washington di BlacKkKlansman), cui viene affidata la missione di contrastare una sorta di Spectre capeggiata da un mercante d’armi russo (Kenneth Branagh), che sembra in possesso di un modo per agire sul tempo. Non si tratta però dei classici viaggi a cui ci ha abituato il cinema da Terminator a Ritorno al futuro, bensì della capacità di effettuare un’inversione speculare come quella di un filmato che viene riavvolto, di un proiettile che torna nella canna della pistola o di un’auto che corre in retromarcia.
Se non sembra facile da capire è perché non lo è, e benché il film non lesini spiegazioni scientifiche, l’impressione è che l’intento sia proprio quello tipico dei mind-game film di confondere lo spettatore e gettarlo nella mischia senza mai fargli capire fino in fondo ciò che sta succedendo.
Il Protagonista, coadiuvato dalla buona spalla Robert Pattinson e dalla moglie insoddisfatta del nemico, passa quindi da una sparatoria a un inseguimento, da un pestaggio a una tortura, dall’Estonia ad Amalfi, e tra un palindromo e una pallottola in rewind cerca di impedire la fine del mondo.
Ricorda qualcosa? Be’, l’immaginario è sicuramente quello classico del film di spionaggio, dal James Bond poco ironico di Daniel Craig alle acrobazie internazionali di Mission: Impossible, ma l’intera formula è fondamentalmente la stessa di Inception, e lo stesso Nolan ha candidamente ammesso che Inception sta ai film sulle rapine come Tenet ai film di spionaggio. Fin troppo.
In fondo il film si regge su uno dei più ricorrenti tòpoi di Nolan, ovvero il tempo: il suo primo successo, Memento, era incentrato sull’amnesia del protagonista e sul montaggio che ne ripercorreva la storia a ritroso; Interstellar usava i wormhole per riunire due generazioni; Inception, dietro gli scenari onirici, era in fondo la rappresentazione di un desiderio di ritorno al passato per cambiare il corso degli eventi.
In questo caso il problema del film è però una componente umana carente, che nonostante gli sforzi dei validi attori protagonisti per dotare i personaggi di empatia (e perfino di umorismo) finisce per rendere preponderante la parte più squisitamente tecnica ed estetica del film. Perfino il personaggio più istrionico, un Kenneth Branagh dall’accento in stile Danko, è costretto a sfoghi di rabbia che diventeranno meme e battute involontariamente camp sul suo essere una tigre, che lo fanno passare rapidamente da figura minacciosa a Charlie Sheen in pieno delirio da oppiacei.
Si parla di libero arbitrio, di destino, perfino di cambiamento climatico, ma sempre en passant, tra lo schianto di un aereo cargo, uno spettacolare inseguimento in autostrada e sparatorie in cui le esplosioni vanno a ritroso, come a sottolineare che la vera forza del film è lì, nei suoi innegabili traguardi tecnici. Nulla da eccepire: i corpo a corpo acrobatici tra i corridoi sono notevoli, ma non li avevamo già visti, e meglio, dieci anni fa con DiCaprio? Il proiettile che torna in canna è un’idea geniale, ma quanto poco sfruttata a livello emotivo se paragonata al bullet time di Matrix?
Quello che emerge solo di quando in quando, e che avrebbe fatto molto bene al film, è quella dose di esoterismo, di mistero che fa pensare al Lynch di Twin Peaks, con le voci al contrario e il tema del sosia tra passato e futuro. La mancata insistenza su quest’angoscia perturbante è ciò che rende Nolan un capacissimo scienziato del cinema, in grado di ingarbugliare i tempi rendendo Ritorno al futuro II uno scherzo, ma privando lo spettatore del gusto dell’inspiegabile.
“Viviamo in un mondo crepuscolare”, ripetono come parola d’ordine i protagonisti, ma a differenza del genio maligno del Joker di Heath Ledger, misterioso e indecifrabile, qui il mistero è fin troppo rischiarato, e senza la trottola e il passato da riscrivere, di Inception rimane un onesto action movie per fisici quantistici. Se non gli si chiede altro, Tenet fa il suo dovere. Ma aspetteremo ancora con ansia il prossimo Nolan?
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