
Rosso di sera, di Emanuele Mengotti – Recensione e incontro col regista
“Chi sei quando nessuno ti guarda?”
Avevamo lasciato Emanuele Mengotti e Marco “Toma” Tomaselli nei meandri più reconditi di una California desolata, scenario perfetto per la fondazione di Slab City, una città di cani sciolti e spiriti liberi in cerca del loro angolo di pace: li ritroviamo oggi ai confini di Las Vegas, là dove i palazzi si fanno più bassi, i quartieri si diradano e restano solo grandi canali di scolo e migliaia di chilometri di tunnel in cemento armato. Rosso di sera – Red Sky at Night, diretto da Mengotti con la fotografia di Tomaselli, è il secondo capitolo di un percorso chiarissimo alla ricerca del sogno americano a tutti i costi, della corsa all’oro quasi fine a se stessa e in molti casi dannosa per chi la intraprende.

È il 2020 e le elezioni presidenziali si avvicinano in un contesto già di per sé caldissimo per le guerre intestine ed endemiche tra repubblicani e democratici, tra pro e contro le armi; all’equazione si aggiunge la pandemia nelle sue prime fasi, con la confusione, le proteste, lo scetticismo, la richiesta disperata di un’autodeterminazione già di per sé assicurata dalla forma repubblicana. Contraddizioni evidenti di un Paese molto diviso e percorso da Mengotti attraverso sentieri insoliti, frutto della spasmodica ricerca di storie di vita che già in West of Babylonia era stato il punto di forza di tutta l’operazione. In Rosso di sera seguiamo scampoli di vita e riflessioni di un sosia di Elvis, di Mike, un medico indaffarato tra diagnosi e tamponi, di Mindy, una candidata rebubblicana con la passione per le armi, di Steve, un Huckleberry Finn molto cresciuto che vive nei tunnel della periferia. Quattro storie tanto diverse tra loro quanto comuni in un contesto fuori dal mondo come quello di Las Vegas.

Mentre Mike continua a fare il suo lavoro, il sosia di Elvis scompare presto dalle scene, chiuse causa Covid-19, e Mindy continua imperterrita nella sua campagna elettorale fatta di slogan preconfezionati e tensioni con le frange più estremiste dei pro-armi. In questo contesto la personalità più interessante diventa Steve, la cui vita sembra procedere senza grossi scossoni rispetto a prima, tra giri di perlustrazione nei tunnel e riflessioni esistenziali. Un percorso al limite tra vita e morte che si rinnova di giorno in giorno. Steve e la sua compagna vivono nei tunnel da tantissimi anni, ne ritinteggiano gli interni, vi accumulano oggetti e cianfrusaglie, ne imparano i segreti per sopravvivere alle piene improvvise.

