
Stop Filming Us – Decolonizzare lo sguardo | Biografilm 2021
La nostra recensione di “Stop Filming Us” (2020) di Joris Postema, uno dei film selezionati per la 17ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. I film in programma saranno disponibili online su MyMovies e in presenza.
La rappresentazione in Occidente della Repubblica Democratica del Congo, e del continente africano in generale, è una narrazione a senso unico, parziale e selettiva. Nell’immaginario collettivo, frutto della raffigurazione nei media e di quella che i congolesi descrivono come “mentalità da ONG”, il Paese è solo guerra, malattia, violenza e sofferenza. Alla base di questa immagine stereotipata risiede uno squilibrio di potere. La disuguaglianza emerge anche dal fatto stesso che sia l’Occidente a definire le narrazioni, che tra l’altro alle volte diventano un modo per lucrare sulla sofferenza. Certamente, il Congo è un paese complesso e contraddittorio – e non dimentichiamo quanto il colonialismo abbia contribuito in modo significativo a renderlo tale – ma non è solo questo: è anche un Paese pieno di vita a cui gli stereotipi non rendono giustizia.
Mettere in discussione queste narrazioni vuol dire mettere in discussione lo stesso sistema che le crea. Ed è proprio quello che fa il regista olandese Joris Postema – in quanto filmmaker occidentale – con Stop Filming Us, mettendo in dubbio «the system that led to you being here and making this movie». Postema accoglie la possibilità di non conoscere, di non sapere, di rimettere in prospettiva il suo sguardo, di affrontare i preconcetti, per lasciare che siano le voci locali a guidarlo nella costruzione di una narrazione più completa.

Il regista segue un gruppo di giovani artisti locali a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo. Il fotografo Mugabo Baritegera, la regista Bernadette Vivuya e la fotogiornalista Ley Uwera, in un’operazione di decolonizzazione dello sguardo, vanno oltre l’estetica della sofferenza per raccontare il Paese e le loro vite in maniera diversa. È presente nelle riprese anche il line producer del film, Ganza Buroko, coordinatore generale di Yolé!Africa.
La percezione di sé stessi da parte dei congolesi è influenzata dal trauma del colonialismo: visti come vittime, sempre rappresentati dagli altri piuttosto che dai locali. Anche il neo-colonialismo è parte del mindset dei locali, che mostrano tuttavia una grande consapevolezza, ad esempio nei momenti in cui vengono fotografati (anche quando è Mugabo a scattare, perché ci sono dei bianchi con lui) o ripresi. È qui che entra in gioco l’importanza dell’autorappresentazione, di ripristino del patrimonio culturale, di non essere definiti dallo sguardo straniero ma di rivendicare il fatto che la storia del Congo non è solo la colonizzazione.
D’altra parte, questo non vuol dire rifiutare la realtà della sofferenza, sebbene qualcuno di loro cerchi (comprensibilmente) di farlo. Ley Uwera lavora anche per le ONG, e se da una parte sottolinea il problema delle aspettative occidentali nel dover scattare un certo tipo di foto, ritiene comunque che il voler cambiare l’immagine dell’Africa non significhi dover nascondere gli aspetti negativi.

Una questione importante che affronta Stop Filming Us è quella del white saviour – il salvatore bianco, di retaggio colonialista, che va in Africa per risolverne i problemi – e del conseguente white saviour complex. Grazie ai confronti che intrattiene con i personaggi e la troupe locale, il regista Jaris Postema si mostra molto attento nel cercare di comprendere le dinamiche inconsce alla base di certi comportamenti degli Occidentali in Africa.
In uno di questi scambi, Postema chiede proprio se abbia fatto “qualcosa di neocolonialista”. Quello che i locali gli rimproverano è di aver dato dei biscotti ai bambini per strada, senza che lo avessero chiesto. Il gesto presuppone innanzitutto il donare qualcosa a qualcuno senza conoscere di cosa abbia bisogno. Ma soprattutto, anche quando le intenzioni sono buone, il donare non richiesto da parte dell’uomo bianco finisce per rafforzare una relazione basata sulla dipendenza e la subordinazione. I bambini sono per strada proprio perché consapevoli che riceveranno qualcosa.

Stop Filming Us è un documentario metariflessivo non solo perché viene mostrato sia nel suo farsi che, sul finale, nelle reazioni del pubblico congolese al film, ma anche perché ragiona sulla sua stessa possibilità di esistenza. Postema stesso si chiede se come regista occidentale sia legittimato a rappresentare una realtà spesso bistrattata proprio dallo sguardo occidentale.
Noi non possiamo dare una risposta; ma il fatto stesso di sollevare il dubbio e di tentare di decostruire i propri bias attraverso il dialogo mi sembra un passo nella giusta direzione.
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