
West of Babylonia – L’America nel deserto | Biografilm 2020
La nostra recensione di ‘West of Babylonia’, di Emanuele Mengotti, uno dei 41 film selezionati alla 16ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. Clicca qui per scoprire come vedere tutti i film del Festival in streaming gratuito su MyMovies (fino al 15 giugno). Un’occasione unica, da non perdere!
Arriva in anteprima mondiale al Biografilm Festival West of Babylonia, documentario di Emanuele Mengotti, che insieme al direttore della fotografia Marco Tomaselli è vissuto a Slab City, “The last free place”, ritraendone i suoi particolari abitanti. Comunità nel deserto americano isolata dalla società convenzionale, Slab City nasce dalle rovine (da cui le slabs di cemento che le danno il nome) di una base militare nel Deserto di Sonora, in California, diventando negli anni una realtà indipendente, una città di camper, roulotte e abitazioni improvvisate senza elettricità e acqua corrente, dove centinaia di persone si sono trasferite per allontanarsi dalle regole e convenzioni della società contemporanea, la “new Babylonia” che dà il titolo al film, iniziando una nuova vita.
West of Babylonia è visivamente molto piacevole, con una fotografia che riesce a rendere altrettanto bene le variopinte tonalità e luci della comunità come l’aridità del deserto americano, spaziando dai primi piani sui volti vissuti ed espressivi degli abitanti a riprese a volo d’uccello realizzate con l’uso di droni, che contestualizzano Slab City nell’alieno paesaggio circostante.
Il documentario segue da vicino numerosi momenti nelle giornate di alcuni degli abitanti di Slab City: il poeta Driftwood, Smiley e gli altri bambini, la coppia di neo nazisti Tom e Liz, il compleanno di Marianne, Andrew e la sua radio e molti altri. Emanuele Mengotti dipinge un interessante affresco dei variegati volti della comunità.
Una costante tra i numerosi ritratti che compongono il documentario è quella dell’arte e della creatività, storicamente molto legate a simili movimenti di controcultura, fin dalle origini negli anni sessanta, partendo nel piccolo dall’eclettismo di abitazioni, vestiti e mezzi di trasporto (che vanno dai classici pulmini decorati hippie ad automobili post-apocalittiche in stile Mad Max), per poi arrivare a gigantesche opere in continua evoluzione, come la variopinta Salvation Mountain, progetto pluridecennale di Leonard Knight, o le numerose installazioni di East Jesus, passando per cantautori e poeti.
Una comunità che nasce come alternativa estrema alla società potrebbe far pensare a un forte sentimento anti americano, ma, al contrario, gli abitanti di Slab City rifuggono si la corruzione e gli schematismi contemporanei, rimanendo però fortemente intrisi di cultura e ideali americani, di culto della libertà a ogni costo, passione per le armi, per la musica e la cucina americana, ed è indicativo che la festa della comunità con cui si conclude il documentario sia chiamata Prom, come il classico ballo scolastico di fine anno, con tanto di Re e Regina del ballo (decisamente differenti da quelli a cui ci hanno abituato i teen movies americani).
Slab City sembra un luogo fuori dal tempo, o forse rimasto a una rivoluzione culturale e ideologica ormai passata, ma col procedere del documentario risulta evidente come il mondo esterno raggiunga anche l’isolato deserto della comunità: l’utilizzo di sostanze stupefacenti di Tom non ha più motivazioni psichedeliche o spirituali, ma antidolorifiche per il cancro che lo affligge, incurabile per la sua mancanza di assicurazione medica; Ron, che si occupa del mantenimento di Salvation Mountain, utilizza colori sempre più accesi e vivaci, perché per fare passare il messaggio (“God is Love”) ormai bisogna essere instagrammabili; il piccolo Smiley, parlando dei continui test esplosivi effettuati nella vicina base militare, cita infine dopo un’ora di film Donald Trump, vedendolo come il probabile colpevole di un’imminente terza guerra mondiale.
Il futuro di Slab City e dei suoi abitanti è incerto, a cavallo tra il continuo rischio di essere allontanati dal terreno statale e una serie di iniziative e fondazioni dedite invece alla sua conservazione, e West of Babylonia è un riuscito tentativo di mostrare una realtà così unica, creandone uno spaccato intimo, interessante e visivamente riuscito.
Mengotti e Tomaselli sono intanto di nuovo sul campo, lavorando a un documentario sugli effetti della pandemia di Coronavirus a Las Vegas: il potenziale per un altro interessante ritratto americano è molto alto.
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