
Lettera al re – Un’occasione sprecata
Non è facile parlare di un brutto film o di una brutta serie senza incappare in qualche spoiler. Eppure, in questa recensione, tenterò l’ardua impresa di tacere i momenti salienti del nuovo prodotto targato Netflix, per non rovinare la spettacolo ai temerari che ne affronteranno la visione: Lettera al re (titolo originale: The Letter for the King) è una serie in sei episodi che si ispira a De brief voor de koning, un romanzo fantasy per ragazzi a tema cavalleresco, scritto dall’olandese Tonke Dragt negli anni ’60 del secolo scorso. Chi di voi ha letto il libro potrebbe subire un piccolo shock: la storia originale è stata depredata senza scrupoli per creare una vicenda insipida e incoerente, a tratti priva di senso.
In generale, non c’è nulla di sbagliato nelle rivisitazioni: dacché un film o una serie “prendono vita”, ci si trova di fronte, per così dire, a creature indipendenti e a sé stanti, anche se si ispirano a un romanzo. Il problema si pone quando la rivisitazione non consiste in un organico ed equilibrato progetto di rinnovamento, ma si limita all’inserimento posticcio di elementi del tutto fuori luogo, che vanno a minare la coerenza stessa della trama e dell’ambientazione. I modelli sono molteplici e mal assortiti: si va dallo stile casereccio e un po’ buffonesco di Merlin all’afflato epico-morale de Il Signore degli Anelli, passando per il realismo e il relativismo di Game of Thrones, il tutto pervaso da una piagnucolante atmosfera da teen drama di bassa lega.
La novità più vistosa rispetto all’intreccio originale è l’inserimento dell’elemento della magia sciamanica, che diventa il vero motore della storia, mettendo in ombra e rendendo quasi inutile l’originale consegna della lettera al re, su cui si basava il romanzo (e che è messa in rilievo dal titolo stesso). Tuttavia, per tutti i sei episodi non si riesce a capire in cosa consistano di preciso gli straordinari poteri degli sciamani: fumo nero, palle di fuoco, la resurrezione di un uccellino e poco altro.
Una nota positiva si trova in alcune scene d’azione e nelle scenografie, davvero suggestive e degne di un’avventura cavalleresca. Il resto, purtroppo, è da bocciare, in primis l’ambientazione medievale, fortemente svilita da un eccesso di espedienti politicamente corretti. I dialoghi sono orribili: nessuno avrebbe preteso conversazioni particolarmente interessanti o memorabili, ma un conto è creare discorsi semplici e disimpegnati (scelta legittima se si mira al mero intrattenimento), altro conto è creare discorsi banali e stucchevoli, benché ci sia la chiara intenzione di comunicare concetti filosoficamente e moralmente impegnati.
La psicologia dei personaggi è insignificante, anche se si tenta, piuttosto ingenuamente, di renderla interessante e anticonvenzionale sulla falsariga di Game of Thrones. Ugualmente deludenti le dinamiche relazionali, poco credibili e spesso forzate, a partire dalle storie d’amore. Gli attori, d’altro canto, non sembrano dare il meglio di sé: la performance è insipida e monoespressiva, troppo stereotipata nelle scene drammatiche e sentimentali. Osa un po’ di più Emilie Cocquerel, anche se i tentativi di dare spessore al suo personaggio si disperdono nel piattume generale. Non manca qualche volto noto nel mondo del fantasy, come David Wenham e Andy Serkis, rispettivamente Faramir e Gollum ne Il Signore degli Anelli.
Per quanto riguarda lo svolgimento della trama, sono molte le situazioni, peraltro ininfluenti sull’intreccio generale, che sfumano nel nulla, forse inserite soltanto per allungare la storia. Persino filoni narrativi apparentemente importanti vengono troncati a metà e mai ripresi, per poi risultare misteriosamente risolti nel finale, senza che lo spettatore ne abbia seguito lo sviluppo. Infine, abbiamo una serie di colpi di scena del tutto incongruenti con quanto accaduto fino a quel momento, tanto numerosi da far sospettare, ancora una volta, un goffo tentativo di emulare la celeberrima serie ispirata ai romanzi di George R. R. Martin (l’ottava stagione, però).
Dispiace molto assistere alla profanazione di un romanzo che, stando al parere della critica, è considerato uno dei migliori fantasy per ragazzi mai scritti o, perlomeno, un gioiello della letteratura olandese poco conosciuto a livello internazionale, e che per questo avrebbe meritato una migliore pubblicità. Non è la prima volta che Netflix si dedica alla trasposizione audiovisiva dei classici delle letterature nazionali, con risultati più o meno convincenti, ma comunque apprezzabili (si veda, ad esempio, Chiamatemi Anna). In questa circostanza, invece, bisogna ammettere, con profonda amarezza, di aver sprecato una bella occasione.
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