Con Mengotti ragioniamo proprio su tale modo di pensare, per il regista l’idea di questo sogno americano è che puoi perdere tutto ed essere disperato, ma magari domani entri in un casinò, ti giochi un gettone e diventi milionario: “Per trovare questa America abbiamo dovuto girare tanto, cercavamo l’America di frontiera, degli avventurieri, ma poi girando per le grandi città abbiamo visto un Paese molto più ordinario del previsto, in cui attraversi col giallo e ti fanno subito una multa, mentre uscendo dalle città e andando in posti più degradati abbiamo trovato quest’idea di libertà come sogno da inseguire che altrove non si vede. Il titolo stesso parla di questo, c’è un proverbio americano molto simile al nostro “Rosso di sera, bel tempo si spera”, fa “A red sky at night is a shepherd’s delight!” e si riferisce proprio a questa speranza nell’avvenire.
Una ricerca di libertà a tutti i costi che diventa anche distruttiva…
Sì, e di fatto abbiamo sempre pensato di non doverlo commentare, bastano le immagini a rendere evidenti gli esiti di certi stili di vita. Si sogna la realizzazione personale e si vive nel timore perenne che un giorno lo stato bussi alla tua porta e ti requisisca le armi, togliendoti poi qualsiasi libertà. Una paura che fa storicamente parte del Paese e che sfocia in movimenti di vario peso, fino a gruppi come i Proud Boys, con cui abbiamo anche avuto a che fare e non è stata un’esperienza bella.
E credi che un documentario di questo tipo possa essere possibile in Italia? Avete pensato a un progetto del genere? Mi sembra che anche da noi la situazione stia piano piano avvicinandosi a quella americana, coi dovuti distinguo.
Questa è una domanda che mi pongo molto spesso, e mi interessa molto, a volte è più facile avere uno sguardo fresco se si guarda quello che non si conosce esattamente, si colgono sfumature con più facilità. È interessante parlare anche della nostra situazione magari raccontando quello che succede negli USA, perché sono due cose interconnesse, che viaggiano nella stessa direzione, di riflesso. Ho un interesse nel futuro di girare un documentario qui in Italia, ma al momento mi trovo a mio agio nel raccontare questo mondo in cui trovo diverse analogie con l’Italia.
Penso sia anche un discorso di ricerca dei personaggi, mi viene da chiamarli così, ma in realtà sono persone che si rivelano più o meno adatte alla narrazione e che è difficile trovare.
Per tutti i nostri lavori giriamo molto, tutti i giorni sul campo, a cercare storie e persone da raccontare. Si è più o meno fortunati, Steve, con cui ancora oggi sono in contatto, era molto naturale davanti alla macchina da presa, ma allo stesso tempo si preoccupava di come gli stavano i capelli o come gli stava una camicia. Mike, il medico, voleva spiegarci tutto quello che faceva, risultando così poco naturale, lì è stato bravo il montatore a trovare materiale utilizzabile. Mentre venivo qui ho letto su un muro questa frase “Chi sei quando nessuno ti guarda?”, e mi ha fatto venire i brividi. Tutti noi, come Steve e Mike, siamo una persona diversa e tutte quelle persone insieme allo stesso tempo, rapportandoci con gli amici, con la propria compagna, coi pazienti, con la telecamera, da soli.
C’è un’immagine che ti ha colpito particolarmente durante la lavorazione?
Sì, un paio di volte nel film compariva sullo sfondo la piramide del Luxor di Las Vegas. Per mesi mi sono chiesto cosa mi suscitasse e perché la volessi lì, poi ho capito che altro non era che il controcampo di ciò che vidi io nel 2017 durante la sparatoria di massa contro la folla accorsa al concerto sulla Strip. Soggiornavo al Luxor e tornandoci vidi una folla correre dentro all’edificio, in silenzio, poi realizzai cosa stava succedendo a pochi passi da lì. L’immagine della piramide l’avevo ripresa proprio dal punto in cui il pubblico assisteva al concerto, ed ero orientato verso il palazzo da cui avevo assistito alla strage. Questo mi ha scioccato e ho capito che quell’immagine era un modo per superare un trauma attraverso il cinema. Sono stato anche fortunato perché è stato poi ricostruito che il cecchino avrebbe voluto colpire già una o due settimane prima, proprio a un concerto in cui mi trovavo, ma non era riuscito a trovare una stanza d’albergo. Direi che da questo intuite facilmente il mio rapporto con le armi.
Passo a qualche curiosità da appassionati del settore, con quale camera avete girato? Quale drone? Che logistica avevate rispetto al film precedente, girato in condizioni precarie? E a livello di budget e distribuzione come vi siete mossi?
La camera era una Mavo LF Kinefinity, stile Arri, molto versatile, il drone un Mavic Pro. Per la logistica stavolta abbiamo avuto una base più solida, in periferia a Las Vegas, ma nonostante la comodità a livello di elettricità sempre disponibile, ce la siamo dovuta un po’ cavare per il resto. Per il film abbiamo tenuto costi molto bassi e per la distribuzione siamo in fase festival, dopo Biografilm avremo altri appuntamenti. Rosso di sera l’abbiamo coprodotto con Rai Cinema, mentre le case di distribuzione principali sono Talee per l’Italia e Smoke and Mirrors, che ha sede negli Stati Uniti.
A margine della tavola rotonda con i giornalisti gli chiedo qualche anticipazione sul prossimo lavoro, ora in preproduzione.
Per il nuovo film torneremo in un luogo isolato e fuori del tempo, in cui piccola criminalità e dipendenza hanno terreno fertile. Un posto lontano dalle grandi città, in cui tutto sembra fermo agli anni ’90, per questo il progetto stavolta lo giriamo in VHS, per immergerci in quella dimensione temporale.
Io comincio a spolverare il videoregistratore e vi lascio qui il link per leggere tutti gli articoli dedicati al lavoro americano di Mengotti e Tomaselli, che seguiamo since day one, come direbbero i personaggi (o le persone) che popolano i loro film. Rosso di sera è un’altra tappa importante in questo particolarissimo percorso documentario votato all’esplorazione di un Paese che quasi tutti abbiamo conosciuto con i film, i romanzi, la musica prima che con le news, i viaggi, le esperienze sul campo. Un modo di fare cinema anche molto leggero dal punto di vista produttivo e che in effetti sa di creatività di frontiera, una Mavo LF al post del revolver e il mondo a portata di mano.
Un percorso avvincente, aperto da due artisti che hanno preso una via diversa, per sentieri selvaggi, là dove sempre “domani è un altro giorno”.
Rosso di sera sarà disponibile per 72 ore su Mymovies a partire dalle 19:00 di sabato 18 giugno, non perdetelo!
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[…] Si è concluso ieri sera il concorso della XVIII edizione di Biografilm Festival, con la cerimonia di premiazione che si è tenuta al Cinema Medica di Bologna. A seguire, il pubblico del festival bolognese ha potuto assistere all’anteprima italiana di Elvis, il nuovo film di Baz Luhrmann dedicato al Re del Rock, con protagonista Austin Butler. Potrete leggere a breve la nostra recensione del film, qui invece riportiamo di seguito tutti i premi e i vincitori di Biografilm 2022, un’edizione ricca di bei documentari, ospiti interessanti e, soprattutto, ricca di pubblico, con un forte ritorno alla sala cinematografica sancito dagli oltre 15.000 spettatori registrati e dalle oltre 1500 ore di visione su Mymovies. Ad aggiudicarsi il premio al miglior film del concorso internazionale l’italiano Giovanni Buccomino con After a Revolution (in copertina). Premio Ucca per Rosso di sera invece a Emanuele Mengotti, che abbiamo intervistato qui. […]